L’Ue, Puigdemont e il sovranismo europeo
Lo scorso 9 marzo il Parlamento europeo ha revocato l’immunità parlamentare, garantita dal suo statuto e dal Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue), a Carles Puigdemont, Toni Comin e Clara Ponsatì, i tre politici espatriati dalla Catalogna dopo il referendum separatista del 1° ottobre 2017 che li vide tra i promotori e successivamente eletti all’Europarlamento nel 2019.
Si è trattato di un esito largamente annunciato (anche se di misura) e, pertanto, registrato dai media essenzialmente nelle note d’agenzia, e, tuttavia non affatto trascurabile dal punto di vista della scelta compiuta dal Parlamento, al netto del percorso giudiziario, ancora lungo e certamente destinato ad incontrare iniziative della difesa presso la Corte di Giustizia dell’Ue. È stato, infatti, annunciato dai tre eurodeputati un ricorso contro il provvedimento di revoca delle guarentigie parlamentari per irregolarità formali e per legitima suspicione nei confronti del relatore Angel Dzhambazki, deputato nazionalista bulgaro ideologicamente collocato su posizioni conservatrici e antagonistiche rispetto agli indipendentisti catalani.
Le fonti normative che hanno governato l’affaire degli europarlamentari catalani trovano essenzialmente nel Protocollo 7 (sui privilegi e sulle immunità dell’Ue) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea il testo più rilevante che offre un precipitato concreto del principio dell’immunità parlamentare con gli articoli 7, 8 e 9. L’altra fonte normativa è rappresentata dal Regolamento del Parlamento europeo che, agli articoli da 5 a 9, recettivi del Protocollo 7 del Tfue, stabilisce il procedimento per la revoca o la conferma dell’immunità, devoluto alla Commissione Giuridica (Juri), competente nella materia concernente “lo statuto dei deputati” e “ i privilegi e le immunità nonché la verifica dei poteri dei deputati”.
I precedenti giurisprudenziali
La decisione del 9 marzo scorso assume, in realtà, un significato di disallineamento rispetto a recenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea che, con la sentenza del 19 dicembre del 2019 (C-502/19) aveva accolto i ricorsi degli stessi indipendentisti catalani eletti al Parlamento europeo ma non proclamati dalle Autorità spagnole.
Infatti la Corte di Giustizia si era pronunciata sia sul rinvio del Tribunal Supremo Spagnolo che ne aveva invocato la pronuncia con riferimento al ricorso del deputato Oriol Junqueras (C-502/19), impossibilitato a prestare il giuramento previsto dopo l’elezione in quanto sottoposto a misura cautelare, sia sul ricorso di Puigdemont e Comin (C-646/19), affermando che l’acquisizione dello status di deputato, e con essa la tutela dell’immunità parlamentare, avviene nel momento della proclamazione dei risultati. Dunque anche chi, come Junqueras, si fosse trovato in stato di detenzione, avrebbe avuto il diritto di godere dell’immunità, revocabile, su istanza della magistratura nazionale, dal Parlamento europeo.
Una rappresentanza europea autonoma
La pronuncia della Corte di Giustizia, che segnava una soluzione di continuità con orientamenti assunti in precedenza(C-393/07 e C-9/08), affermò, dunque, che lo status di parlamentare europeo si acquista con la pubblicazione dei risultati, senza che gli ordinamenti nazionali possano richiedere ulteriori adempimenti procedurali, come, appunto, il giuramento imposto dalla legislazione spagnola, ritenuto ultroneo rispetto alla rappresentanza europea. La decisione della Corte, dunque, che portò il Parlamento europeo a concedere retroattivamente lo status di eurodeputato ai tre indipendentisti catalani, significò una novità importante sulla strada del riconoscimento di una rappresentanza europea dotata di piena autonomia e sintonica con la cittadinanza europea.
Il voto del 9 marzo, ancorché espresso in piena coerenza formale con le prerogative sulla revoca dell’immunità, può apparire, ad una prima lettura, un gesto politico di ossequio alla sovranità dello Stato membro e dunque di arretramento rispetto all’ideale di una rappresentanza europea autonoma e sovraordinata, così come venne affermata anche dalla sentenza della Corte del 2019.
Eterogenesi dei fini?
Ma, a ben vedere, può esistere anche una lettura diversa ed è quella di un Parlamento che persegue un “sovranismo europeo”. Nel senso che l’Ue si prende cura dell’integrità dei suoi confini perseguendo la piena integrazione tra gli Stati membri e i popoli, avendo all’orizzonte l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. Il sovranismo europeo, evocato da Emmanuel Macron nel 2017 in un discorso alla Sorbona, si contrappone al sovranismo nazionale ed anche ai sovranismi regionali, per disegnare una possibile transizione dall’attuale modello intergovernativo, assistito da elementi di sovranazionalità, ad un modello compiutamente federale.
Se questa fosse la lettura più coerente, l’eterna querelle dell’indipendentismo catalano avrebbe forse prodotto, per eterogenesi dei fini, un passo che va esattamente all’incontrario dei sovranismi nazionali e locali. Dunque anche del proprio.
Nella foto di copertina EPA/STEPHANIE LECOCQ l’ex leader catalano Carles Puidgemont durante un sit-in di protesta davanti al Parlamento europeo