Le dimissioni di Iglesias cambiano a sorpresa gli equilibri in Spagna
BARCELLONA. In questi ultimi tempi, la Spagna produce più politica di quella che riesce ad assimilare. Le tensioni si accumulano e non è facile fare previsioni a lungo termine. Certo, con la pandemia la situazione non è molto diversa in altre latitudini, ma sembra che nel Paese iberico il tatticismo regni sovrano e i progetti a lungo termine fatichino a trovare espressione.
Oltre alla crisi sanitaria e socio-economica dovuta al coronavirus – il Pil è crollato dell’11% nel 2020 –, si deve sommare infatti il conflitto territoriale con l’annosa questione catalana, la crisi della monarchia e una crescente polarizzazione con ricadute sulla governabilità del Paese.
A gennaio, il governo di coalizione formato dal Partido Socialista Obrero Español (Psoe) e Unidas Podemos (Up) ha compiuto un anno di vita. Si tratta di un governo di minoranza che si appoggia sul sostegno di diverse formazioni regionaliste e nazionaliste, inclusi gli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc). Le tensioni all’interno dell’esecutivo non sono mai mancate, ma l’emergenza del Covid e la durissima opposizione delle destre, il cui obiettivo la primavera scorsa era far cadere il governo, hanno permesso a socialisti e Unidas Podemos di rafforzare la loro entente. I fatti delle ultime settimane possono però aprire nuovi scenari.
Tra Barcellona e Madrid

Da un parte, i risultati delle elezioni catalane dello scorso 14 febbraio e la prossima formazione di un nuovo governo regionale indipendentista potrebbero portare ad un aumento delle tensioni tra Madrid e Barcellona e al ritiro dell’appoggio esterno di Erc – che occuperà la presidenza della Generalitat catalana – all’esecutivo guidato da Pedro Sánchez. Dall’altra, le elezioni anticipate che si terranno nella regione di Madrid il prossimo 4 maggio potrebbero sconvolgere gli equilibri politici.
In realtà, lo hanno parzialmente già fatto: il leader di Unidas Podemos, Pablo Iglesias, ha annunciato che abbandonerà la vicepresidenza del governo per presentarsi come candidato a Madrid ed evitare che la regione, governata da un quarto di secolo dal Partido Popular (Pp), rimanga nelle mani di una destra che propone ormai senza infingimenti un’alleanza con l’estrema destra di Vox. La popolare Isabel Díaz Ayuso, attuale presidente della regione, è stata la principale avversaria del governo negli ultimi dodici mesi, negandosi spesso ad applicare le restrizioni sanitarie e difendendo una linea “aperturista” dal sapore trumpiano.
L’inaspettata mossa di Iglesias polarizza la campagna elettorale madrilena e si propone di mobilitare l’elettorato di sinistra, oltre che di salvare dall’irrilevanza Up che nella capitale ha un competitor in Más Madrid, formazione creata dall’ex fondatore di Podemos, Íñigo Errejón. Allo stesso tempo, Iglesias avrà le mani libere per tentare di presentare Unidas Podemos, per così dire, come forza “di lotta e di governo”. Nell’esecutivo rimarranno gli altri quattro ministri di Up, a cui si aggiunge Ione Belarra, che rileverà Iglesias al ministero dei Diritti Sociali. Infine, nominando l’attuale ministra del Lavoro Yolanda Díaz come vicepresidente al suo posto, Iglesias, spesso accusato di esercitare una leadership troppo personalista, ha anche tentato di risolvere il rebus della successione, indicando la stessa Díaz, molto apprezzata dalle parti sociali, come futura candidata di Unidas Podemos.
I socialisti pensano alla politica dei due forni
Quella di Iglesias è senza dubbio una decisione coraggiosa e forse azzardata, di cui non è possibile cogliere ora tutte le possibili conseguenze. Da un lato, a Madrid mette in discussione la vittoria di Díaz Ayuso, data per certa fino a poco fa da tutti i sondaggi, per quanto per le sinistre la conquista della regione rimane un’impresa piuttosto ardua. L’astensione sarà un fattore cruciale. Il suo futuro politico, almeno a breve termine, si muove comunque tra una vicepresidenza regionale, nel migliore dei casi, o il ritiro per concentrarsi unicamente sul partito. Dall’altra, non è chiaro se un Iglesias fuori dal governo possa essere un fattore di maggiore stabilità o instabilità per il governo Sánchez, il quale, per ora, continua a confermare che l’intesa con Up si manterrà fino al termine della legislatura, prevista a fine 2023.
Di fondo, però, vi è la tentazione di una parte del Psoe di sbarazzarsi di Podemos e guardare al centro, utilizzando lo scacchiere regionale, molto importante negli equilibri politici spagnoli. Le elezioni anticipate a Madrid sono frutto di una manovra che andava in questa direzione: i socialisti hanno spinto Ciudadanos, formazione di centro-destra alleata dei popolari, a rompere con il Pp nella regione di Murcia, ma l’operazione non è andata a buon fine.
Al contrario, grazie ad alcuni cambi di casacca, il Pp ha conservato uno dei suoi principali bastioni, ha rotto l’accordo di governo con Ciudadanos a Madrid e ha lanciato un’Opa ostile sulla formazione guidata da Inés Arrimadas. La pratica scomparsa di Ciudadanos – che sta vedendo i suoi gruppi parlamentari dissanguarsi e a Madrid potrebbe non superare nemmeno la soglia di sbarramento del 5% – riduce notevolmente qualunque sogno socialista di una politica dei due forni o, almeno, di bilanciare con i voti di Ciudadanos l’alleanza con Podemos e i nazionalisti baschi e catalani.
Un’alleanza che regge
In realtà, nonostante le tensioni su alcune questioni di non secondaria importanza – in primis le riforme delle pensioni e del lavoro, la legge sugli affitti o quella sui diritti delle persone trans –, il governo di coalizione Psoe-UP sta portando avanti un’agenda condivisa basata su politiche keynesiane in economia – aumento della spesa pubblica, istituzione del reddito minimo garantito, aumento del salario minimo, rafforzamento della cassa integrazione – e sull’ampliamento dei diritti civili, con una serie di misure contro la violenza di genere e per la piena uguaglianza retributiva nell’ambito lavorativo. Su questa linea, che recupera l’operato dei due mandati di José Luis Rodríguez Zapatero, spicca l’approvazione la settimana scorsa della legge sull’eutanasia, che fa della Spagna il sesto Paese al mondo a legalizzare la pratica.
Non sembrerebbe dunque esserci un’alternativa praticabile all’attuale governo, ma è bene attendere i risultati delle regionali a Madrid, la presentazione del piano per il Next Generation EU – coordinato dall’equipe più vicina a Sánchez con l’ortodossa ministra dell’Economia Nadia Calviño a dare le carte – e la risoluzione della querelle riguardo alla legge sugli affitti – tema molto sentito dall’elettorato di Unidas Podemos – prima di dire l’ultima parola. Lo sappiamo ormai: i nostri più che tempi liquidi, sono tempi gassosi. In Spagna, forse, ancora di più.
Foto di copertina EPA/Emilio Naranjo