La difesa americana con Joe Biden: cosa cambia per l’Italia
Continuità e discontinuità nella difesa americana con l’amministrazione di Joe Biden; come cambiano gli assetti nella Nato e quali sono i nuovi spazi di opportunità per l’Italia. Se n’è parlato venerdì 26 febbraio durante un Live Talk sulle prospettive euro-atlantiche su difesa, tecnologia e industria organizzato da AirPress e Formiche.net in collaborazione con l’Istituto Affari Internazionali, insieme al generale Stefano Cont, addetto alla Difesa presso l’ambasciata d’Italia a Washington e Michele Nones, vicepresidente dello IAI.
A poco più di un mese dall’insediamento di Biden, c’è grande attesa per sapere cosa cambierà nelle strategie di difesa Usa. “Siamo di fronte a un cambiamento significativo dello scenario”, ha spiegato Nones aprendo il dibattito. Ciò è dovuto sia alla nuova amministrazione sia alle conseguenze della pandemia, che ha creato una situazione globale che difficilmente trova paragoni nella storia.
Il ruolo dell’industria italiana
“A tal proposito – sottolinea Nones – si aprono interessanti riflessioni sul futuro dell’Alleanza Atlantica che riguardano tre direttrici principali: la rinnovata attenzione degli Usa di Biden per il multilateralismo; il rapporto tra Stati Uniti e Unione europea e infine le relazioni tra Italia e Usa”. Su quest’ultimo tema non sarebbe fuori luogo, infatti, “pensare al rilancio del ruolo italiano come alleato fondamentale degli Usa in grado di porsi in maniera credibile, guadagnandosi la fiducia della nuova amministrazione Biden, a partire dall’assunzione di nuovi impegni, come quello della missione Nato in Iraq (di cui s’è discusso in occasione della scorsa ministeriale in videoconferenza, ndr), e al mantenimento sul piano politico di una ferma visione europeista e atlantista rafforzata, sul piano industriale, da intense collaborazioni con le grandi imprese italiane come Leonardo e Fincanteri, già sperimentata per i programma F-35 e gli elicotteri MH-139 destinati alla US Air Force”.
“Le possibilità di affermazione per le industrie italiane sono moltissime – interviene Cont – e riguardano non solo l’ambito di ricostruzione tecnologica degli Stati Uniti ma anche le risorse dell’eccellenza manifatturiera italiana e delle piccole e medie imprese”. Una prospettiva che però potrebbe essere messa a rischio dal “Buy American” e dal pericolo di una chiusura del mercato americano a prodotti e sistemi stranieri.
In realtà il concetto, spiega Cont, “non è nuovo e risponde a quell’esigenza di rilanciare il comparto industriale e tecnologico statunitense, che ha subito negli ultimi 30 anni un processo di deindustrializzazione, per mantenere la leadership e la superiorità”. Il “Buy American” va interpretato, dunque, sul piano industriale non come una chiusura in ottica autarchica, ma come una strategia volta ad ottenere sempre un ritorno per l’economia americana. “Il mercato americano, in questo senso, non è chiuso, è sicuramente molto competitivo ma in grado, comunque, di offrire opportunità a quelle aziende, anche italiane, in grado di sapersi conquistare uno spazio”, aggiunge Cont.
Lo smart power di Biden
Ma quali sono i segni di continuità e discontinuità che in questo primo mese di presidenza Biden si sono già potuti intercettare? “Da un decennio a Washington è maturata la consapevolezza di trovarsi in un mondo cambiato, con diversi attori in campo e una diminuita capacità di leadership in campo tecnologico e industriale rispetto a dieci anni fa”. Dunque, sicuramente ci sarà l’esigenza e la continuità di lavorare in campo tecnologico e industriale per ristrutturare e aggiornare lo sviluppo dell’apparato di difesa ma, precisa Cont, “ci saranno discontinuità in termini di modalità e coinvolgimento di partner e alleati”.
A tal proposito, il generale richiama la possibilità di un “più massiccio utilizzo del soft power da parte di Biden, basato sul richiamo ai valori e principi di riferimento della democrazia americana ma condivisi anche dall’Occidente e la capacità di attrazione che gli Stati Uniti possono esercitare come leader morale più che materiale”. Lo stesso Biden si è mostrato, infatti, deciso a governare più con la ‘forza dell’esempio’ che con ‘l’esempio – o la dimostrazione – di forza’. Ovviamente, spiega Cont, “quando si parla di soft power si parla anche e soprattutto di smart power, vista la necessità di saper analizzare le diverse situazione per decidere come muoversi e all’occorrenza utilizzare anche l’hard power in situazioni di sicurezza nazionale”.
Un nuovo assetto per l’Alleanza Atlantica?
Al centro del dibattito non poteva mancare anche il futuro della Nato. Sebbene sia evidente un cambiamento, almeno nei toni, tra l’ex presidente Donald Trump, che tanto aveva spinto sull’aspro tema dei contributi economici, e Joe Biden, che sembra mettere al centro i valori comuni e il continuo dialogo multilaterale, il nodo del contributo degli europei alla Nato non può dirsi sciolto.
Fermo restando che non è un tema nuovo, “va tenuto in considerazione che gli Stati Uniti hanno oggi due grandi fronti, uno atlantico e l’altro pacifico”, sottolinea Cont. Inevitabilmente nei prossimi tempi Washington dovrò rivolgersi con energia crescente – e dunque risorse – al secondo. Non è un caso, infatti, che la prima visita di Biden al Pentagono sia stata incentrata sulla competizione con la Cina e sul lancio di una task force completamente dedicata a Pechino. “Gli Stati Uniti chiederanno agli alleati europei di assumersi più responsabilità, facendosi carico di una maggiore partecipazione per quanto riguarda la propria difesa e la risoluzione delle questioni almeno di scala regionale”.
A cura di Francesco Tabarrini
Foto di copertina EPA/MICHAEL REYNOLDS / POOL