In Israele la maggioranza è lontana e aleggia lo spettro delle quinte elezioni
GERUSALEMME. Guardando ai risultati elettorali in Israele, sembra che due anni e quattro consultazioni non siano trascorsi, visto che la situazione politica del Paese della stella di Davide è nello stesso stallo. E lo spettro di quinte elezioni si fa sempre più minaccioso. Quello che doveva essere un referendum su Benjamin Netanyahu, il premier più longevo di sempre al potere da 12 anni, alla fine si è risolto con una vittoria dello stesso.
Il suo partito, il Likud, a marzo dell’anno scorso scorso aveva preso 36 seggi contro i 30 di oggi; a settembre del 2019, il Likud era arrivato a 32 seggi mentre nelle elezioni precedenti di aprile dello stesso anno, aveva ottenuto 35 seggi. Due i fattori che hanno portato il Likud a perdere seggi: in primo luogo la fuoriuscita di un pezzo grosso come Gideon Sa’ar, per molto tempo considerato il delfino di Netanyahu, e che con il suo neonato partito New Hope ha preso 6 seggi. A questo, poi, si somma il buon successo elettorale del partito arabo Ra’am, che lo stesso Netanyahu ha contribuito a far uscire dalla Lista Araba Unita, e che ha ottenuto 4 seggi, rosicchiandone almeno uno al Likud per i giochi del proporzionale.
Il miraggio dei 61 seggi per governare
Netanyahu, dunque, ha vinto, pur se il suo partito e i partiti che lo accompagnano a destra (Shas, United Torah in Judaism e Religious Zionism), insieme non riescono a raggiungere la soglia dei 61 seggi necessari per conquistare il governo. La settimana prossima, i dati finali saranno consegnati al presidente Reuven Rivlin, che comincerà le consultazioni. Ogni partito, dovrà indicare quale premier sosterrà e farà valere il numero dei suoi seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano.
La sfida non si gioca nella cornice del solito scontro politico tra sinistra e destra, ma tra pro e contro Netanyahu. La coalizione dei “pro”, tutta spostata a destra, arriva a 52 seggi. I “contro”, uno schieramento che va dalla sinistra di Meretz e dei laburisti, passando per gli arabi della Lista Congiunta, al centro del Blu e Bianco e di Yesh Atid (questo è il secondo partito e il suo capo, Yair Lapid è l’antagonista di Netanyahu per la premiership), fino ai partiti di destra di New Hope e Yisrael Beiteinu, si attestano a 57 seggi. Così come stanno le cose, nessuno riesce ad arrivare alla maggioranza. Per questo sono cominciate le grandi manovre.
Più nemici che amici per Netanyahu
Netanyahu e i suoi stanno tentando di pescare consensi innanzitutto con Yamina, il gruppo di destra di Naftali Bennet, che da anni ha un rapporto tumultuoso con il premier. Ma anche se Bennett appoggiasse Netanyahu, comunque mancherebbero all’appello 2 seggi. Sarebbe necessario quindi un appoggio, anche esterno, di Ra’am, gli arabi che stanno giocando su tutti i fronti. Sono loro il vero ago della bilancia, non disdegnando promesse e offerte da alcuno. Anche Bennett potrebbe spostare i suoi interessi verso la lista dei contro.
Dopotutto, Netanyahu si è fatto più nemici che amici in questi anni di politica. Se è vero che nulla è impossibile in politica, è improbabile che Benny Gantz di Blue e Bianco, Avigdor Lieberman (il leader dei russofoni di Yisrael Beiteinu) e Sa’ar si facciano attrarre dalle lusinghe di Netanyahu, a cui interessa conservare il premierato per evitare il processo che lo vede imputati in tre casi. Impossibile che lo faccia Lapid, che ha la possibilità unica di diventare premier.
Un esecutivo spostato a destra
Se dovesse avere la possibilità di racimolare qualche altro seggio per ottenere il mandato, oppure il sostegno esterno di Ra’am, Netanyahu si troverebbe nella inusuale per lui posizione di essere l’esponente più a sinistra della coalizione, che raccoglie non solo gli ortodossi, ma anche i Kahanisti, gli estremisti per i quali esistono solo gli ebrei e sono per l’eliminazione di musulmani e di gruppi come il mondo Lgbt. La circostanza, ovviamente, pone serie questioni per le alleanze con Ra’am, ma anche per i rapporti con gli Stati arabi, con i quali Netanyahu ha cominciato una serie di relazioni a partire da Emirati e Bahrein.
La presenza di questi gruppi nella maggioranza ed eventualmente nell’esecutivo rappresenta certamente un problema e un ostacolo per gli Accordi di Abramo e gli altri che si andranno a scrivere, senza contare la nuova via tracciata dalla presidenza Biden che ha ripreso le fila del discorso con il governo palestinese, interrotto da Donald Trump.
Foto di copertina EPA/ABIR SULTAN