Violenza contro le donne: il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul
“Per tutelare le donne non è necessario cercare rimedi esterni o imitare gli altri”. Con questa scarna dichiarazione il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha deciso di ritirare la Turchia dalla Convenzione di Istanbul, firmata nel 2011 proprio nella città turca.
Se non un attacco ai diritti delle donne, certamente è un passo indietro drammatico sia nella prevenzione della violenza sia nella protezione delle donne, da sempre tra gli atti simbolo dei regimi illiberali ed oppressivi.
La Convenzione di Istanbul è il “primo e più completo” Trattato internazionale in tema di lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. La Convenzione è stata sottoscritta nel 2011 con la volontà, da parte dei 47 Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, di prevenire la violenza e di favorire la protezione delle vittime in un contesto mondiale, anche occidentale, che vede una terribile quotidianità: una donna su tre nel corso della propria vita subisce una qualche forma di violenza.
Ed in Turchia i dati, se possibile, sono anche peggiori. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza, rispetto a una media europea del 25%. Per la Turchia si parla di tre femminicidi al giorno. E i dati del 2021 funestato dalla pandemia Covid-19 registrano una ulteriore escalation di violenza, a causa delle restrizioni di movimento, isolamento sociale ed insicurezza economica. Perché vale la pena ribadirlo: la maggior parte delle violenze avviene in contesti domestici.
Da prima a ultima della classe
La Convenzione prese il nome della città turca non solo perché là fu firmata, ma perché la Turchia fu il primo Paese a ratificarla, quando già Erdoğan era presidente. Anzi, allora fu per lui un punto di vanto, una bandiera di progressismo e modernità da sventolare agli occhi degli europei. Dieci anni buttati al vento, se i dati della violenza sulle donne in Turchia sono questi, per una Convenzione che già la scorsa estate aveva visto il passo indietro della Polonia di Andrzej Duda e il rifiuto dell’Ungheria di Viktor Orbán alla ratifica, dopo averla firmata.
Secondo i due esecutivi sovranisti e ultra-conservatori, conterrebbe principi “ideologici”, come quello del sesso “socio-culturale” in opposizione al sesso “biologico”. Molti degli ultra-conservatori non accettano che la Convenzione dia definizioni chiare di “genere” e di “violenza contro le donne basata sul genere”, dicendo in particolare che con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti attributi socialmente che si ritengono aprioristicamente appropriati per le donne e gli uomini. E che la “violenza basata sul genere” è una violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce proprio le donne in modo sproporzionato. Concetti fondamentali per contrastare la violenza sulle donne. Fondamentali come l’affermare che il problema sono gli uomini che agiscono violenza ed è su di loro che bisogna lavorare, rieducandoli alla non violenza. Si comprende come questo approccio sia distante da una visione patriarcale e maschilista che alcuni leader politici divulgano ed incarnano.
Queste alcune delle ragioni profonde sulla base delle quali la Turchia, allineandosi con Paesi come Russia e Azerbaigian – che, pur essendo parte del Consiglio d’Europa, la Convenzione non l’hanno mai nemmeno firmata – stanno facendo passi indietro. Tra i paesi firmatari che non hanno ancora ratificato, non tutti lo sanno, c’è anche il Regno Unito. E su questo si potrebbe aprire un dibattito.
La risposta della comunità internazionale (e dell’Italia)
Mentre ad Istanbul e Ankara migliaia di donne sono scese in piazza per protestare contro la scelta politica di Erdoğan si susseguono dure anche le reazioni a livello internazionale.
“Non possiamo che rammaricarci fortemente ed esprimere la nostra incomprensione davanti alla decisione del governo turco”, ha dichiarato l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea Josep Borrell e pochi giorni fa, durante le celebrazioni dei dieci anni del Trattato, la segretaria generale del Consiglio d’Europa Marija Pejčinović Burić aveva detto “sono stati realizzati importanti progressi nella lotta contro queste forme di violenza”, ma “è necessario continuare ad agire con determinazione perché ostacoli e sfide restano numerosi”.
Le sfide restano e gli ostacoli sembrano aumentare. Le Agenzie delle Nazioni Unite hanno invitato il governo turco a riconsiderare il suo ritiro dal Trattato. Ora tocca all’Unione Europea far sentire il proprio peso prima che sia troppo tardi.
Ritengo infatti che esprimere solidarietà alle tante donne, quasi tutte giovanissime, che si stanno opponendo con tutte le forze, è doveroso ma che si debba fare di più.
Per iniziare, la Commissione sul femminicidio del Senato, pur non potendo condurre inchieste in Paesi stranieri, potrà sia incontrare la delegazione parlamentare turca in occasione della 65° Commissione delle Nazioni unite sullo status delle donne che è in corso e che si concluderà il 26 marzo, sia confrontarsi con l’ambasciatore turco in Italia per chiedere che la Turchia continui a prevenire la violenza e a proteggere le donne con la Convenzione Istanbul.
Foto di copertina EPA/TOLGA BOZOGLU