Georgia in caduta libera verso l’autoritarismo
È indicativo che a 100 anni esatti dall’occupazione sovietica della Georgia il governo di Tbilisi abbia ufficialmente intrapreso il percorso verso un autoritarismo di stampo russo. Nei giorni scorsi le forze di polizia in tenuta antisommossa hanno assaltato la sede del maggiore partito di opposizione, il Movimento nazionale unito, e ne hanno arrestato il leader, Nika Melia.
Giorgi Gakharia, riconfermato premier da appena due mesi, si è dimesso il 18 febbraio scorso per non essere riuscito a convincere i suoi compagni di partito, il “Sogno georgiano”, a evitare di procedere con l’incarcerazione dell’esponente dell’opposizione. Dopo le controverse elezioni parlamentari dello scorso novembre e il rifiuto delle forze politiche di opposizione di sedere in Parlamento ad essersi compromessa è la stessa democrazia georgiana, diventata un sistema a partito unico. In seguito all’arresto di Melia è chiaro che Tbilisi si è allontanata dall’obiettivo principale, cioè l’integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche.
Democrazia in pausa
Un dato che ha rilevato anche l’ambasciata degli Stati Uniti in Georgia, preoccupata per la misura presa nei confronti del leader della principale forza di minoranza e rammaricata che “l’invito di Washington e degli altri partner internazionali alla moderazione e al dialogo sia stato ignorato. Siamo costernati dalla retorica proveniente dalla leadership del Paese in un tale momento di crisi – continua la nota diplomatica -; oggi la Georgia é tornata indietro nel cammino per diventare una democrazia più forte nella famiglia delle nazioni euro-atlantiche“.
L’arresto di Nika Melia non è un incidente isolato ma si inserisce nel trend dello stile di governo autoritario del “Sogno georgiano”. Dopo 30 anni di indipendenza e nonostante tutte le riforme attuate, la separazione dei poteri nel Paese rimane sconosciuta: il Parlamento ha perso la sua funzione di sorveglianza sul governo, che anzi controlla il legislativo, mentre la magistratura dipende dall’autorità politica ed è influenzata da diversi gruppi di interesse.
Oltre alle violazioni dei diritti umani e della libertà fondamentali – in particolare delle minoranze etniche, religiose e sessuali -, negli anni anche l’atteggiamento nei confronti della stampa ha destato particolare allarme, perché l’establishment al potere ha spesso tentato di influenzare la politica editoriale delle fonti d’informazione.
Nella morsa dell’oligarca
Dal 2012 la Georgia è assoggettata alla governance informale dell’oligarca Bidzina Ivanishvili, che è riuscito a impadronirsi dell’intero Paese soggiogando le istituzioni statali, la magistratura, le forze dell’ordine e sconvolgendone l’economia, aprendo la strada al nepotismo, all’ulteriore rafforzamento della corruzione delle élite al potere e creando un sistema di disinformazione di massa capace di manipolare la società georgiana.
Il rapporto 2020 di Freedom House riassume che la traiettoria democratica della Georgia ha mostrato segni di miglioramento durante il periodo che coincide con il cambio di governo nel 2012, ma negli ultimi anni si è registrato un regresso. Tutto ciò è accompagnato da un aumento della povertà che è diventata particolarmente acuta con la pandemia, mentre la crisi economica si è aggravata perché il governo non ha né la capacitá né la volontá di affrontarla. E la domanda su quando inizierà l’approvvigionamento dei vaccini e l’inizio della campagna di immunizzazione rimane ancora oggi senza risposta.
Benché Ivanishvili abbia annunciato l’addio alla politica per evitare le responsabilità per l’attuale crisi, il ritorno di Irakli Garibashvili come premier (ruolo già ricoperto fra il 2013 e il 2015) ha messo in luce che l’oligarca guida ancora il processo politico georgiano da dietro le quinte.
Il ruolo dell’Occidente
Cosa dovrebbe fare l’Occidente che da anni prova a promuovere la democrazia in Georgia? Europa e Stati Uniti sono forse anch’essi responsabili del deterioramento democratico del Paese, poiché le espressioni di profonda preoccupazione da parte dei governi occidentali non hanno mai davvero sortito alcun effetto sul governo di Tbilisi.
Forse è giunto il tempo di usare la leva che Ue e Usa hanno sulla Georgia. A cominciare dall’amministrazione Biden, visto che gli Stati Uniti continuano a fornire assistenza al Paese (circa 64 milioni di dollari all’anno dal 2010 al 2019 per l’assistenza non militare e 265 milioni per il sostegno militare). Lo stesso vale per l’Unione europea, che di Tbilisi è il principale partner commerciale e fornisce annualmente al Paese oltre 100 milioni di euro per assistenza tecnica e finanziaria.
Per fermare la caduta libera della Georgia verso l’autoritarismo, l’Occidente può fare due cose nel breve termine: esercitare pressione sul governo perché organizzi presto nuove elezioni e, al tempo stesso, valutare la possibilità di sanzionare Ivanishvili. Sul lungo termine, però, deve essere rivista tutta la politica di promozione della democrazia, abbandonando un approccio che predilige la creazione di regimi stabili a discapito di un autentico sviluppo democratico. Ormai è chiaro che nel Caucaso la stabilità è insostenibile senza la democrazia.
Per rafforzarla, Europa e Stati Uniti devono imporre una rigorosa condizionalità per cui ogni centesimo di aiuti deve corrispondere a una seria attuazione delle riforme necessaria da parte del governo.