IAI
Riduzione delle ispezioni Aiea

Sul rilancio del Jcpoa è stallo fra Usa e Iran: l’iniziativa tocca all’Ue

28 Feb 2021 - Carlo Trezza - Carlo Trezza

Sin dai primi giorni alla Casa Bianca Joe Biden ha iniziato a prendere le distanze dalle decisioni più controverse adottate dall’amministrazione Trump. In particolare egli ha deciso, senza esitazioni, di estendere per altri cinque anni il Trattato New Start con la Russia in scadenza a febbraio e che Donald Trump non aveva voluto rinnovare e a rientrare “senza se e senza ma” nell’Accordo di Parigi sul contrasto ai cambiamenti climatici.

Non altrettanto è stato ancora fatto sul ritorno di Washington nel Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo sul nucleare iraniano finalizzata a Vienna nel 2015: Trump lo ha denunciato nel 2018, ma Biden ha dichiarato di volerlo tornare ad applicare. L’America continua invece ad applicare ancora oggi le sanzioni imposte da Trump in violazione dell’intesa Jcpoa, la quale è giuridicamente vincolante perché parte integrante della Risoluzione 2231 approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 2015.

In  una situazione di “violazione secondaria” dell’accordo si trova anche l’Iran che, in risposta alla ripresa delle sanzioni di Trump, ha ripreso a sua volta alcune attività in campo nucleare proibite dall’accordo.

Oggi sia l’amministrazione Biden sia Teheran dichiarano di voler ritornare ad applicare l’accordo ma ciascuna delle parti, quasi infantilmente, si aspetta che sia l’altra a dover fare il primo passo. È questo il motivo principale dell’attuale stallo.

Il Parlamento di Teheran alza la posta
La situazione si è andata aggravando a seguito dell’adozione da parte del  Parlamento iraniano di una legge che impone al governo di adottare ulteriori misure di ritorsione come l’arricchimento dell’uranio al 20%  anziché il 3,75% previsto dall’accordo e di produrre  l’uranio metallico che può avere applicazioni militari.

Ma la misura più inquietante è la sospensione, avvenuta negli ultimi giorni, delle ispezioni particolarmente intrusive cui in base all’accordo sono state sottoposte le installazioni nucleari iraniane. Tali ispezioni, affidate all’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna (Aiea) costituiscono il principale strumento per  verificare gli impegni assunti da Teheran .Il linguaggio ultimativo del provvedimento parlamentare, che prevede persino sanzioni penali nei confronti del governo e dello stesso presidente in caso di mancata applicazione è indicativo di un dissidio interno nella prospettiva delle prossime elezioni presidenziali.

Il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif cerca di rassicurare il mondo esterno sottolineando la reversibilità di queste misure improvvide adottate proprio quando, con l’elezione di Biden, si aprivano nuove prospettive di disgelo.

I rischi di una riduzione delle ispezioni 
La diplomazia internazionale si sta muovendo per salvare il salvabile. Il direttore generale dell’Aiea, l’argentino Rafael Grossi, si è affrettato a recarsi a Teheran nell’intento di mitigare l’effetto della riduzione delle ispezioni. Grossi non è tornato a mani vuote poiché ha ottenuto il proseguimento parziale per altri tre mesi del monitoraggio degli impianti iraniani. I risultati verrebbero però comunicati a Vienna solo allo scadere dei tre mesi e a condizione che a quella data le sanzioni siano state revocate. Altrimenti se ne perderà traccia e verrà meno uno dei principali strumenti per accertare l’evoluzione delle attività nucleari iraniane.

Notizie dell’ultima darebbero conto di una possibile iniziativa americana volta a prendere le distanze da questa fragile intesa. Gli Stati Uniti intenderebbero inoltre condurre il Consiglio dei governatori dell’Aiea a stigmatizzare le recenti inadempienze iraniane in risposta a quelle Usa e a riaprire nuovamente la spinosa questione di sospette attività nucleari pregresse di Teheran aventi possibili implicazioni di natura militare. Queste notizie, se confermate, equivarrebbero ad una sconfessione dell’azione svolta da Grossi ed allontanerebbero le prospettive di un ritorno all’applicazione del Jcpoa.

Il ruolo dell’Europa
L’Europa, che è riuscita a mantenere in piedi l’accordo durante gli anni difficili dell’amministrazione Trump, non deve mollare la presa ora che alla Casa Bianca si è insediata un’amministrazione più disponibile. Dovrebbe essere questo il momento per riprendere anche unilateralmente la cooperazione economica, industriale e finanziaria con l’Iran e per sottrarsi al castigo delle sanzioni secondarie cui è stata sottoposta da Trump.

Ciò anche per evitare che Teheran cada del tutto, come sta avvenendo, nell’orbita strategica e economica della Cina e della Russia. Per ora di decisioni in tal senso non si ha notizia. In quanto coordinatore del Jcpoa l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea Josep Borrell sta ora cercando di rilanciare il Jcpoa attraverso un incontro  informale tra i suoi attuali cinque membri (Cina, Francia, Germania, Iran, Russia) cui verrebbero “invitati” gli Stati Uniti che non ne sono più parte. Vi è una disponibilità generale a ritornare attorno allo stesso tavolo: l’Iran vi sta ancora riflettendo. Se si tratterà di convenire sul modo migliore per ritornare all’accordo, l’iniziativa può avere successo.Se invece l’obiettivo reale è quello di un rinvio o di una rinegoziazione, le probabilità di successo sono minime.

L’obiettivo primario dell’intesa con l’Iran è sempre stato quello di allontanare la possibilità che esso si dotasse dell’arma nucleare. Alcuni risultati significativi erano stati già raggiunti. La denuncia dell’accordo da parte dell’amministrazione Trump ed i conseguenti inadempimenti americani hanno consentito a loro volta all’Iran di fare dei passi indietro: conseguentemente Teheran, pur negando di volere la bomba, si sta nuovamente avvicinando ad una potenziale capacità militare. Non lo si può permettere. L’unico modo per procedere consensualmente è di ripartire dall’applicazione “clean” dell’accordo già sottoscritto, come già avvenuto per il Trattato New Start e per l’Accordo di Parigi.

Foto di copertina EPA/ABEDIN TAHERKENAREH