La vittoria di Kurti in Kosovo è un necessario terremoto politico per i Balcani
Come da previsioni, il tanto atteso terremoto politico in Kosovo si è infine verificato, travolgendo la classe politica nata dalla guerra del 1999. Le elezioni anticipate del 14 febbraio, provocate dalla decisione della Corte costituzionale kosovara di delegittimare il governo di Avdullah Hoti per aver ricevuto l’unico voto di maggioranza al suo insediamento da un deputato condannato, hanno confermato le aspettative dando a Vetëvendosje! (Vv), il partito dell’ex premier Albin Kurti, il più alto numero di voti mai raggiunto da una singola formazione politica in Kosovo, il 47,85%.
Un balzo di oltre il 20% rispetto alle elezioni del 2019 (in cui Vv era già arrivato primo) e che ha segnato il crollo senza sconti dei due partiti-architrave della storia kosovara dal dopoguerra, il Pdk (nato dalle ceneri dell’Uçk), arrivato secondo con il 17,41%, e l’Ldk (il partito della figura storica dell’indipendentismo kosovaro, Ibrahim Rugova), arrivato terzo con il 13,08% ed una fortissima emorragia di voti (il 12% di consensi perduti).
Il ritorno di Vetëvendosje!
La vittoria schiacciante di Kurti si basa sul già lusinghiero risultato del 2019, ma è stata costruita soprattutto a partire dagli eventi che ne hanno causato il disarcionamento da premier dopo solo 50 giorni ad opera del suo partner di coalizione, l’Ldk, strumento di una strategia verosimilmente elaborata a Washington e sostenuta dall’allora presidente Hashim Thaçi. Il governo Kurti veniva infatti percepito come un ostacolo all’idea di scambio territoriale tra Kosovo e Serbia che molti nell’amministrazione Trump, insieme a Thaçi e al presidente serbo Aleksandar Vučić, vedevano come la possibile chiave di volta per la normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado, ed un “facile” successo diplomatico per la Casa Bianca. I contraccolpi del tradimento dell’Ldk, la scarsa performance del premier Hoti anche nella gestione della pandemia e l’uscita di scena del presidente Thaçi, accusato di crimini di guerra e rinchiuso all’Aia, hanno aperto un’autostrada elettorale al successo di Vv, coronato dal ticket con Vjona Osmani, presidente del Parlamento, capo dello Stato ad interim ed ex figura di spicco dell’Ldk, che ha poi lasciato il partito per protesta al voltafaccia verso Kurti.
La vittoria di Kurti è stata resa possibile anche dall’imponente partecipazione al voto della diaspora kosovara i cui rappresentanti, a fronte della complicata procedura messa in piedi dalla commissione elettorale per verificare gli aventi diritto al voto a distanza (inclusa una serie di telefonate per confermare l’identità di chi ne avesse fatto domanda), si sono recati in moltissimi casi fisicamente in Kosovo per votare. La diaspora sta diventando sempre più un importante fattore elettorale, con un predominante sostegno per Vv: motivo per il quale in molti hanno visto nella complicata procedura per registrarsi al voto un segnale volto a indebolire il favorito Kurti.
Il “momento Obama”
Passata la sbornia elettorale, le aspettative per il leader di Vv e premier in pectore sono altissime. In un campo pieno di macerie politiche – il leader dell’Ldk Isa Mustafa si è dimesso all’uscita dei risultati e Thaçi resterà verosimilmente per vari anni al di fuori della scena – il ticket Kurti-Osmani dovrà gestire quello che alcuni commentatori kosovari hanno definito il “momento Obama” dell’ex provincia serba: una richiesta post-ideologica di lotta alla corruzione, al nepotismo e alla state capture che proviene ormai da ampi settori della società kosovara. Vv non potrà scaricare eventuali fallimenti su un riottoso partner di coalizione, dato che la quasi maggioranza assoluta in Assemblea richiederà al partito di allearsi solo con i rappresentati delle minoranze, anzitutto la Srpska Lista con cui Belgrado ha ormai monopolizzato la rappresentanza politica dei serbi del Kosovo.
Anche sul piano regionale, importanti sfide – e relative turbolenze – attendono il nuovo governo, soprattutto se Kurti sceglierà di tenere fede ad alcuni degli assiomi sempre portati avanti da Vv: una forte diffidenza verso ogni dialogo con la Serbia e i richiami al pan-albanismo. In alcune recenti interviste, il prossimo premier kosovaro ha dichiarato di non considerare come prioritari i negoziati sulla normalizzazione dei rapporti con Belgrado sotto egida europea e di essere pronto a votare a favore in un eventuale referendum sull’unificazione tra Kosovo e Albania.
Le ricadute positive
In questo contesto, Osmani potrebbe giocare un ruolo molto importante: con la sua probabile conferma alla presidenza quando l’Assemblea voterà il successore di Thaçi (verosimilmente a marzo), essa potrà offrire un volto più pragmatico a fronte della percepita intransigenza di Kurti, magari guidando personalmente il team negoziale kosovaro a Bruxelles.
Al di là delle implicazioni interne ed esterne, la schiacciante vittoria di Kurti rappresenta un importante segnale di rinnovamento in una regione in cui spesso, col pretesto della stabilità ad ogni costo, si sono tollerati malaffare, corruzione e arricchimenti illeciti da parte delle élite politiche tradizionali. Se le aspettative sono alte, le ricadute positive per il Kosovo e per i Balcani in generale potrebbero esserlo ancora di più.
Le opinioni espresse appartengono unicamente all’autore e non riflettono necessariamente l’opinione della Commissione europea o del Servizio europeo di azione esterna.
Nella foto di copertina EPA/Valdrin Xhemaj il leader di Vetëvendosje Albin Kurti, che ha guidato il partito al trionfo nelle urne