IAI
L’attentato del 22 febbraio

Kivu: una regione da decenni nella morsa di violenze e scontri armati

23 Feb 2021 - Bernardo Venturi - Bernardo Venturi

L’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo hanno perso la vita lunedì 22 febbraio, durante l’agguato al convoglio del Programma alimentare mondiale (Wfp, il World Food Programme delle Nazioni Unite) nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Il convoglio, composto da due fuoristrada con a bordo sette persone, si stava dirigendo a verso Rutshuru, a circa 70 chilometri a nord di Goma. La zona fa parte della regione dei Grandi Laghi, al confine est della Rdc con Uganda e Ruanda. Una zona meravigliosa da un punto di vista naturalistico, tra montagne vulcaniche e fitte foreste, ma caratterizzate anche da decenni di violenze e scontri armati.

L’attacco alle vetture del Wfp è avvenuto a circa mezz’ora di strada da Goma. Il convoglio non era scortato perché quel tratto di strada non era stato considerato a rischio dal Wfp e la protezione personale dell’ambasciatore sembrava sufficiente. Il vastissimo Paese centrafricano vede la presenza della missione Minusco di peacekeeping dell’Onu dal 2010, attualmente con un personale di oltre 17 mila unità (di cui più di 12 mila militari). La missione ha normalmente compiti di scorta di spostamenti ordinari di diplomatici o di altro personale internazionale, ma la valutazione sulla sicurezza del Wfp ha probabilmente completato il quadro. Pochi giorni prima, tra l’11 e il 13 febbraio, però, una delegazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva visitato il Nord Kivu percorrendo la stessa strada tra tra Goma e Rutshuru, ma scortati dai caschi blu.

Rapimenti lampo
Alcuni testimoni e il governatore del Nord Kivu, Carly Nzanzu, hanno parlato di un tentativo di rapimento. Al momento è difficile ricostruire se gli attentatori sapessero della presenza dell’ambasciatore italiano a bordo. Dalle analisi dei rapimenti si può vedere come episodi del genere siano stati abbastanza frequenti tra Goma e Rutshuru negli ultimi 2-3 anni. Si tratta tuttavia di rapimenti lampo, spesso di locali, per riscatti da qualche migliaio di euro. Proprio nell’area di Nyiragongo dove è avvenuto l’agguato al Wfp, nel maggio 2018 sono stati rapiti e poi rilasciati anche due turisti inglesi e il loro autista, mentre un ranger dell’esercito congolese era rimasto ucciso.

L’attacco del 2018 è stato attribuito a miliziani delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr). Il gruppo si era già reso protagonista di molti episodi di violenza, trai quali un attacco all’interno del parco nazionale dei Virunga dove 17 persone erano state uccise, di cui 12 ranger. Negli ultimi anni, però, la maggior parte dei loro attacchi rimane a bassa intensità. I ranger del parco svolgono infatti un lavoro molto pericoloso per proteggere il parco tra bracconaggio ed estrattivismo illegale.

Gruppi armati e rivalità regionali
Ad oggi i problemi del Kivu rimangono enormi. Decine di gruppi armati continuano a generare forte instabilità e insicurezza, nonostante le elezioni presidenziali di fine 2019, che hanno visto la vittoria di Félix Tshisekedi e il ritiro di Joseph Kabila, abbiano contrassegnato la prima transizione pacifica del paese. I gruppi irregolari hanno buon gioco a muoversi tra le frontiere della Repubblica democratica del Congo e di Burundi, Ruanda e Uganda, sfuggendo a controlli e generando accuse reciproche, spesso fondate, tra i Paesi della regione dei Grandi Laghi. Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, per esempio, ha accusato Burundi e Uganda di sostenere i ribelli ruandesi attivi nelle province del Nord e del Sud Kivu della Rdc e ha minacciato ritorsioni per gli attacchi di quei gruppi al suo Paese.

Allo stesso tempo, Burundi e Uganda hanno affermano che il Ruanda sostiene i ribelli burundesi e ugandesi nella Rdc. In questo quadro, la consolidata rivalità tra due leader di lungo corso, Paul Kagame in Ruanda, con la sua controparte ugandese, Yoweri Museveni, ha spesso raggiunto toni molto decisi, con quest’ultimo che ha di frequente accusato il primo di appoggiare gli insorti della Rdc contro il governo dell’Uganda.

Un quadro regionale molto teso
La rivalità tra i due Paesi ha contribuito notevolmente a destabilizzare il Kivu. Durante la guerra inter-congolese del 1998-2003, per esempio, Ruanda e Uganda hanno sostenuto le fazioni ribelli in competizione nella Repubblica democratica del Congo orientale e hanno dispiegato le proprie forze nel Paese. Inoltre, negli ultimi 12 anni il Ruanda e l’Uganda hanno entrambi sostenuto le ribellioni nel vicino Congo.

Uno dei casi recenti più emblematici è quello del gruppo armato M23, fazioni che hanno disertato l’esercito congolese nel 2012 e sostenute inizialmente da entrambe Ruanda e Uganda. Sconfitti dalla missione Minusco nel 2013, hanno continuato a operare dall’Uganda, rientrando poi nella Rdc per creare instabilità, per esempio in prossimità delle elezioni.

La pace nella Repubblica democratica del Congo passa quindi anche, e soprattutto, dal rapporto tra i Paesi della regione dei Grandi Laghi. Soltanto il lavoro coordinato e congiunto per la pace e la stabilità nell’area attraverso una strategia ampia e condivisa potrà garantire una riduzione dei gruppi armati nella zona e prevenire altre vittime.

Nella foto di copertina EPA/STR caschi blu dell’Onu nel parco nazionale dei Virunga, dove sono stati uccisi l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo