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Un primo bilancio

Il successo (e qualche ombra) della risposta dell’Australia alla pandemia

6 Feb 2021 - Gabriele Abbondanza - Gabriele Abbondanza

La pandemia di Covid-19 ha scosso e continua a scuotere l’intera comunità internazionale, ma non tutti i Paesi sono stati colpiti in egual modo. Se da un lato la maggior parte degli Stati americani, europei, ed asiatici ha pagato un prezzo molto alto in termini di vite umane e prospettive socio-economiche, dall’altro vi è un gruppo di Paesi che è riuscito a gestire la pandemia con risultati molto diversi. Fra questi figura l’Australia, nazione che ha registrato 909 decessi su una popolazione di 25 milioni di abitanti, secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Diversi elementi hanno contribuito all’innegabile contenimento dei danni provocati dalla pandemia in Australia, inclusi fattori geografici e demografici, così come una serie di misure efficaci ma drastiche adottate da Canberra, la quale ha gestito l’emergenza sanitaria quasi al pari di una questione di sicurezza nazionale. Tali misure sono state lodate da molti per i loro effetti positivi, ma fortemente osteggiate da altri per la conseguente limitazione delle libertà individuali.

Le certezze…
A più di un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, è possibile affermare che l’Australia è riuscita a gestire la pandemia come la maggior parte degli altri Paesi sviluppati non è riuscita a fare. Alcuni elementi geografici e demografici sono imprescindibili in tal senso, e non vi sono dubbi sul fatto che l’isolamento geografico, il ridotto numero di abitanti su un territorio estremamente vasto, la bassa età media della popolazione, e la grande distanza fra i principali centri abitati abbiano contribuito a mantenere bassi contagi e decessi.

In aggiunta a ciò, il governo federale di Canberra e i governi statali hanno immediatamente adottato una serie di misure restrittive che hanno ulteriormente rafforzato l’efficace gestione della pandemia. Tra le tante, la quasi totale chiusura delle frontiere esterne, la quarantena obbligatoria in albergo per i pochi arrivi autorizzati, la selettiva chiusura delle frontiere interne, svariati divieti di assembramento e spostamento, ed orari e attività ridotti per molte categorie di attività economiche. Oltre a queste misure, l’Australia ha anche effettuato molti test – riuscendo così a tracciare con successo un gran numero di persone infette – e ha recentemente ordinato 10 milioni di dosi del vaccino Pfizer, ed è in attesa di poter ordinare quello Oxford-AstraZeneca. L’insieme di questi fattori ha potuto garantire l’invidiabile condizione in cui l’Australia oggi si trova.

… e i dubbi
In questi mesi sono emerse diverse criticità del “modello australiano”, alcune delle quali rappresentano un unicum internazionale. A cominciare dalla quasi totale chiusura delle frontiere esterne, dal momento che nel caso australiano non solo è estremamente difficile entrare nel Paese, ma è anche quasi impossibile uscirne. Il governo ha infatti deciso di vietare a tutti i suoi cittadini e residenti permanenti di lasciare l’Australia, a meno che non possano provare di soddisfare una delle pochissime eccezioni ammesse.

Ma le misure estremamente severe di Canberra hanno avuto conseguenze negative anche per i molti australiani bloccati in altri Paesi. Gli ultimi dati ufficiali confermano che quasi 40mila cittadini australiani sono bloccati all’estero e non riescono a rientrare a casa, complici i pochissimi voli ammessi in entrata per decisione del governo, e i prezzi esorbitanti che le compagnie aeree chiedono di conseguenza per i pochi posti disponibili.

Strettamente collegata alla scelta di limitare gli arrivi via aereo, poi, è la decisione di obbligare i pochi passeggeri che atterrano a sottoporsi ad una quarantena obbligatoria di 14 giorni in albergo, a proprie spese (3mila dollari per un singolo adulto, fino a 6mila per una famiglia); misura a cui si sono sottoposti anche i giocatori che sono arrivati nel Paese per gli Australian Open di tennis di queste settimane. La decisione non tiene conto del test obbligatorio effettuato entro 72 ore dalla partenza né della possibilità di effettuarne uno nuovo per chiunque atterri, il che sarebbe sufficiente ad evitare la circolazione di nuovi visitatori positivi al virus all’interno del Paese.

Infine, ha stupito non pochi esperti la decisione di Canberra di ritardare di due mesi la somministrazione dei vaccini, iniziata a fine dicembre in Europa e Nord America, ma programmata a partire da fine febbraio in Australia. In aggiunta, il governo sembra intenzionato a non rendere obbligatoria la vaccinazione per ospiti e personale delle Rsa.

Un primo bilancio
La risposta australiana alla pandemia non può che essere giudicata positivamente nel suo complesso, visti i risultati in termini di vite umane e di prospettive socio-economiche. Tuttavia questo è avvenuto a discapito dei diritti di un considerevole numero di persone, in un contesto che prevede alternative sicure e sperimentate.

A tal proposito non bisogna dimenticare che l’Australia è uno dei pochissimi Paesi sviluppati al mondo a non avere una propria Carta dei diritti umani. Con le solide basi di cui può disporre, è dunque auspicabile che l’Australia rettifichi queste poche ma significative criticità, così da divenire un esempio che il resto del mondo possa seguire senza esitazioni.

Nella foto di copertina EPA/Dave Hunt un momento degli Australian Open di tennis