Il momento “Riccioli d’oro” di Joe Biden e della politica Usa
Quando gli americani vi parlano del loro governo “riccioli d’oro” non fate l’errore di pensare al ciuffo del passato presidente: essi si riferiscono al molto meno chiomato Joe Biden. Tutto discende dalla protagonista della favola Goldilocks (in italiano Riccioli d’oro, appunto), che si trova di volta in volta di fronte a tre scelte e sceglie sempre quella “just right”, del giusto mezzo, perché, come dicevano i nostri antenati latini, la virtù sta nel mezzo.
In altri termini, Goldilocks è divenuto sinonimo di moderazione e di volontà di evitare le scelte estreme.
Niente di più adatto se si vuole placare gli animi e cominciare a ricostruire quel consenso nazionale che Donald Trump aveva distrutto. Questa volta, però, la favola sembra aver preso tutt’altra piega. Certamente il governo Biden ha tutta l’apparenza della moderazione, ma in realtà, dopo il quadriennio populista, anche l’approccio più moderato non riesce ad evitare lo scontro. In altri termini, questa volta Goldilocks vuole di più, non si accontenta, è disposta ad affrontare i nemici in nome di una grande ambizione di mutamento. E questo potrebbe rivelarsi molto problematico.
Il segnale di questo cambiamento arriva chiaro ed esplicito dagli incontri di venerdì 19 febbraio 2021: la giornata in cui gli Stati Uniti hanno pubblicamente rilanciato la loro politica multilaterale e rivendicato il loro ruolo di leader del sistema democratico occidentale. Per i prossimi quattro anni, Washington intende sconfessare le scelte fatte da Trump.
In poche ore, partecipando ad una serie di incontri multilaterali virtuali (il G7 e la Conferenza di Monaco sulla sicurezza) Joe Biden ha tracciato il suo programma sulla lotta alla pandemia, il rilancio economico, i rapporti con i Paesi più poveri, il controllo degli armamenti, la non proliferazione nucleare, la lotta al terrorismo, la crisi ambientale eccetera, chiamando a raccolta i principali alleati, la Nato, l’Unione europea, le Nazioni Unite, le altre grandi istituzioni internazionali ed infine tutti coloro che condividono gli ideali liberali e democratici. Nel complesso è stata una giornata impressionante, con un livello molto alto di consenso tra i partecipanti e notevoli impegni, anche onerosi. Tutto bene dunque?
Forse. È naturalmente lecito dubitare che, da adesso in poi, tutto andrà per il meglio, anche se senza dubbio sono state poste le premesse perché tutto vada meglio che nel passato quadriennio. I dubbi maggiori non discendono da quello che è stato detto, ma dalla vastità ed importanza di quanto è stato promesso. I maggiori leader occidentali hanno reagito ai sin troppo chiari segnali di una crisi globale montante e hanno voluto indicare da subito la loro consapevolezza dell’urgenza delle decisioni da prendere, nonché della loro importanza e complessità.
Se stiamo a quanto abbiamo ascoltato in queste ore, il mondo sta vivendo un nuovo momento di ridefinizione delle sue priorità e della sua architettura operativa, di importanza pari a quella che caratterizzò gli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia allora era ben chiaro chi erano i vincitori e chi i vinti, e quindi anche chi avrebbe dovuto prendere le decisioni che poi tutti avrebbero dovuto accettare.
Oggi non siamo in una situazione analoga. Al contrario, siamo in presenza di una dura competizione per la leadership mondiale. America is back, ha ripetuto più volte Biden, ma non è quella del 1945, anche se rimane la potenza più importante e quella che, se agisce di concerto con i suoi alleati, può ancora imporre le sue regole globali.
Riccioli d’oro ha lanciato la sua sfida, ma per vincerla ha bisogno dell’aiuto dei suoi amici: non basta più avere fiducia negli Usa, è necessario anche avere fiducia nel sistema occidentale nel suo insieme. In noi oltre che in loro, e questo è più difficile.
Riuscirà Goldilocks a riscrivere la sua favola? Stretta la foglia, larga la via…
Nella foto di copertina EPA/Mueller / MSC l’intervento di Joe Biden alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza