IAI
Una guerra contemporanea

I conflitti nella regione dei Grandi Laghi ci riguardano da vicino

25 Feb 2021 - Jean-Léonard Touadi - Jean-Léonard Touadi

La tragica scomparsa dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio – ucciso in uno scontro a fuoco nel parco nazionale di Virunga insieme al carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo – ci restituisce l’immagine di un diplomatico morto nel compimento di una missione estremamente complicata.

Attanasio si trovava nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), a 1500 chilometri  dalla capitale Kinshasa. Era andato, oltre che per salutate i connazionali italiani – soprattutto missionari e cooperanti – che vivono e lavorano in quell’area difficile della Rdc, per rendersi conto di persona dello stato di avanzamento di progetti finanziati dalla cooperazione italiana e in particolare di quello del World Food Programme che consiste nel fornire cibo e sostegno ai bambini delle scuole.

Parafrasando Franz Fanon, secondo cui “se l’Africa fosse una pistola, il grilletto si troverebbe nella Repubblica Democratica del Congo”, si potrebbe dire che, nella Rdc, quel grilletto si trova in quell’area vastissima dei Grandi Laghi africani, al confine con Uganda, Ruanda e Burundi, all’interno della quale è avvenuto l’agguato.

Una regione instabile
Un’area che conosce molto bene conflitti e violenze e dove si è combattuta la cosiddetta “prima guerra mondiale africana” e che dal 1994 versa in uno stato di instabilità. Da quando, in sostanza, dopo la campagna genocida, i miliziani Hutu lasciarono il Ruanda e si inoltrarono nel territorio congolese incalzati dall’esercito di Paul Kagame, che ha iniziato in quel momento un’operazione militare per cercare di catturarli. Da allora tutta l’area è stata destabilizzata da gruppi di guerriglieri, milizie armate e signori della guerra finanziati in parte dai Paesi vicini e in parte da colossali interessi extra-africani che hanno fatto sì che si instaurasse la cosiddetta “economia di guerra” in quella parte del Paese.

È ancora difficile stabilire la responsabilità di questo attentato. Nella Rdc tutto è complesso e intricato in una rete molto difficile da dispiegare, specie in questi casi. L’area in cui è avvenuto l’attacco si trova vicino al Nyiragongo, a nord di Goma, dove si trova effettivamente uno dei feudi della ribellione Hutu ruandese, facente capo alle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), e delle milizie Hutu congolesi chiamate Nyatura, la cui presenza è attestata sin dalla metà degli anni Novanta. Ma nella stessa area operano anche i ribelli congolesi dell’M23 e le milizie islamiste dell’Adf che, sebbene operino di norma lontano da questa zona, negli ultimi anni hanno attuato una strategia di frammentazione per dispendersi in tutto il vasto territorio del Paese.

Ecco perché è molto difficile stabilire con precisione oggi responsabili, mandanti ed esecutori. Si trattava di un convoglio dell’Onu, quindi molto riconoscibile per le bandiere. Ma chi sapeva della presenza di un alto diplomatico nel convoglio?

L’economia di guerra
Quello che sappiamo è la presenza dell’”economia di guerra”, nell’area più ricca non solo dell’Africa ma del mondo intero e definita uno “scandalo geologico” per la quantità e la qualità dei minerali di pregio presenti nelle sue miniere, dall’uranio ai diamanti passando per oro e coltan, diventato negli ultimi decenni il prodotto più strategico per le multinazionali. Queste preferiscono trattare con i signori della guerra, alimentando un circolo vizioso in cui le milizie vengono rifornite di armi, si impossessano delle miniere e riforniscono i jet privati delle compagnie.

Gli attori, quindi, sono locali come locali sono le vittime. Parliamo di un’area in cui lo stupro è utilizzato come strumento di guerra e i bambini vengono inquadrati nelle milizie armate. Un’area composita, dove l’economia di guerra è talmente radicata da sfuggire al controllo di Kinshasa e per cui qualcuno sostiene di dover già parlare della Repubblica Democratica del Congo come di uno Stato fallito.

La presenza dei jihadisti
La regione dei Grandi Laghi, però, ha visto anche la penetrazione dei jihadisti dell’Isis. Il califfato, come in Somalia, Sud Sudan e nel Sahel, si mostra ancora una volta dedito alla ricerca del ventre molle del continente e la Rdc, così come la abbiamo descritta, rappresenta davvero un terreno fertile per l’espansione dell’islamismo e del fondamentalismo.

La grande scommessa per gli integralisti è di dilagare in quest’area dell’Africa, in cui la fede islamica è marginale e pari a circa l’1% della popolazione, e, attraverso la presenza già stabile dello jihadismo in Sudan, Uganda e Africa orientale, arrivare anche nella Repubblica Democratica del Congo.

Ciò darebbe vita a una situazione estremamente pericolosa poiché potenzialmente in grado di concedere alle milizie islamiche il controllo di una fascia importante del territorio dei Grandi Laghi e dell’Africa centrale. Esiste una tale porosità dei confini da rendere la penetrazione islamica non solo possibile ma anche abbastanza facile, con la conseguenza di assistere ad una destabilizzazione drammatica di tutta l’area.

Siamo, però, ben lontani da un inquadramento del conflitto in atto come guerra etnica. Se è vero che gli attori e le vittime sono congolesi, gli interessi in gioco, la geopolitica e la geoeconomia vanno molto al di là delle contrapposizioni etniche del Paese. Siamo di fronte ad una guerra contemporanea, frutto della globalizzazione ed è bene rendersi conto che quello che è successo riguarda da vicino il nostro modo di vivere e di consumare.

Nella foto di copertina EPA/Hugh Kinsella Cunningham un panorama della regione del Kivu