I cattolici tradizionalisti Usa disorientati dall’avvio della presidenza Biden
All’indomani dell’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca, sondaggisti e analisti si sono prodigati nel far passare un messaggio chiaro: il candidato democratico ha sconfitto sonoramente il presidente uscente Donald Trump. Sono bastate poche settimane dal giuramento, però, per rimettere sul tavolo gli smottamenti domestici degli Stati Uniti e per mettere in chiaro che l’eredità di Trump è tutt’altro che archiviata.
Le fratture dell’America, del resto, non sono (solo) il risultato della presidenza di Trump. E, di conseguenza, queste non si ricomporranno con il buen retiro dell’ormai ex presidente nella sua villa di Mar-a-Lago, in Florida. Il successo di Trump su Hillary Clinton nel 2016 è uno dei picchi di una escalation tutta interna agli Stati Uniti, che ha abbondantemente superato il livello di guardia con l’assedio a Capitol Hill del mese scorso. Fisiologicamente, la pressione si è ridotta dopo aver raggiunto il punto critico. Ma neppure il record di voti ottenuto da Biden a novembre può evitare che, prima o poi, essa torni a salire.
Nelle ultime settimane, le prime da presidente in carica per Biden, oltre alla questione economica ed occupazionale legata alla cancellazione del progetto dell’oleodotto Keystone XL e al procedimento, andato in fumo per l’opposizione della gran parte del Partito repubblicano, per il secondo impeachment di Trump, a riaprire le ferite della nazione ci sono anche le schermaglie che – da anni – rompono e dividono la comunità cattolica statunitense.
La polarizzazione della Chiesa americana tra conservatori sempre più conservatori e liberal sempre più liberal, in uno schema che ricalca quasi al millimetro il sistema partitico, non riguarda soltanto la dottrina, ma anche lo Stato. E non solo per il legame profondo e inscindibile che c’è tra fede e politica negli Stati Uniti, ma anche – e soprattutto – perché sessant’anni dopo John Fitzgerald Kennedy, il presidente è nuovamente cattolico.
Il “complesso di Masada”
Nell’anno del 700esimo anniversario della morte di Dante, la frangia conservatrice dei cattolici statunitensi si è ritrovata ad essere privata dei due soli che regolavano la vita del poeta. Il primo, quello papale, si è spento con l’elezione di Francesco nel 2013. Troppo preso sul fronte sociale ed economico per capire i tormenti di una comunità impegnata quotidianamente nelle culture wars e troppo poco attento ai temi della bioetica, della sessualità e della famiglia. Il messaggio pastorale del pontefice, per i conservatori cattolici, è irricevibile alla radice. Il motivo? Il suo codice linguistico proviene direttamente dal Concilio Vaticano II, le cui riforme e aperture sono avversate dai cattolici più integralisti.
Con l’insediamento di Biden, anche il sole con cui Dante rappresentava l’imperatore si è spento. Tra le bandiere che sfilavano a Capitol Hill durante l’assalto del 6 gennaio ce n’era una piuttosto eloquente: “Jesus is my savior, Trump is my president”. Per i conservatori cattolici, Biden è il volto dell’establishment relativista e secolarizzante che mette in pericolo l’anima intimamente cristiana della nazione e che lo stesso Trump – più per tattica che per convinzione – aveva promesso di combattere come Costantino contro Massenzio. Per mantenere intatta la sacralità americana.
Come ha scritto padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, papa Francesco non vuole una Chiesa arroccata, chiusa ed impaurita, presa come da un “complesso di Masada”, che porta a sentirsi continuamente attaccati dai nemici. I conservatori americani, però, con l’elezione del pur cattolico Biden, si sentono proprio così. Cinti d’assedio, sferzati dai colpi di una società che non rispecchia più i valori e l’ordine che il cattolicesimo a stelle e strisce promuove e sostiene.
Dalla nomina di Rachel Levine come assistant secretary al Dipartimento della Salute – prima funzionaria federale transgender nella storia americana, che già in passato si era espressa contro la proposta di legge per vietare l’aborto dopo le 20 settimane di gravidanza – alla revoca della Mexico City Policy –, il divieto di stanziamento di fondi per le organizzazioni non governative internazionali che praticano l’aborto –, Biden, nei primi giorni del suo incarico, ha alimentato ancor di più questa sensazione di accerchiamento. Per i conservatori la risposta è stata il contrattacco.
Le reazioni del clero americano
A prendere la parola ci ha pensato José Gomez, arcivescovo di Los Angeles e presidente della Conferenza episcopale statunitense (Usccb). In una nota del 20 gennaio, contestualmente al giuramento di Biden, Gomez ha espresso l’intenzione di lavorare fianco a fianco alla nuova amministrazione, presieduta dopo decenni da un altro cattolico. La diplomazia dei primi paragrafi, però, lascia spazio alla controffensiva. “Il nostro nuovo presidente”, scrive Gomez, “si è impegnato per realizzare certe politiche che promuoverebbero mali morali e minaccerebbero la vita umana e la dignità”, in particolare per quanto riguarda “l’aborto, la contraccezione, il matrimonio e il gender”. Non certo il più caloroso dei benvenuti per il nuovo presidente cattolico.
Ma la voce di Gomez, in uno scenario così frammentato, non poteva rimanere l’unica. Il vescovo di Chicago Blase Joseph Cupich, nominato cardinale da Bergoglio nel 2016, si è schierato contro lo stesso Gomez, esprimendo dissenso per questa presa di posizione e criticando il tono della nota rilasciata dall’Usccb. Per Cupich, uno dei principali referenti di papa Francesco al di là dell’oceano Atlantico, quanto espresso da Gomez non è il frutto di un processo collegiale e condiviso. E, perciò, non rappresenta l’interezza della comunità cattolica. A riprova che una divisione profonda in America, almeno religiosa, esiste.
Nel futuro, la pressione sull’amministrazione Biden da parte della componente conservatrice aumenterà sempre di più. L’assenza di Trump dallo scenario politico non ne ridurrà la portata; al contrario, esaspererà la narrazione di un Paese minacciato dal secolarismo di marca dem. Se, poi, l’esperienza dell’ex vicepresidente di Obama dovesse concludersi nel 2024 per lasciar spazio a candidati più vicini all’ala di sinistra del Partito democratico, allora la pressione tornerebbe nuovamente a farsi critica.
Alcune avvisaglie ci sono già. Il pontefice, pochi giorni fa, in occasione del sessantesimo anniversario dalla nascita dell’Ufficio Catechistico Nazionale, ha posto i cattolici di fronte a un bivio: seguire il Concilio e stare con la Chiesa, oppure non seguire il Concilio e non stare con la Chiesa. Un colpo duro, che potrebbe anche avere ripercussioni. Magari, fino a uno scisma americano.
Foto di copertina EPA/Michael Reynolds