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Dopo il voto in Catalogna

Governo indipendentista o socialista? Il dilemma di Erc

16 Feb 2021 - Leonida Tedoldi - Leonida Tedoldi

I risultati delle consultazioni anticipate del 14 febbraio in Catalogna, segnate dalla scarsa affluenza – poco più del 50% – e dalla paura della pandemia, erano per gran parte prevedibili. I socialisti (Psc) hanno ottenuto un successo notevole, primo partito in percentuale di voti e alla pari per seggi con Esquerra Republicana (Erc), 33, grazie alla candidatura di Salvador Illa, ex ministro della Salute del governo di Pedro Sánchez, e figura di prestigio dell’esecutivo nazionale. I due grandi partiti indipendentisti, Erc e Junts, coalizione politica centrista guidata dall’estero da Carles Puidgemont, hanno mantenuto i consensi dell’ultimo decennio; Ciudadanos è crollato, perdendo ben 30 seggi, così come il Partido Popular (Pp, che ne racimola solo 3) e En Comú Podem, federato alla formazione nazionale di Pablo Iglesias, che ha nella sindaca di Barcellona Ada Colau la leader riconosciuta, sono rimasti su valori contenuti, come è stato negli ultimi anni.

Tuttavia ci sono state anche delle sorprese, più o meno annunciate: quella del balzo dell’estrema destra di Vox, che conquista 11 seggi, e la quasi estinzione del Partit demócrata europeo Catalá, la formazione di Artur Mas, che si ispira direttamente alla tradizione democristriana – da Jordi Pujol in poi – di Convergencia i Unió, che non ottiene alcun seggio.

Mentre la sorpresa più rilevante, da molti punti di vista, è la nuova avanzata della formazione della sinistra radicale, indipendentista, Candidatura d’Unitat Popular (Cup) che raggiungendo i 9 seggi (poco più del 6% dei voti) può permettere ai grandi partiti indipendentisti di formare una coalizione di governo solida in termini di seggi.

L’avanzata dell’indipendentismo
Nella redistribuzione geografica dei voti si nota che l’avanzata dell’indipendentismo, molto diffusa nel nord della Catalogna è ancora prevalentemente fuori dalla città più importanti. In queste vi è stata una contesa tra Erc e socialisti, tornati ad essere competitivi a Barcellona, Tarragona e Lleida, recuperando in gran parte anche il consenso attribuito nelle precedenti consultazioni a Ciudadanos, mentre Girona e anche Figueres, seppure in forma minore, sono ancora saldamente roccaforti di Junts e le più grandi sostenitrici di Puidgemont. Questa condizione costituisce un ulteriore elemento di interesse, che potrebbe anche prefigurare un cambiamento nelle intenzioni di voto nella società catalana.

Comunque, se si volge l’attenzione verso le percentuali dei voti, rispetto ad un sistema elettorale che attribuisce molta premialità in termini di seggi, si nota che la somma dei voti del blocco indipendentista nel Parlamento catalano non possiede la maggioranza, ma si attesta sul 48%, due punti in più delle consultazioni precedenti – (74 seggi; la maggioranza è 68 -, ma se a questa percentuale si somma il 3% del Partit demócrata, che pure non ha ottenuto seggi, possiamo dire che per la prima volta il blocco indipendentista va oltre la maggioranza dei voti. In realtà, più o meno 4% in più.

Tale situazione conferma un radicamento dell’indipendentismo che ormai è una realtà e che determina una forte spaccatura della società catalana in due parti, decennale, anche dopo l’attivazione dell’articolo 155 e le varie incarcerazioni dei leader. Se questa in qualche modo è la radiografia delle consultazioni, bisogna anche aggiungere, su un altro piano, più politico, che i rapporti tra Erc e Junts soprattutto, ma anche con Cup, non sono stati dei migliori negli anni più recenti, seppure condividessero il Govern.

Il bivio di Aragonés
Per due ragioni: una diversa idea di definizione del processo indipendentista, più radicale in Junts e pactado in Erc, ma anche per il sostegno tattico al governo centrale di Sánchez, e di Podemos, da parte di Esquerra, che condivide anche un’ideologia di ispirazione socialista. Tale tatticismo può ora trasformarsi in dilemma per il leader della sinistra repubblicana Pere Aragonés e anche del suo mentore, l’ex vicepresidente Oriol Junqueras; ma può anche mutare in opportunità di soluzioni nuove, attraverso un governo delle sinistre più solido di quello, ormai storico, di Pasqual Maragall all’inizio del secolo che aveva riformato lo statuto di Catalogna, che possa superare anche gli accordi tra formazioni indipendentiste contro il presidente Sánchez e il Psoe.

Aragonés ha quindi un ruolo decisivo per la formazione del futuro governo e per molti versi la Cup detiene ancora una volta la chiave dell’alleanza, sebbene il suo indirizzo sia quello spesso radicale dell’autodeterminazione e dell’indipendenza immediati. Aragonés dovrà quindi sciogliere il dilemma: costruire nuovamente la coalizione indipendentista di governo con Junts e Cup e superare però le forti divisioni interne sul processo di autodeterminazione, oltre a cercare l’accordo con En Comú, oppure formare una coalizione completamente di sinistra, ma mista se si può dire, non esclusivamente indipendentista, con i socialisti di Illa e la formazione di Colau, ma che potrebbe portare ad un processo pactado, ad un nuovo accordo, su un piano più elevato e condiviso, della questione catalana.

Come ha detto Aragonès a caldo dopo i risultati definitivi: “Es la hora de resolver el conflicto”. Vedremo quale strada verrà perseguita, anche se l’attrattiva verso il governo indipendentista al quale si possa aggregare En Comú rimane la strada spesso auspicata da Junqueras.

Nella foto di copertina EPA/Alberto Estévez il leader di Esquerra Republicana Pere Aragonés insieme al presidente del partito Oriol Junqueras dopo l’annuncio dei risultati che danno a Erc gli stessi seggi (33) dei socialisti.