Incognita elezioni in Palestina: incertezza dopo l’annuncio
Bisognerà attendere questa settimana e un incontro al Cairo per capire se le elezioni palestinesi avranno luogo prossimamente. Dopo sedici anni di attesa e oltre quindici giorni dall’annuncio da parte del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) delle date delle tre tornate elettorali, la situazione non è ancora chiara.
Non sono chiari i candidati, soprattutto alla presidenza, a parte ovviamente lo stesso presidente in carica. Il nodo fondamentale, che rende ancora appese ad un filo il voto, è l’accordo tra Fatah e Hamas. Se i due partiti hanno raggiunto un accordo a Istanbul il mese scorso, intesa che ha aperto le porte alle elezioni, sarà in Egitto che si discuteranno i dettagli. E il tavolo potrebbe saltare. Anche per le pressioni esterne, oltre che i problemi interni.
Recenti sondaggi danno Fatah al 38% e Hamas al 34%. Per le presidenziali, il 50% dei palestinesi preferirebbe Ismail Haniyeh, il leader di Hamas, alla guida del Paese, mentre il 43% rivoterebbe per Abu Mazen.
Che succederebbe se Hamas dovesse vincere? Quale la reazione dell’Occidente, soprattutto Israele, Stati Uniti e Unione europea (che considerano Hamas gruppo terroristico) se si dovesse ripetere il risultato elettorale del 2006? E Abu Mazen e i suoi, potrebbero mai permettere ad Hamas di vincere? E che ne sarà quindi di Gaza? Tutti interrogativi e nodi difficili da sciogliere, da qui lo scetticismo verso le possibilità che si tengano le elezioni, già annunciate e mai tenute in passato.
La lunga strada verso le urne
La roadmap elettorale, però è stata definita: il 22 maggio il voto per i membri del Consiglio legislativo palestinese (il Parlamento dell’Autorità palestinese), il 31 luglio quello per il presidente dell’Autorità palestinese e, un mese dopo, quello per i membri del Consiglio nazionale palestinese, che è l’organo legislativo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina.
Proprio il modo di svolgere le elezioni è stato uno dei punti di contrasto tra la fazione di Fatah e quella di Hamas che è al potere Gaza e che chiedeva che le consultazioni si tenessero simultaneamente nello stesso giorno.
Le prime elezioni presidenziali palestinesi si tennero nel 1996 e videro la vittoria schiacciante di Yasser Arafat contro il suo unico rivale Samiha Khalil. Successive elezioni si tennero nel 2005, un anno dopo la morte del leader palestinese, e Abu Mazen vinse contro altri sei contendenti. Da allora, nonostante il suo mandato sia scaduto nel 2009, e nonostante abbia più volte detto di voler convocare nuove elezioni, l’ottuagenario presidente palestinese è rimasto sempre al suo posto, prolungando il suo mandato.
Le ultime elezioni parlamentari, nel gennaio 2006, videro Hamas superare Fatah. Un anno dopo, il gruppo prese con un colpo di Stato il controllo di Gaza, decretando da un lato il confinamento della Striscia per sicurezza da parte di Israele, dall’altro l’isolamento e l’embargo da parte dell’Autorità palestinese.
Accordo in Turchia
In questi anni, diverse volte le due compagini palestinesi si sono riconciliate e hanno annunciato un accordo sulle elezioni, ma non si è mai raggiunto nulla. Nel 2019, parlando all’assemblea dell’Onu, Abu Mazen aveva annunciato che avrebbe tenuto le elezioni in Palestina presto. Altra promessa caduta nel vuoto, fino all’accordo raggiunto dalle parti nello scorso settembre in Turchia.
Da settembre ad oggi, i vertici di Fatah e di Hamas si sono accordati e hanno limato le rispettive posizioni sul come e quando andare al voto. Allo stato attuale, non si è mai lavorato per una successione ad Abu Mazen che, ormai 85enne, è anche sfiduciato da gran parte della sua popolazione che lo vorrebbe dimissionario. Il vecchio leone, però, non cede, ed è pronto a ricandidarsi, contando su una serie di relazioni soprattutto esterne, a cominciare da quella con il nuovo inquilino della Casa Bianca Joe Biden, che aveva stretto quando questi era vicepresidente Usa.
Dahlan: una candidatura impossibile
Abbas è visto da molti palestinesi come amico di Israele, anche se ha sfruttato questa amicizia solo per liberarsi di avversari politici, tra cui esponenti Hamas e membri del suo stesso partito ma avversari, come Mohammad Dahlan. Proprio quest’ultimo era uno dei papabili a guidare il Paese, ma la sua candidatura è stata resa impossibile da una condanna.
Dahlan nasce nel 1961 in un campo profughi della striscia di Gaza, dove fa crescere il movimento giovanile di Fatah. Arrestato diverse volte dagli israeliani, ma mai per attività terroristiche, ha la possibilità, nei suoi soggiorni forzati in carcere, di imparare bene l’ebraico. Diventa capo della forza di sicurezza preventiva di Gaza durante gli accordi di Oslo, contando su oltre 20mila uomini e avendo, ovviamente, contatti con le intelligence di mezzo mondo, in particolare israeliana e americana.
Alla fine degli anni ’90, comincia la sua parabola discendente, con l’accusa di essersi appropriato di enormi quantità di soldi pubblici. Si sa che sia gli Usa che l’Unione europea lo hanno sempre visto come il successore naturale di Abu Mazen, tanto che fu chiesto da alcuni governi la sua ufficiale nomina a vice.
Ma nel 2011 le accuse di frode furono rinvigorite da Abu Mazen, unendole a quelle per l’uccisione di Arafat, tanto da spingere l’uomo a scappare prima in Giordania e poi negli Emirati Arabi Uniti (Eau) e portando alla sua condanna in contumacia ad alcuni anni di carcere e alla restituzione delle somme sottratte. Da allora, Dahlan è consulente per gli affari palestinesi degli Eau e non ha mai negato di essere dietro alla riconciliazione tra Abu Dhabi e Israele con gli accordi di Abramo.
Gli altri
Alla finestra c’è pure Jibril Rajoub, l’uomo dietro l’accordo tra Fatah e Hamas. Segretario generale del movimento di Ramallah, Rajoub è anche popolare per essere il presidente del Comitato olimpico palestinese ma, soprattutto, della Federazione gioco calcio della Palestina.
Lato Hamas, Saleh al-Arouri aspira a prendere presto il posto di Ismail Haniyeh, il leader del movimento di cui ora è il vice, nelle prossime consultazioni interne. Difficilmente Hamas, anche in questo momento di distensione, sosterrebbe Abu Mazen o qualche suo sodale. Potrebbe fare una eccezione per Rajoub, visti i suoi rapporti con il movimento e al-Arouri, e potrebbe sostenere Marwan Barghouti, l’ex leader di Tanzim, uno dei bracci armati di Fatah, leader nella Seconda intifada, in carcere in Israele perché condannato a svariati ergastoli per diversi attentati. La sua candidatura è stata avanzata nei giorni scorsi e, ovviamente, avversata da Fatah.
Foto di copertina EPA/Mohammed Saber