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Prospettive di normalizzazione

Cuba si apre al libero mercato: cosa cambia nei rapporti con gli Usa

11 Feb 2021 - Gianluca Lo Nostro - Gianluca Lo Nostro

Il 2021 sarà l’anno della ripresa economica un po’ per tutti. Negli Stati Uniti bisognerà aspettare ancora diversi mesi prima di ritornare ai livelli di crescita pre-pandemia, mentre in Europa gli indici si ristabiliranno intorno al 2022. L’incognita internazionale per eccellenza sono i Paesi in via di sviluppo, tra cui si annovera Cuba. Il governo dell’Avana è stato pesantemente colpito dalla pandemia, dal punto di vista economico e sanitario. Nei giorni scorsi l’annuncio di una graduale apertura al libero mercato, con una riforma complessiva dello Stato che estende la gran parte dei settori produttivi all’iniziativa privata – si passerà dagli attuali 127 a oltre 2mila -.

Sono trascorsi quasi trent’anni da quando l’Unione sovietica ha cessato di esistere, dissolvendo un indotto fondamentale per l’economia cubana. La contrazione del turismo causata dal Covid-19 ha portato il Paese quasi al collasso, producendo una gravissima crisi sociale e dei consumi. L’origine di questo crollo, tuttavia, non va identificata con l’inizio della pandemia. Fu proprio la scomparsa dell’Urss ad arrestare permanentemente la crescita dell’arcipelago. Per uno Stato esportatore come Cuba, perdere il principale partner economico-commerciale è una tragedia, soprattutto se non si riesce a controbilanciare il macigno dell’embargo americano in vigore dagli anni Sessanta.

L’ultima risorsa rimasta è la sanità, sopravvissuta al terribile periodo especial degli anni Novanta e da sempre ritenuta di altissimo livello per via dell’invidiabile know-how dei medici cubani, ma che potrebbe presto diventare un lontano ricordo se non ci sarà un ricambio generazionale. In assenza di investimenti nel sistema sanitario e alla luce di una demografia che non sorride alle nuove generazione, è infatti altamente probabile che anche la sanità subisca un declino in futuro.

Il nuovo corso sull’isola
Il governo cubano ha provato a risolvere questa drammatica situazione intervenendo in vari campi, dalla politica all’economia. Innanzitutto, rinnovando la classe dirigente del Partito comunista cubano, con l’avvicendamento di Miguel Díaz-Canel alla presidenza del Consiglio di Stato al posto dell’immarcescibile Raúl Castro. Il nuovo leader politico ha inaugurato una stagione di riforme iniziata con l’approvazione di una nuova Costituzione che afferma il ruolo irrevocabile del socialismo e limita la durata dei mandati del capo dello Stato. La novità più importante, però, è stato il riconoscimento della proprietà privata per la prima volta dalla rivoluzione castrista.

Non si è trattato di una trasformazione radicale, ma di un primo passo verso la transizione a un’economia di mercato. Un riconoscimento necessario, dettato dal dilagare del mercato nero nel Paese. Per fronteggiare la pandemia, il governo aveva fatto affidamento su una valuta parallela, sul modello del petro venezuelano. Questo progetto è stato da poco accantonato, avendo causato un preoccupante aumento delle importazioni delle derrate alimentari che ha danneggiato la produttività delle imprese controllate dallo Stato.

La scommessa di Biden
Se però la trasformazione radicale pareva soltanto rimandata, adesso L’Avana sembra fare sul serio. La sconfitta di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti ha aperto la porta a nuovi scenari, nonostante la decisione di inserire Cuba tra gli Stati sponsor del terrorismo, arrivata pochi giorni prima della fine del suo mandato. Joe Biden, il quale finora non ha dimostrato remore a cancellare l’eredità del suo predecessore, sembrerebbe pronto a ricominciare da dove l’amministrazione di cui era vice aveva lasciato.

Nel 2016, Barack Obama fu il primo presidente americano ad andare in visita ufficiale a Cuba. Il suo obiettivo era quello di avviare un lento disgelo nelle relazioni con l’isola. La volontà di una tregua tra Washington e L’Avana sembrava comune. Per il Partito democratico, le sanzioni e il sessantennale embargo sono ormai anacronistici; una posizione, questa, che ha contribuito ad alienare il consenso degli immigrati cubani a vantaggio dei repubblicani. Ora che Trump ha lasciato la Casa Bianca e il clima da guerra fredda è sparito, una normalizzazione dei rapporti Usa-Cuba, sebbene appaia ancora lontana, sarebbe nell’interesse di entrambe le parti in gioco.

Un’alleanza commerciale in funzione anti-Pechino
Le riforme economiche dell’Avana hanno, in un certo senso, guardato agli Stati Uniti, in particolare al flusso di denaro proveniente dalla minoranza cubana in Florida. Il governo cubano potrebbe ottenere da Washington un accordo simile a quello attualmente in vigore con il Vietnam. Molteplici sarebbero le ragioni a sostegno di quest’ipotesi. Primo: il regime potrebbe mantenere il suo assetto autoritario, preservando il sistema monopartico, in cambio di un’apertura ai mercati stranieri. In secondo luogo, un avvicinamento all’America converrebbe sia a quest’ultima sia a Cuba.

Un’eventuale alleanza commerciale avrebbe infatti una funzione anti-cinese, allontanando Cuba dalla famosa trappola del debito (debt-trap diplomacy) che Pechino, secondo i suoi critici, metterebbe in atto con gli Stati più poveri. In ultima analisi, questo status privilegiato per l’isola caraibica potrebbe risolvere l’annosa crisi demografica, ponendo fine all’immigrazione di massa verso la costa sud-orientale degli Stati Uniti.

Resta, tuttavia, il nodo dei diritti umani, un principio quasi non negoziabile per l’America di Biden. Un’apertura di Cuba al mondo esterno dovrebbe coincidere con una graduale liberalizzazione politica per rendere accettabile un accordo di natura commerciale che annulli l’embargo. Questa è la stessa speranza che all’inizio del nuovo millennio ispirò le politiche dell’amministrazione Clinton nei confronti della Cina. Nel frattempo, il mantra dell’esportazione della democrazia è diventato un tabù negli ambienti diplomatici americani. La rinuncia di Biden a un regime-change in Venezuela potrebbe essere un indizio prezioso.

Foto di copertina EPA/Ernesto Mastrascusa