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La carta Draghi e l'ora del Recovery

Crisi di governo: il “rischio Italia” non è più quello di una volta

3 Feb 2021 - Federico Niglia - Federico Niglia

Il presidente della Camera Roberto Fico ha rimesso nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il mandato esplorativo per ricomporre una maggioranza a partire dalla coalizione che sosteneva il governo entrato in crisi nei giorni scorsi. Gli scenari si susseguono con estrema rapidità sia in termini di persone candidabili alla guida dell’esecutivo – l’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi salirà al Colle questa mattina – sia nell’alternativa del voto anticipato.

Il tutto è complicato da un’emergenza pandemica che, pur non mettendo in discussione le procedure chiave della democrazia (in particolare quella del ritorno alle urne), certamente ne rende l’attuazione particolarmente complicata, come evidenziato dallo stesso Mattarella commentando il fallimento del mandato esplorativo di Fico.

Ad aggravare ulteriormente questo quadro vi è, infine, la necessità di formulare un piano credibile per la spesa delle ingenti risorse economiche del Recovery Plan che, nel quadro dell’Unione europea, vengono destinate al sostegno e soprattutto (almeno in teoria) allo sviluppo strutturale dell’Italia.

Mercati e Ue comprensivi
Mettendo tutti questi elementi in fila si può legittimamente affermare il momento che l’Italia sta attraversando è particolarmente complesso e problematico e che vi sarebbero tutti gli ingredienti per una riflessione approfondita sul “rischio Italia”. È però interessante notare come in questo frangente non si siano accesi quei campanelli di allarme – lo spread tra Btp e Bund tedeschi è quello sicuramente più noto, ma non è l’unico – che invece hanno iniziato a lampeggiare nel recente passato.

A voler essere più precisi, l’attuale crisi sembra non destare quelle preoccupazioni che ha destato invece la formazione del primo governo Conte e, sempre nell’ambito di quell’esperienza politica, il passaggio dell’approvazione della legge di bilancio sul finire del 2019. È allora forse giusto chiedersi quali sono le ragioni di questa apparente comprensione che mercati e istituzioni europee e internazionali mostrano di fronte all’attuale situazione dell’Italia e quali sono i fattori che realmente potrebbero porre un problema di credibilità del Paese sulla scena europea ed internazionale.

Una prima riflessione riguarda il ruolo dei partiti e gli equilibri di governo. Questi ultimi due anni hanno visto un progressivo depotenziamento di alcune delle “spinte populistiche” di certe forze politiche, quanto meno di quelle proposte politiche che rappresentavano e venivano percepite come destabilizzanti degli assetti su cui riposa la collocazione internazionale dell’Italia.

Metamorfosi M5S e Lega alla finestra
Questo discorso vale principalmente per le forze del governo Conte II: il Movimento Cinque Stelle ha infatti compiuto, nella stagione di cooperazione con il Partito Democratico, una mutazione profonda rispetto alle sue premesse iniziali che ha portato molti osservatori internazionali a derubricarlo dalla lista dei soggetti portatori di istanze destabilizzanti.

Resta certamente da vedere in che modo si evolverà il Movimento nel caso di una dinamizzazione del contesto nazionale, ma è innegabile che al momento l’ipotesi di un ritorno alle origini non sembra preoccupare gli osservatori esterni.

Un discorso forse diverso potrebbe essere fatto per l’altra forza che aveva prevalso nelle elezioni del 2018: la Lega. Le posizioni di quest’ultima nel primo governo Conte hanno alimentato le tensioni con l’Unione europea e l’uscita del partito dal governo le ha permesso, al contrario del Movimento Cinque Stelle, di continuare a cavalcare un certo populismo anti-europeo anche in seguito.

Il tema degli orientamenti della Lega, e più in generale della compagine di centro-destra, assume una certa importanza soprattutto se si ragiona (nell’immediato o in prospettiva) sullo scenario elettorale o sul sostegno parlamentare a un governo Draghi. Ma si può forse affermare che tutti quelli che a vario titolo si occupano d’Italia, siano essi le istituzioni europee, le cancellerie degli altri Paesi o gli operatori economici e finanziari, hanno in un certo senso metabolizzato la trasformazione politica degli ultimi anni e tuttora in corso.

Instabilità governativa e continuità amministrativa
Il minor peso delle dinamiche legate agli equilibri tra partiti non fa però venir meno una questione centrale, che è quella della capacità di svolgere un’azione di governo efficace.

L’endemica instabilità governativa, tratto tipico anche della Seconda Repubblica, ha incentivato una continuità, nella realizzazione delle politiche e delle riforme, garantita da una struttura burocratica e tecnocratica che ha un peso tanto importante quanto spesso poco evidente. È ragionevole attendersi che questo mondo profonda uno sforzo significativo in quell’opera titanica che è il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea per accedere ai fondi di Next Generation EU.

Le strutture incaricate di definirlo e gestirlo hanno contribuito a porre il Piano su un binario di sostenibilità, dando priorità, ad esempio, ai progetti finanziati a legislazione vigente. La magnitudine del programma di finanziamento europeo è però tale da non poter essere gestita con gli strumenti, pur importanti, dell’efficienza burocratica. È un programma che richiede una visione eminentemente politica che prevenga, da un lato, l’emergere di logiche spartitorie da parte dei partiti e promuova, dall’altro, un ampio processo di riforma strutturale del Paese.

Sulla capacità del sistema politico di definire quello che qualcuno ha felicemente definito come un “vincolo interno” passa la maggiore o minore capacità di attraversare questo momento di transizione. E proprio sulla capacità di compiere tale passaggio si configura, in termini nuovi, quel “rischio Italia” che da sempre accompagna il Paese nella sua storia.

Foto di copertina ANSA/Fabio Frustaci