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Ripensare il multilateralismo

Autonomia strategica: cosa serve per un’Ue protagonista nel mondo

27 Feb 2021 - Nathalie Tocci - Nathalie Tocci

Il dibattito sull’autonomia strategica europea ha ritrovato slancio in occasione della seconda giornata del Consiglio europeo in videoconferenza del 25-26 febbraio, il primo a cui Mario Draghi ha partecipato da premier italiano. Spesso confusa con la sovranità, l’indipendenza, l’unilateralismo e, a volte, persino con l’autarchia, in verità essa – come suggerisce l’etimologia greca della parola – si riferisce alla capacità di vivere secondo le proprie leggi. L’autonomia non implica, insomma, l’indipendenza e ancor meno l’unilateralismo o l’autarchia. Per vivere secondo le proprie leggi, regole e norme, l’Unione europea, pur essendo pronta a farlo, non deve però agire da sola.

Infatti, dal momento che il multilateralismo rappresenta un carattere fondante dell’assetto interno e dell’identità esterna dell’Ue, l’attitudine del blocco sarà sempre quella di agire insieme agli altri, a partire dai suoi partner principali, come le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e la Nato, e dalle altre organizzazioni regionali. Il cammino dell’Ue verso l’autonomia possiede sia una componente interna sia una internazionale e, più precisamente, multilaterale. Un’Unione europea autonoma è in grado di vivere secondo le proprie leggi e norme sia proteggendole internamente, sia collaborando con gli altri in un contesto internazionale basato su regole che essa stessa ha contribuito a creare.

Il dibattito sull’autonomia strategica europea ha assunto rilevanza politica in risposta allo sviluppo interno dell’Ue e ai profondi cambiamenti del sistema internazionale. Internamente il progetto europeo si è trasformato da un mercato unico in un’unione economica e monetaria, con uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia e una nascente politica estera. Nella morsa delle crisi, ha stabilito un’unione bancaria e promette ora un’unione anche fiscale. Alla luce di questo sviluppo interno della costruzione europea, l’autonomia strategica è diventata una possibilità.

Esternamente, la profonda trasformazione del sistema internazionale ha fatto dell’autonomia strategica europea una necessità. Per la maggior parte della sua esistenza, il progetto europeo si è sviluppato nel quadro del cosiddetto ordine liberale internazionale, un ordine fatto da organizzazioni internazionali, leggi, norme, regimi e pratiche fondate sul potere degli Stati Uniti. Quel mondo sta, tuttavia, svanendo. Gli Usa rimangono l’unica grande potenza in grado di proiettare la propria influenza, compresa quella militare, a livello globale, ma non detengono più un’egemonia incontrastata. Economicamente, nonostante il primato finanziario e la vitalità imprenditoriale, il vantaggio tecnologico e l’eccellenza accademica, gli Stati Uniti sono ora alla pari con la Cina e presto potrebbero pure essere sorpassati. Politicamente, le ammaccature nella democrazia degli Stati Uniti, soprattutto durante l’amministrazione Trump, indicano un declino del soft power americano e un risveglio di alcune tendenze isolazioniste o, per meglio dire, un impegno selettivo di Washington nel mondo solo quando sono in gioco i propri diretti interessi.

Tutto ciò suggerisce che l’Ue non possa pensare semplicemente di fare affidamento sugli Stati Uniti come faceva un tempo. L’autonomia strategica europea, in un’epoca di multipolarismo o di rinnovato bipolarismo, è necessaria tanto le poche volte in cui Ue e Usa sono in disaccordo, quanto in quelle – più frequenti – in cui sono sulla stessa linea. Mentre l’asimmetria rimarrà una caratteristica strutturale delle relazioni transatlantiche, soprattutto nel campo della difesa, un legame transatlantico rinnovato richiederà da parte europea una maggiore responsabilità, e dunque autonomia, in primo luogo nelle regioni del vicinato Ue, così come nelle grandi sfide della governance transnazionale della nostra epoca, dalla salute al clima, dalla tecnologia alla mobilità umana.

L’autonomia strategica europea, tuttavia, non trova tutti d’accordo. Una prima critica sostiene che l’Ue non sia nella posizione di diventare autonoma nel prossimo futuro e certamente non in materia di difesa, per cui la dipendenza dagli Stati Uniti rimarrà una caratteristica fondamentale. A ben vedere, questa argomentazione risulta debole. Se è vero che la relazione transatlantica di difesa continuerà ad essere asimmetrica e che gli europei continueranno ad aver bisogno dell’impegno americano per la sicurezza dell’Europa, ciò non significa comunque che essi non debbano investire di più nella difesa Ue, né che un riequilibrio dei legami di difesa transatlantici sarebbe contrario agli interessi europei o transatlantici. Semmai è vero il contrario.

Due più rare obiezioni all’autonomia strategica europea sembrano più pertinenti. La prima riguarda il rischio che il perseguimento dell’autonomia strategica possa facilitare un’indebita concentrazione di potere nel mercato unico da parte di singole aziende o di gruppi di Stati membri. La seconda prevede che l’autonomia strategica possa innescare indirettamente tendenze protezionistiche. A ben vedere, entrambe queste argomentazioni meritano attenzione. Le soluzioni saranno inevitabilmente specifiche per settore e si troveranno lungo la strada, ma ci sono tre grandi linee guida che possono far luce sulla strada da seguire.

In primo luogo, prerequisiti per un’autonomia strategica europea sono la coesione e la resilienza interne dell’Ue. Il ruolo globale dell’Europa comincia in casa. Se l’Ue vuole vivere seconde le proprie leggi e norme, deve assicurare che gli standard democratici, i diritti umani e lo stato di diritto, che costituiscono il nucleo fondante del progetto europeo, siano rispettati al suo interno, a cominciare dai suoi Stati membri.

La resilienza economica rappresenta l’altra faccia della medaglia. Ricerca e innovazione sono la chiave, soprattutto per difesa, tecnologia ed energia. Altrettanto importante è la necessità di affrontare la frammentazione intra-europea, in particolare in ambiti come la migrazione e l’asilo, ma anche nel mercato unico, ancora fin troppo poco attrattivo per l’innovazione, e in settori industriali ad alto valore aggiunto. Anziché allentare la normativa sulla concorrenza per rispondere al bisogno di una competitività globale dell’Europa, l’Ue dovrebbe concentrarsi sugli investimenti in istruzione e ricerca e sviluppo, approfondendo il mercato unico e promuovendo le catene del valore in settori strategici. Una maggiore forza economica dell’Ue promuoverebbe a sua volta il ruolo internazionale dell’euro.

In secondo luogo, un’autonomia strategica europea richiede anche maggiori investimenti, responsabilità e disponibilità a correre rischi nelle regioni circostanti. L’Ue, con quasi 450 milioni di cittadini, è grande ma non abbastanza. I suoi legami economici con le regioni circostanti, a partire dai Balcani occidentali, la Turchia, l’Europa orientale, il Mediterraneo e il Medio Oriente – ma arrivando pure nell’Africa subsahariana -, saranno fattori chiave per un futuro sicuro e sostenibile. Il problema è che, quando si tratta delle regioni vicine, l’Unione è circondata da un proverbiale “anello di fuoco“. Gli incendi, per cui gli europei hanno avuto la loro dose di responsabilità, non possono essere estinti solo dall’Ue, ma nemmeno possono essere spenti senza di essa. L’autonomia strategica europea richiederà che l’Unione si prenda maggiore responsabilità economiche e politiche e anche rischi nelle regioni circostanti.

L’Ue a volte non ha le capacità, i meccanismi decisionali e la cultura strategica di intervenire come fanno altri attori regionali e globali. Ciò ha i suoi lati negativi, ma anche i suoi vantaggi, visti i danni causati da diversi interventi militari in passato, in particolare in Medio Oriente e Nord Africa. Di gran lunga più problematici, invece, sono i casi in cui in cui l’Ue possiede le capacità di agire, ma gli Stati membri concordano per evitare i rischi che ciò comporterebbe. Spiccano a tal proposito, i casi della Libia, dell’Ucraina e del Caucaso.

Anziché affondare nel protezionismo e nella chiusura, insomma, l’autonomia strategica implica la capacità dell’Ue di impegnarsi nella collaborazione multilaterale, anzitutto con gli Usa e le altre democrazie liberali – soprattutto nel campo dei diritti umani, della sicurezza, del digitale e delle migrazioni -, ma anche per ampliare il fronte in quelle politiche in cui la “quantità batte la qualità”, come il contrasto al cambiamento climatico e la lotta alla pandemia.

Adattamento e traduzione dell’originale in inglese a cura della Redazione.
Nella foto di copertina EPA/ANTONIO PEDRO SANTOS un momento del Consiglio europeo in videoconferenza del 25-26 febbraio