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Dopo il voto in Catalogna

A Barcellona il vero vincitore è il premier spagnolo Pedro Sánchez

16 Feb 2021 - Steven Forti - Steven Forti

Le elezioni catalane di domenica 14 febbraio erano un test importante per diverse ragioni. Innanzitutto, perché organizzare una votazione in tempi di pandemia non è facile. In secondo luogo, perché era la prima prova elettorale di un certo rilievo che affrontava il governo di coalizione di sinistra del Psoe e Unidas Podemos. In terzo luogo, perché l’indipendentismo tornava a rimettersi in gioco alla fine di un triennio in cui non è riuscito a delineare una nuova strategia politica realista dopo la sconfitta dell’autunno del 2017. In quarto luogo, perché bisognava capire l’impatto dell’Opa che l’estrema destra di Vox ha lanciato al Partido Popular (Pp) e a Ciudadanos.

Nonostante la giornata elettorale sia andata bene e non si siano verificati intoppi, l’astensione è stata molto alta (46%, +25% rispetto al 2017), il che ha pesato sicuramente sui risultati. Per la prima volta, il Partit dels Socialistes de Catalunya (Psc), la federazione catalana del Psoe, ha vinto sia in voti (23%) che in seggi (33), superando, per quanto di poco, le due principali formazioni indipendentiste: Esquerra Republicana de Catalunya (Erc, 21,3%, 33 deputati) e Junts per Catalunya (JxCat, 20%, 32 deputati). In un Parlamento quanto mai frammentato, Vox si è convertita così nella quarta forza (7,7%, 11 seggi), sbaragliando sia il Pp (3,8%, 3 seggi) sia Ciudadanos (5,5%, 6 seggi), la cui débâcle è impressionante tenendo conto che nel 2017 aveva vinto le elezioni con il 25% dei voti e 36 seggi. Completano il quadro gli indipendentisti di estrema sinistra della Candidatura d’Unitat Popular (Cup, 6,7% e 9 seggi) e la marca catalana di Podemos, En Comú Podem (Ecp, 6,9% e 8 seggi).

A Madrid tiene il governo
Analizzando i risultati dall’osservatorio di Madrid, il Psoe esce dunque rafforzato: il candidato alla presidenza catalana dei socialisti, Salvador Illa, ministro della Sanità fino a poche settimane fa, è stata una scommessa personale di Pedro Sánchez. Unidas Podemos ha retto elettoralmente in Catalogna – confermando lo stesso risultato del 2017 – ed Erc, esponente di un indipendentismo pragmatico favorevole al dialogo con Madrid, ha vinto, seppur solo per 35mila voti, la battaglia con JxCat, il partito dell’ex presidente Carles Puigdemont, che non ha abbandonato il sogno impossibile di una nuova dichiarazione unilaterale d’indipendenza.

Nell’ultimo anno, Erc ha appoggiato alcune misure del governo Sánchez, inclusa la legge di bilancio: il suo sostegno, o almeno la sua astensione, è indispensabile nelle Cortes di Madrid per la sopravvivenza di un esecutivo di minoranza come quello di Psoe e Unidas Podemos.

I risultati catalani non dovrebbero dunque modificare la strategia di Esquerra e fanno svanire le mai sopite speranze di un governo alla Mario Draghi in salsa spagnola. Non sarà tutto rose e fiori, logicamente, visto il difficile contesto sanitario e socio-economico, ma Sánchez può tirare un sospiro di sollievo e il governo di coalizione può, almeno per ora, dormire sonni tranquilli. Se verranno, i problemi dipenderanno non tanto da Barcellona, ma dalle conseguenze della crisi sanitaria e socio-economica dovuta al Covid.

Il dilemma della destra
Nel campo della destra, invece, il voto catalano può avere conseguenze di non poco conto. Da un lato, è evidente lo sgonfiamento di Ciudadanos che, dopo il pessimo risultato nelle elezioni spagnole di fine 2019, non solo può mettere in soffitta definitivamente i sogni di convertirsi nel partito egemonico della destra iberica, ma, vista la sua irrilevanza incluso nella regione in cui è nato, potrebbe presto finire assorbito dal Pp. Dall’altro lato, se è pur vero che in Catalogna il partito presieduto da Pablo Casado era da tempo minoritario, il sorpasso di Vox fa molto male e mette i popolari alle corde.

Che fare per evitare di soffrire la stessa sorte anche nel resto della Spagna? Convertirsi al discorso di Vox o fargli fronte? Essere, in sintesi, Boris Johnson o Angela Merkel? Questa è la domanda a cui dovrà dare una risposta il Pp. Non si escludono elezioni anticipate nelle regioni in cui i popolari governano con Ciudadanos e l’appoggio esterno di Vox, come Madrid e l’Andalusia. La destra spagnola, insomma, è in una fase di transizione verso nuovi equilibri.

Rompere i blocchi identitari?
Gli elettori, sia in un campo sia nell’altro, premiano i partiti che scommettono sul dialogo: i socialisti da una parte, Erc dall’altra. I sogni di rottura del 2017 sono irrealizzabili. Al di là della retorica, tutti ne sono convinti, come hanno mostrato ripetutamente diversi sondaggi nell’elettorato indipendentista.

Bisognerà capire ora che tipo di governo si formerà. Gli scenari possibili sono essenzialmente due: o un nuovo governo indipendentista con la presidenza espressa per la prima volta da Erc o un governo tripartito di sinistra – formato da Psc, Erc e Ecp – che romperebbe i blocchi identitari e aprirebbe una nuova fase dopo un decennio di processo indipendentista. I numeri in parlamento ci sarebbero, il problema è la volontà politica. Tutto dipende da Esquerra, in buona misura, essendo il pivot sul quale si possono reggere entrambi i futuri governi. L’opzione più probabile sembra la prima, ma anche lì le difficoltà non sono poche: Erc e JxCat sono ai ferri corti da tempo e servirebbe almeno l’astensione della Cup, poco disponibile ai giochi parlamentari. E poi con che programma si presenterebbe un governo di questo tipo? Difendendo, al di là delle dichiarazioni retoriche, il dialogo con Madrid, come vorrebbe Erc, o rivendicando una nuova rottura, come ripetono JxCat e la Cup?

Basterebbe, in questo caso, un’offerta del governo spagnolo basata sulla ripresa del dialogo tra Madrid e Barcellona inaugurato da Sánchez lo scorso anno e una risoluzione della vexata quaestio dell’indulto per i leader indipendentisti condannati per sedizione per i fatti del 2017? O, come sembrerebbe dalle dichiarazioni della notte elettorale, ritornerebbe con forza la rivendicazione di un referendum di autodeterminazione, un’opzione non prevista dalla Costituzione spagnola e a cui il Psoe è fermamente contrario?

Il rischio dei veti incrociati e delle condizioni irrealizzabili poste come linee rosse è reale. La conseguenza sarebbe la ripetizione delle consultazioni. Uno scenario improbabile, ma da non scartare. D’altro canto, Salvador Dalì insegna che nella politica catalana il surrealismo è di casa. Sicuramente lo è stato nell’ultimo decennio. Vedremo se lo sarà anche nel futuro o se tutti gli attori politici in campo saranno capaci di fare un sano bagno di realismo per uscire da un impasse che dura da troppo tempo.

Nella foto di copertina EPA/Toni Albir i festeggiamenti dei socialisti di Salvador Illa, primo partito in Catalogna