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Leader eterni

Uganda: Museveni ci riprova, è in corsa per il sesto mandato

13 Gen 2021 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Grazie a una modifica alla Costituzione, il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha potuto presentare di nuovo la candidatura per un sesto mandato nello stesso ruolo, nelle consultazioni di giovedì 14 gennaio.

La Costituzione del 1995, infatti, poneva come condizione necessaria per poter correre per presidenza un’età massima di 75 anni. La narrazione costruita intorno alla riforma costituzionale da parte dei sostenitori di Museveni si basava sulla necessità di eliminare un elemento discriminante, che pareva relegare alla pensione forzata gli over-75.

Il limite è stato tolto nel 2017, quando Museveni, leader del National Resistance Movement (Nrm) era ancora troppo in forma per lasciare la presidenza.

Nell’aprile scorso, per dare prova della legittimità della sua candidatura, il presidente – da 35 anni ininterrottamente al potere, uno dei leader più longevi in Africa – ha pubblicato un video del suo allenamento giornaliero, mostrandosi in perfetta forma nonostante l’età (nella foto di copertina EPA/STR un manifesto elettorale di Museveni).

Già nel 2017, la modifica dell’articolo 102 della Costituzione aveva causato una spaccatura tra la classe politica e l’opinione pubblica. Se in Parlamento la votazione si era conclusa con 315 voti a favore e 62 contrari, la popolazione aveva subito percepito l’intento di Museveni di governare a vita. Stessa percezione aveva causato, nel 2005, l’eliminazione del limite di due mandati per il presidente.

La campagna tra limitazioni, arresti e violenze
In un sistema costruito in modo da rendere quasi impossibile la vittoria dell’opposizione, il presidente dovrà vedersela con dieci sfidanti, sei dei quali indipendenti, dopo una campagna elettorale che si è svolta in un clima particolare. Le restrizioni imposte dal governo per limitare i contagi da Covid-19 hanno limitato gli incontri di piazza facendo diventare mass media e social media i protagonisti del periodo pre-elettorale, accelerando una tendenza già diffusa nel continente africano.

Il candidato che spaventa di più Museveni è Robert Kyagulanyi, meglio conosciuto come Bobi Wine, musicista diventato parlamentare nel 2017. Wine si è guadagnato il supporto della popolazione giovane, stanca e disillusa, che, frustrata dalla disoccupazione, la corruzione e la limitazione delle libertà, non crede più in Museveni, presidente dal 1986. Leader della National Unity Platform, Wine è promotore del “governo del popolo” e promette l’accesso gratuito all’istruzione e alla sanità e la crescita economica del Paese. Wine, 38enne, pone particolare attenzione sui giovani, che oggi lavorano prevalentemente in modo informale, senza sicurezze e garanzie, e sono incastrati in un sistema che permette troppo poca mobilità sociale.

L’altro sfidante di Museveni di cui si è sentito molto parlare è Patrick Amuriat, leader del Forum for Democratic Change, maggior partito di opposizione. Amuriat, a partire da inizio novembre, ha svolto tutti gli incontri della sua campagna elettorale senza scarpe, a simboleggiare la sua vicinanza alle persone a cui il malgoverno di Museveni ha rubato salute e opportunità.

Spesso le forze dell’ordine hanno utilizzato la pandemia e le relative restrizioni per giustificare le limitazioni imposte ai candidati dell’opposizione. In particolare, a novembre Wine e Amuriat sono stati fermati e arrestati dalla polizia: il primo perché ai suoi raduni i partecipanti non prestavano sufficiente attenzione alle misure di prevenzione del contagio – distanziamento, mascherine e igienizzazione frequente delle mani – e il secondo perché accusato di voler organizzare incontri di piazza non autorizzati.

Sostenitori di Bobi Wine (EPA/STR)

Gli arresti dei due leader dell’opposizione hanno scatenato proteste e violenti scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, con decine di vittime e centinaia di fermi da parte della polizia. La strategia del governo punta a dimostrare la propria forza, senza però creare troppa mobilitazione popolare o critiche internazionali; i rilasci avvengono solitamente pochi giorni dopo gli arresti. Qualche giorno fa, però, Wine ha denunciato alla Corte internazionale di giustizia le ricorrenti violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo di Museveni, dopo che tutti i componenti del suo team per la campagna elettorale sono stati arrestati e aver ricevuto informazioni su un possibile piano per il rapimento dei suoi figli.

L’Uganda, che l’anno prossimo celebrerà i 60 anni dall’indipendenza dal Regno Unito, è noto anche per il suo pessimo record in fatto di diritti: le relazioni omosessuali sono vietate per legge e si dibatte sull’introduzione della pena di morte.

Sistema politico e sistema elettorale
Il partito di governo riesce ad agire senza particolari ostacoli grazie alla combinazione di due elementi: il sistema presidenziale, che nonostante l’apparente bilanciamento dei poteri lascia molto margine di manovra all’esecutivo – il presidente è capo di Stato, di governo e delle forze armate -; il partito forte, una volta il solo – prima dell’apertura al multipartitismo come altrove nel continente –, che oltre ad essere il protagonista degli organi esecutivi, detiene la maggior parte dei seggi in Parlamento e quasi tutte le cariche amministrative e militari.

Fino al 2005, quando si passò al sistema multipartitico attraverso un referendum, l’Uganda era organizzata come un no-party system, invenzione del Nrm che permetteva la creazione di partiti a cui impediva però di operare, legittimando di fatto soltanto le attività del National Resistance Movement stesso. Gli strascichi della vecchia struttura si vedono ancora oggi.

Il 14 gennaio si terranno le elezioni generali e i cittadini voteranno per scegliere il presidente – con un sistema a doppio turno che prevede il ballottaggio tra i due candidati più votati nel caso in cui nessuno raggiunga il 50% dei voti – e i membri del Parlamento. Sia il presidente sia il Parlamento restano in carica per cinque anni.

Dall’entrata in vigore dell’attuale Costituzione, nel 1995, Museveni ha sempre ottenuto la presidenza al primo turno, aggiudicandosi come minimo il 60% dei voti. Nei tre Parlamenti che si sono susseguiti dopo il 2005, il NRM ha ottenuto il 67% dei seggi nel 2006, il 72% nel 2011 e il 69 nel 2016.

A cura di Eleonora Copparoni, caporedattrice Africa de Lo Spiegone.

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