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Lo spettro di nuove sanzioni

La ripresa del dialogo fra Turchia e Grecia e l’orizzonte della distensione con l’Ue

21 Gen 2021 - Giuseppe Di Luccia - Giuseppe Di Luccia

Dopo il fallito golpe del 2016, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dato inizio a un processo di accentramento di poteri ispirato da una spinta neo-ottomana imperialista che mirava a condurre la Turchia verso una posizione di potenza regionale slegata da quell’Occidente che aveva tardato troppo a reagire alle sommosse interne.

In questi ultimi anni, Ankara ha spostato la propria attenzione da ovest a est, ritrovando l’alternativa in un “matrimonio di convenienza” con Mosca, anche se di breve termine – difficile immaginare qualcosa di più per le note ragioni storiche e geopolitiche -.

L’11 gennaio, infatti, Ankara e Atene hanno annunciato la ripresa di un dialogo che partirà lunedì 25 gennaio e che, secondo Erdogan, darà inizio a una nuova era. È evidente che questo cambio di atteggiamento è dettato dalla necessità di sanare un’economia prostrata da una svalutazione della lira turca del 30% rispetto al dollaro e da un’inflazione a doppia cifra nonché da una fallimentare politica di contenimento della pandemia di Covid-19.

Catalizzatore di questo cambio di atteggiamento è stata la pressione esercitata dall’Unione europea, che nel 2019 è risultata prima sia tra i mercati di esportazione sia tra i mercati d’importazione sia tra le fonti d’investimento, e degli Stati Uniti, la cui industria della difesa ha un’importanza chiave per la Turchia.

La pressione dell’Ue
La spaccatura tra Bruxelles e Ankara si è creata quando Erdogan non ha ricevuto dai leader europei la solidarietà che si aspettava attraverso una netta condanna del fallito putsch. Un’escalation di tensioni ha condotto nel 2019 a quella che dall’Ue è stata percepita come una grave violazione del diritto internazionale, ossia la rivendicazione da parte della Turchia del diritto di sfruttare le risorse energetiche nelle acque territoriali di Cipro, così riaprendo definitivamente una ferita vecchia di quasi mezzo secolo.

In risposta, nel novembre del 2019, l’Unione europea ha adottato il regolamento 2019/1890 che stabilisce il quadro giuridico all’interno del quale impone misure restrittive – quali congelamento di beni e divieto d’ingresso sul territorio dell’Unione –  su individui ed entità responsabili delle attività di trivellazione non autorizzate della Turchia nel Mediterraneo orientale.

Sebbene le aspirazioni imperialistiche di Erdogan si siano manifestate in un interventismo nei conflitti regionali in Siria e in Nagorno-Karabakh, il teatro risolutivo resta il Mediterraneo, dove Erdogan punta ad affermarsi anche attraverso l’intervento in Libia, a sostegno del Governo di accordo nazionale riconosciuto dall’Onu. Qui l’aspirazione imperialistica turca è entrata in rotta di collisione con quella francese, che sostiene il generale Khalifa Haftar. Pertanto, Parigi non ha esitato a proiettare la propria forza navale e aerea nel Mediterraneo sia al fianco di Grecia e Cipro sia per contrastare il flusso di armi verso la Libia proveniente dalla Turchia, illecito perché in violazione del blocco imposto dall’Onu.

La pressione americana
Nel suo ormai consueto approccio olistico, l’amministrazione Usa, sostenuta dal Congresso, si è mossa contro la Turchia sui tre piani di politica estera, di sicurezza e industriale, con un giro di vite di particolare tempismo.

Il 14 dicembre, contemporaneamente alle pressione economiche e diplomatiche da parte dell’Ue sul dossier Mediterraneo orientale, si è risolto il grattacapo legato all’acquisto dalla Russia dei sistemi di difesa antiaerei S-400 risalente al 2017.

In tale data, l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni all’Ufficio di approvvigionamento della difesa turca (Presidency of Defense Industries o Ssb) e a quattro sue figure apicali ai sensi della sezione 231 del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (Caatsa) che vieta transazioni significative con chi opera nei settori russi della difesa o dell’intelligence; tra le misure adottate, il divieto di concedere licenze per l’esportazione di beni e tecnologie verso Ssb nonché quello per gli istituti finanziari statunitensi di concedere allo stesso prestiti o crediti.

In parallelo, come confermato dal Congresso nella legge del bilancio per la difesa, la Turchia è stata esclusa dal programma di sviluppo degli F-35 e i 6 aerei ordinati da Ankara non sono stati consegnati. Infine, l’embargo di armi, imposto de-facto dal Congresso, ha creato non pochi problemi, considerando che gli USA restano il primo fornitore della Turchia nel settore difesa, non solo per i beni destinati al suo arsenale ma soprattutto per la produzione dei beni commissionati da altri Paesi, che richiedono componentistica statunitense.

Prospettive future
Il cambio di atteggiamento di Ankara suscita scetticismo e diffidenza. Erdogan è consapevole dell’importanza del suo ruolo per la sicurezza dell’Occidente, in quanto, disponendo del secondo esercito della Nato e di una posizione geografica strategica, è un alleato chiave per il contenimento della Russia, e perché rappresenta per l’Ue un baluardo imprescindibile contro i flussi migratori da sud.

Tuttavia, l’11 dicembre il Consiglio europeo ha invitato il Consiglio dell’Ue a procedere con ulteriori designazioni contro la Turchia mentre, sull’altra sponda dell’Atlantico, una nuova amministrazione, che si annuncia meno indulgente della precedente, si è appena insediata alla Casa Bianca. Durante tale transizione, una strategia coordinata e fondata su pressioni e incentivi potrebbe aiutare a risolvere entro marzo 2021 – ossia quando l’Ue ha programmato il prossimo round di designazioni – la crisi nel Mediterraneo, riportando l’alleato nei ranghi dell’alleanza transatlantica.

Questa pubblicazione fa parte di una serie realizzata in collaborazione con lo Studio Legale Padovan.
Foto di copertina EPA/Erdem Sahin