IAI
L'alba di Horizon Europe

L’Italia e i programmi di ricerca europei nel campo della sicurezza

30 Gen 2021 - Francesco Scialla - Francesco Scialla

Benché da anni l’Euratom investisse già in ricerca scientifica e tecnologica in campo nucleare, l’impegno della Comunità economica europea nella ricerca industriale cominciò solo negli anni Ottanta, quando si raggiunse la consapevolezza che l’Europa non solo restava significativamente indietro rispetto a Stati Uniti e Giappone in termini di produzione industriale, ma veniva anche minacciata da Corea del Sud, Singapore e Taiwan.

Dopo una serie di iniziative a supporto della ricerca in vari campi (salute, energia, ambiente), di basso profilo finanziario e totalmente scollegate fra di loro, nel 1984 nasce il primo Programma quadro (1984/1987), che non assegnava nuove risorse, ma comunque metteva tutte le singole iniziative di ricerca in un unico paniere.

Poi, con il secondo Programma quadro (1987/1991) gli investimenti crescono significativamente. Al settimo Programma quadro (2007/2013) si presenta, fra le altre, una novità importante: per la prima volta la security riceve un proprio finanziamento. E così è stato per il successore (Horizon 2020), che ha coperto il periodo 2014/2020 e per l’attuale programma, Horizon Europe, che sarà operativo fino al 2027.

In effetti, lo sviluppo tecnologico impone non solo una particolare attenzione verso le nuove tecnologie in ogni loro campo di applicazione, ma anche una ricerca mirata a identificare e portare a maturazione quelle tecnologie che possano rispondere a specifiche esigenze sociali ed economiche, quindi a priorità politiche: non a caso, in Horizon 2020 la security era inserita nel gruppo delle societal challenges.

In particolare, era suddivisa in quattro aree principali (Border and External Security, Fight against Crime and Terrorism, Digital Security, Disaster-Resilient Societies), in cui trovavano spazio attività di ricerca per la gestione delle crisi all’estero, per la gestione del rischio Cbrn (Chemical Biological, Radiological and Nuclear), per il supporto alle Lea (Law Enforcement Agencies).

Il ruolo italiano
Sotto il profilo finanziario, nel campo della sicurezza l’Italia si è dimostrata pronta ed efficace nel ricevere finanziamenti europei in un contesto altamente competitivo (i fondi sono a gestione diretta della Commissione, che li amministra con gare europee).

Infatti, sulla base dei dati ufficiali resi disponibili a novembre 2020, i finanziamenti europei ricevuti da enti di ricerca, università e aziende italiane assomma a circa 135 milioni di euro, ponendoci al secondo posto assoluto (sorprendentemente dietro alla Grecia), davanti a Spagna (130), Germania (129), Francia (128) e Regno Unito (113). Non si tratta di una vera sorpresa, considerando che già nel settimo Programma quadro l’Italia si era posizionata al quarto posto assoluto (dietro a Germania, Francia e Regno Unito), ma di una conferma delle ottime capacità nazionali.

La partecipazione italiana è ad ampio spettro, sotto il profilo delle tecnologie e sotto quello della tipologia dei partecipanti: grandi aziende (tra cui Engineering, Leonardo), enti governativi di ricerca (come Cnr, Enea), università pubbliche e private (ad esempio Università Cattolica del Sacro Cuore, Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica), piccole e medie imprese (tipo Deep Blue, IAI), articolazioni operative dei ministeri “utilizzatori” delle ricerche (ministero dell’Interno e ministero della Difesa). Questi, inoltre, hanno affiancato il ministero della Ricerca nei Comitati di programma Security, che si riuniscono periodicamente per definire, con la Commissione europea, strategie tecnologiche e parametri di selezione.

La sfida della sinergia
Il coordinamento nazionale prima, durante e dopo tali riunioni ha contribuito sicuramente a incrementare le sinergie fra mondo accademico, mondo industriale e mondo governativo.

La presenza del ministero della Difesa non deve sorprendere se si considera che il progresso tecnologico in atto nella security è in molti settori parallelo a quello che avviene nel mondo militare. Per fare un esempio, le tecnologie di base in uso nei radar sono fondamentalmente le stesse, sebbene le applicazioni militari (per esempio per la difesa aerea) richiedano “personalizzazioni” diverse rispetto a quelle civili (per esempio per le previsioni meteorologiche).

Anche il mondo industriale italiano che ha vinto le gare europee nella security, in particolare le grandi aziende, opera sia in campo civile che in campo militare, con un proficuo utilizzo delle conoscenze nei due campi, sia in termini meramente tecnologici, sia in termini manageriali.

L’approccio mission-oriented di Horizon Europe, con un’ulteriore spinta verso l’utente finale, trova pronto anche l’Italia.

Ma per avere successo, occorre un impegno sinergico da parte di tutti: mondo accademico, industria, governo. In particolare, la componente istituzionale (responsabile della suddetta mission) dovrà assumere un ruolo più propulsivo, anche “solo” facendo circolare le informazioni e stimolando tutti a “fare squadra”.

Foto di copertina EPA/Robin Utrecht