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L'insediamento a Washington

Il discorso del presidente: la scommessa di Biden in un’America ferita

22 Gen 2021 - Riccardo Alcaro - Riccardo Alcaro

Si dice che la storia non si ripete, sebbene a volte si diletti in rime. A riprova che nei detti popolari ci sia spesso un fondo di verità, nel discorso inaugurale di Joe Biden come 46esimo presidente degli Stati Uniti si è udita un’eco del discorso del suo immediato predecessore.

Quattro anni fa, Trump descrisse l’America come un “carnaio”, dove le fabbriche abbandonate testimoniavano delle migliaia di lavori “rubati” dalla Cina, le città erano terre di nessuno in mano a criminali, la potenza americana nel mondo in declino per l’incompetenza di chi lo aveva proceduto (non solo Barack Obama, ma tutti i presidenti del dopoguerra).

Certamente nell’America di inizio 2017 non mancavano i problemi, ma l’economia era in crescita da sette anni, la polarizzazione politica non era diventata violenta, il crimine era ai minimi storici e pochi all’estero ne mettevano in discussione la posizione di potenza globale preminente, la capacità di governare o lo status di democrazia liberale.

Quattro anni dopo, Biden ha parlato a una nazione ferita, dove la pandemia ha fatto in meno di un anno lo stesso numero di morti della Seconda guerra mondiale (circa 400 mila), l’economia è in contrazione, la violenza politica e le tensioni razziali in aumento.

A questa nazione, che assomiglia a quella raccontata da Trump più ora che quattro anni fa, il neo-presidente ha parlato con sobrietà, enfatizzando come la resistenza alle avversità e la fiducia nelle istituzioni siano una base comune sulla quale ripartire.

Ricomporre le fratture
Biden ha ammesso che a molti risulterà insensato parlare di unità in un clima politico rovente come quello di oggi. L’insistenza sul tema dell’unità non è però un puro artificio retorico. Rivela invece tanto la visione che Biden ha dell’America quanto anche una sua strategia politica.

La visione è quella di un’America resiliente, capace di affrontare le proprie divisioni interne e rigenerarsi nel processo. Biden ha ricordato ai suoi concittadini che la storia degli Stati Uniti è la storia della ricomposizione continua di profonde fratture. Se è stato possibile rimettere il paese insieme dopo la guerra civile, la grande depressione, l’era dei diritti civili, perché non dovrebbe esserlo anche in futuro? Il richiamo alla storia è un opportuno ridimensionamento dell’eccezionalità del momento attuale e delle sue – presunte, per Biden – insanabili spaccature.

La strategia è quella di chiedere agli americani un’apertura di credito per tentare di avvicinare la realtà a questa visione. Biden sa benissimo che andrà incontro a enormi difficoltà, sia per le differenze all’interno del partito democratico sia per l’ostruzionismo del partito repubblicano. Ma vuole essere riconosciuto dal pubblico come un uomo che vede la presidenza come un ufficio al servizio della nazione e non della parte politica o di interessi privati, dando così legittimità all’opzione di una leadership unificante che lui sente di dover incarnare.

Dopo Capitol Hill
Allo stesso tempo, Biden ha posto limiti al suo appello all’unità. Il neo-presidente ha chiamato gli americani a raccolta contro le minacce che si sono presentate di recente: l’estremismo eversivo che ha portato all’assalto al Campidoglio, il suprematismo bianco e il discorso politico che costruisce una realtà fittizia a propria misura a prescindere dai dati reali, siano essi conclusioni scientifiche sulla pericolosità del covid, sull’avanzata del riscaldamento climatico o la certificazione del risultato elettorale da parte di istituzioni nazionali e statali sparse per il Paese.

Senza menzionare Trump, Biden ha fatto di questi aspetti del trumpismo il nemico rispetto al quale gli Usa devono unirsi. Improbabile che Biden si aspetti di sanare ogni divisione interna o che il partito repubblicano possa ripudiare Trump tanto facilmente. Ma inquadrando l’appello all’unità in una critica a quegli aspetti del radicalismo di destra di cui Trump si è impossessato, Biden punta a isolare questo tipo di discorso politico tendenzialmente autoritario come estraneo alla tradizione politica Usa, nello stesso tempo mettendo i repubblicani di fronte a una scelta.

Un altro obiettivo che Biden si è posto è quello di recuperare agli Usa lo status di leader capace di organizzare il consenso con alleati e partner intorno a obiettivi condivisi. Significativamente Biden non ha sentito il bisogno di ammonire avversari, nessuno dei quali è stato menzionato – nemmeno la Cina. Ha preferito porre l’enfasi sulle alleanze e i partenariati, che in ogni caso costituiscono un fondamentale asset di politica estera non solo per affrontare sfide globali (come il riscaldamento climatico o le pandemie) ma anche per contenere l’influenza delle grandi potenze rivali, a partire proprio dalla Cina.

Primi mesi di presidenza
L’agenda di Biden nei primi mesi sarà però assorbita dalle priorità di politica interna: la gestione del Covid-19 con una campagna massiccia di vaccinazioni, tracciamento e misure di distanziamento sociale, il trasferimento di fondi a stati e poteri locali privi di risorse, aiuti diretti alle famiglie e alle imprese, vincoli agli sfratti e requisizioni di case di chi non può pagare il mutuo, la mitigazione del debito studentesco, il potenziamento della copertura sanitaria, e investimenti pubblici (specialmente in tecnologie verdi).

È un’agenda ambiziosa per un presidente che può contare su maggioranze risicate in Congresso e in un momento in cui l’appello bipartisan si scontrerà con la logica di parte che emergerà con forza quando il Senato sarà chiamato ad esprimersi sul secondo impeachment adottato dalla Camera contro Trump.

La sfida è immane e le circostanze avverse. La scommessa è che una parte sufficiente del Paese sia persuasa, come lo è lui stesso, della necessità di ridurre il livello dello scontro politico e recuperare una capacità di governare non esclusivamente partigiana.

Biden, che si è formato politicamente in lunghi anni di servizio in un Senato in cui la ricerca del consenso era considerata una causa più nobile che l’ostruzionismo di parte, può sembrare da questo punto di vista un sopravvissuto di un’epoca estinta. Oppure può segnare una svolta che moderi la settarizzazione in cui si è avvitata la politica interna Usa, soprattutto a causa della radicalizzazione dei repubblicani.

Ci sono tante ragioni per essere scettici quanti buoni motivi per sperare che abbia successo.

Foto di copertina Andrew Caballero-Reynolds / AFP