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Patto Ue su migrazione e asilo sei mesi dopo: a che punto siamo?

30 Gen 2021 - Alberto Tagliapietra - Alberto Tagliapietra

Nel settembre scorso la Commissione europea ha presentato il nuovo patto su asilo e migrazione, un atteso pacchetto di misure per la riforma della politica europea in materia e per il superamento del cosiddetto sistema di Dublino. Lo scopo è quello di risolvere le problematicità che, durante la cosiddetta crisi migratoria del 2015/2016 hanno portato ad un sostanziale fallimento delle politiche europee in quest’ambito.

La riforma era inizialmente attesa per marzo 2020. A causa della situazione provocata dall’andamento del Covid-19, e successivamente per via del protrarsi dei negoziati sul bilancio pluriennale dell’Unione, la sua presentazione è stata posticipata al 23 settembre.

I pilastri della riforma
La nuova proposta della Commissione si fonda su tre pilastri principali. Il primo è rappresentato dalla dimensione esterna, basata su un rafforzamento dei rapporti con i Paesi di origine e transito dei flussi. Il secondo pilastro è costituito dalle misure atte a rafforzare il controllo e la gestione delle frontiere esterne dell’Unione. Infine, il terzo è costituito dalle misure per affrontare l’ambito più complicato delle politiche europee in materia di migrazione ed asilo, ossia la solidarietà e la distribuzione delle responsabilità per la gestione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri.

Il bilancio della riforma risulta essere tuttavia sproporzionato verso i primi due pilastri, affrontando solo in maniera parziale le questioni relative al terzo. La proposta infatti introduce il concetto di “solidarietà flessibile volontaria“, lasciando di fatto agli Stati membri dell’Ue la decisione su come essere solidali attraverso tre principali canali: ricollocazioni, rimpatri sponsorizzati, e supporto operativo.

Il resto della riforma rimane fortemente indirizzato verso il processo di esternalizzazione della questione migratoria, ossia su quelle misure atte a delocalizzare la gestione dei flussi migratori direttamente agli stati terzi.

A che punto siamo?
Nel corso degli ultimi sei mesi, da quando il testo è stato presentato dalla Commissione, il Consiglio dell’Ue si è riunito più volte per discutere della proposta. Durante il Consiglio Affari interni dell’8 ottobre, il primo dalla presentazione della riforma, il ministro degli Interni tedesco, Horst Seehofer, presidente di turno del consesso, si era detto impressionato e ottimista per come gli Stati membri stessero discutendo delle misure da attuare in quest’ambito, soprattutto in considerazione della difficoltà di giungere a qualsivoglia risultato su questo dossier a partire dal 2014 (una riforma del sistema di Dublino, largamente sostenuta dal Parlamento europeo nella scorsa legislatura, è finita su un binario morto proprio in Consiglio, ndr).

A margine della riunione, Seehofer aveva infatti dichiarato: “Il risultato più importante è stato comprendere la necessità di avere un nuovo inizio in quest’ambito. Una soluzione comune è nell’interesse di tutti gli Stati membri”. Anche la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson, firmataria della proposta, si era detta ottimista per la volontà dimostrata dai Ventisette di discutere dei vari aspetti della riforma.

Ciononostante, i risultati raggiunti sotto la guida della presidenza tedesca sembrano essere limitati ed interessare soprattutto i punti più condivisi della riforma. Nello specifico, come sottolineato da Stephan Mayer (Sottosegretario di Stato parlamentare presso il ministro federale dell’Interno) dopo il consiglio degli Affari Interni del 14 dicembre, i punti di accordo sono soprattutto relativi al rafforzamento delle frontiere esterne, la gestione dei rimpatri ed il rafforzamento della dimensione esterna della politica migratoria europea (tramite una maggiore cooperazione con i paesi di origine e transito), punti su cui gli Stati Membri già in passato si erano detti concordi.

Il vero punto saliente della riforma, ossia quello atto ad introdurre una maggiore solidarietà tra gli Stati Membri nella gestione dei flussi, sembra essere rimasto al di fuori delle discussioni fin qui avute.

I prossimi passi
I risultati conseguiti dalla presidenza tedesca sono di minore entità rispetto a quanto preventivato. Questo risultato azzoppato è stato però anche influenzato dalla situazione corrente, in un contesto in cui, a causa della pandemia, il Consiglio non ha avuto modo di riunirsi in persona, rendendo dunque più difficile il raggiungimento di compromessi.

L’iniziale ottimismo di Seehofer, che aveva indicato un obiettivo molto ambizioso puntando a raggiungere un accordo generale sulla riforma già durante il semestre tedesco – cioè, entro la fine del 2020 -, non si è tramutato nei risultati sperati. Berlino non è riuscita a dare l’impulso sperato alla riforma, soprattutto sui profili più spinosi, proprio come la solidarietà fra Stati membri, punto su cui varie capitali sono recalcitranti.

Toccherà ora al Portogallo, insediatasi alla guida semestrale del Consiglio lo scorso 1° gennaio, portare avanti il dialogo e le trattative sulla nuovo patto europeo su asilo e migrazione.

Accordo difficile
Quello che attende Lisbona è un compito complicato, e trovare un’intesa sarà molto difficile. Ci sono tuttavia dei segnali di speranza. A pochi giorni dall’insediamento, il ministro degli Interni portoghese, Eduardo Cabrita, ha affermato infatti che i problemi relativi ai flussi migratori diretti in Europa possono essere risolti solamente con una maggiore solidarietà tra gli Stati Membri, una solidarietà che non può essere volontaria.

Come si legge anche nell’agenda delle sue priorità tematiche, la presidenza portoghese, nei prossimi mesi, intende focalizzare parte del proprio lavoro proprio sul dossier politica migratoria per tentare di trovare un accordo su una solidarietà che sia sì flessibile, ma obbligatoria.

L’adozione del patto non prevede, al momento, un limite temporale: come spiegato dalla commissaria Johansson, sarebbe difficile data la situazione attuale. Tuttavia, qualche passo in avanti potrebbe essere compiuto già durante la presidenza portoghese del Consiglio.

Foto di copertina: migranti nel campo di Bihac, in Bosnia-Erzegovina, EPA/Fehim Demir