Nel futuro prossimo di Israele ci sarà ancora Netanyahu
Non è così probabile che Israele vada alle quarte elezioni nel giro di due anni, dopo la crisi politica innescata ieri dal voto parlamentare. Certo, la situazione politica nel Paese è difficile, aggravata da una crisi mondiale dovuta alla pandemia, da una terza ondata in arrivo e da una crisi economica notevole, ma la crisi politica potrebbe trovare il suo sbocco naturale a breve e lasciare, dietro di sé, i soliti “cadaveri” politici. Ma uno di questi, è difficile che sia il premier Benjamin Netanyahu.
Il voto espresso ieri dalla Knesset, il Parlamento israeliano, per dissolvere questa legislatura e andare alle elezioni, rappresenta il monito più grande che Benny Gantz, il premier a rotazione che dovrebbe assumere l’incarico a novembre 2021, ha lanciato all’attuale capo dell’esecutivo Netanyahu. Ma rappresenta anche la pietra tombale sulle aspirazioni governative dello stesso Gantz. L’ex capo di Stato maggiore non ha certo brillato fino ad ora per capacità politica, adeguandosi con la sua formazione alle varie scelte del governo o facendone timida opposizione. In questo modo, scontentando tutti.
Bibi sale, Benny scende
Aveva già scontentato gran parte dei suoi elettori quando entrò in carica lo scorso maggio accettando la proposta del presidente Reuven Rivlin e accordandosi con Netanyahu per una coalizione di emergenza nella quale il veterano politico avrebbe servito come premier per primo, e il veterano dell’esercito successivamente dopo 18 mesi. In quella occasione, dopo aver fallito nella creazione di un governo, Gantz ruppe con i suoi alleati del Blu e Bianco e, insieme al suo Partito per la Resilienza, cominciò a sostenere il governo di Bibi. O, meglio, il governo di entrambi.
Ma a tutti, a quanto pare fuorché a Gantz, quella promessa di Netanyahu di ruotare il premierato pareva vana. Fino ad ora Netanyahu è riuscito, non solo per sua abilità, a tenere Benny Gantz fuori da qualsiasi gioco. Il risultato oggettivamente più grande raggiunto, l’accordo di Abramo con i Paesi arabi, è stato annunciato da Netanyahu quando Gantz, ministro della Difesa e alternate Prime Minister, era appena entrato in ospedale per una operazione. Una scelta di tempo che non può non lasciare pensare ad un atto deliberato.
Di Gantz, fino ad ora, non si è sentito parlare. In uno modo nell’altro, Netanyahu è sempre al centro della scena. Anche quando, la settimana scorsa, ha spaccato il fronte delle liste arabe, attirandosene a sé una che poi, ieri, non ha partecipato al voto.
Le concessioni dell’alleato
I processi a carico del premier sono stati rimandati a febbraio ed è più che probabile subiscano altri rinvii. La pandemia ha bloccato il Paese, anche se il governo ha risposto fornendo, ancora oggi, aiuti economici a tutti, tenendo scuole aperte (in questi giorni anche le superiori), promuovendo test gratuiti di massa. Certo, la presenza di comunità chiuse come le ortodosse o alcune arabe e i problemi di diffusione del virus in Cisgiordania, oltre alla necessità di aprire alcune attività, proprio in queste ore hanno fatto risalire la curva dei contagi. Inoltre, da mesi ormai, ogni sabato sono sempre centinaia le persone che manifestano contro Netanyahu dinanzi alla sua residenza ufficiale di Gerusalemme. Ma questo, non lo scalfisce.
Gantz, come segno di buona volontà, nei giorni scorsi aveva anche ritirato la proposta di legge sull’uguaglianza, invisa ai partiti ortodossi. Ma questo non ha impedito che appoggiasse ieri il primo voto (ne serviranno altri tre e un passaggio in commissione) per sciogliere il Parlamento.
Oltre al non rispetto della rotazione, c’è un altro accordo di governo, tra gli altri, che fino ad ora Netanyahu non ha soddisfatto. Il premier e il suo gruppo parlamentare, il Likud, sono riusciti ad oggi a rinviare più volte, da agosto, la discussione sul budget del Paese ed è molto probabile che venga disattesa anche la scadenza del 23 dicembre, spostando tutto a febbraio. Ovviamente, questo dà la possibilità a Netanyahu di governare in emergenza e decidere in autonomia. Ma senza budget approvato, è difficile programmare e si naviga a vista.
La destra rimarrà al potere
Quello che però Gantz non ha calcolato (o se lo ha fatto lo considera il male minore, almeno per la popolazione) è che alle elezioni lui scomparirebbe mentre Netanyahu resterebbe. In questo momento, la posizione della destra nel Paese si è rafforzata: se il Likud mantiene le sue posizioni e i suoi numeri, sta prendendo sempre più vigore la Nuova Destra di Naftali Bennet, l’ex ministro della Difesa e alleato di Netanyahu, sacrificato sull’altare della coalizione al governo. La destra si ritroverebbe così di nuovo a governare. Non è certo se in un ennesimo governo Netanyahu, ma difficilmente senza di lui.
La scelta di Gantz di sostenere tutte le decisioni di Netanyahu, compresa quella sul bilancio, certamente non lo aiuta e non lo aiuterà. Ha mostrato qualche volta distanza da Bibi, di lamentarsi per decisioni, ma quella di ieri è il primo atto vero di opposizione. In passato lo aveva minacciato di ritirare il sostegno, ma sono rimaste solo minacce cadute nel vuoto.
Il punto però è sempre lo stesso: in questa situazione di emergenza, è meglio un governo seppur non amato o delle elezioni? È più probabile la prima ipotesi, anche perché Netanyahu cercherà di andare alle elezioni almeno dopo la prima campagna vaccinale, tentativo non realizzato dal suo amico Donal Trump. Ma, in prospettiva e a differenza di Washington, il futuro prossimo di Israele difficilmente sarà senza Bibi.