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MUNICIPALI IN BOSNIA

Mostar torna alle urne 12 anni dopo l’ultima volta

18 Dic 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Domenica 20 dicembre, i cittadini di Mostar potranno finalmente tornare ai seggi per eleggere il proprio consiglio comunale. Si tratta di un momento estremamente significativo per una delle città più importanti della Bosnia-Erzegovina.

Nel 2010, la Corte costituzionale bosniaca aveva dichiarato incostituzionali alcuni articoli della legislazione elettorale del Paese e dello statuto della città di Mostar. Infatti, le norme elettorali erano state imposte dall’Alto rappresentante internazionale in Bosnia nel 2004, anno in cui la ricostruzione dello Stari Most, il ponte simbolo della città che era stato distrutto nel 1993, poneva simbolicamente fine alla separazione forzata di Mostar tra le sue due anime croata e bosgnacca.

La formula per l’elezione del consiglio comunale prevedeva 17 consiglieri eletti in un collegio unico, mentre altri 18 sarebbero stati eletti in sei collegi territoriali. Tali collegi territoriali, quindi, avrebbero dovuto complessivamente eleggere lo stesso numero di consiglieri del collegio unico, creando una disparità che secondo la Corte costituzionale violava il principio di uguaglianza del voto.

La sentenza della Corte prevedeva che il Parlamento bosniaco dovesse emendare l’Election Act 2001 entro sei mesi, mentre lo statuto di Mostar dovesse essere modificato entro tre mesi dagli emendamenti della legislazione nazionale. A causa della mancata adozione delle modifiche richieste dalla Corte, a Mostar fu impossibile votare per il rinnovo del consiglio comunale alle tornate elettorali del 2012 e del 2016. Ciò significa che i cittadini di Mostar non si recano ai seggi dal 2008, ossia delle ultime elezioni locali regolarmente svolte.

Il sindaco, che normalmente viene eletto indirettamente dal consiglio comunale, è ancora in carica dal 2008 e dal 2010 ha assunto un mandato tecnico per evitare che la città rimanesse senza primo cittadino in attesa di nuove elezioni.

La sentenza della Corte di Strasburgo e l’accordo
La svolta per un nuovo statuto è arrivata lo scorso giugno, quando il principale partito croato-bosniaco (l’Unione democratica croata – Hdz) e la controparte bosgnacca (il Partito bosgnacco di azione democratica – Sda) hanno firmato un accordo dopo settimane di trattative.

Il nuovo statuto prevede una co-gestione della città da parte delle due comunità secondo meccanismi di power sharing, sicuramente una conclusione di compromesso ben lontana dall’essere ideale. Nel mese di luglio, il Parlamento bosniaco ha confermato l’accordo traducendolo in legge.

A dare impulso ai negoziati è stata anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che a ottobre 2019 ha riconosciuto la discriminazione dei residenti di Mostar a causa dell’impossibilità di esercitare il proprio diritto di voto e di eleggere democraticamente i propri rappresentanti nelle istituzioni locali. La Corte di Strasburgo ha dato sei mesi di tempo al Parlamento bosniaco per porre rimedio alla situazione e ha ricordato che, scaduto il termine, la Corte costituzionale avrebbe potuto introdurre delle misure transitorie per garantire ai cittadini di Mostar di esercitare i propri diritti.

Inoltre, la Corte ha riconosciuto che il mancato svolgimento delle elezioni, così come il mancato rispetto della sentenza della Corte costituzionale, violano i principi fondamentali dello stato di diritto. Pertanto, dopo dodici anni e per di più nell’anno che segna il venticinquesimo anniversario dagli Accordi di Dayton, gli elettori saranno chiamati a rinnovare i 35 consiglieri comunali eletti in sei collegi, tra liste che contano più di 350 candidati.

Gli occhi dell’Ue
Le elezioni locali a Mostar sono le ultime nel quadro delle elezioni amministrative bosniache, che si sono svolte lo scorso 15 novembre e hanno visto i principali partiti etno-nazionalisti perdere città importanti come Sarajevo e Banja Luka, pur mantenendo il controllo della maggior parte dei centri rurali.

La perdita delle “due capitali” – quella della Federazione di Bosnia-Erzegovina e quella della Republika Srpska – è sicuramente un segnale importante per la politica bosniaca, poiché manifesta l’insoddisfazione dei cittadini nella gestione dell’emergenza sanitaria, oltre che nella complessiva crisi politica, economica e sociale che il Paese vive da ormai molti anni. Se anche a Mostar la maggioranza dei consiglieri fosse eletta in liste non associate ai partiti tradizionali, questo confermerebbe la posizione dei centri urbani in favore di un cambiamento verso un effettivo pluralismo politico.

Anche l’Unione europea e il Consiglio d’Europa guardano con particolare interesse a queste elezioni. Nel 2019, l’0pinione della Commissione sull’adesione della Bosnia-Erzegovina all’Unione includeva lo svolgimento di regolari elezioni a Mostar tra le priorità da raggiungere per l’inizio dei negoziati.

La Bosnia, infatti, è un Paese potenziale candidato dal febbraio del 2016, ma procede ancora molto lentamente nel percorso verso il raggiungimento dei requisiti politici ed economici per diventare a pieno titolo uno Stato membro dell’Unione europea. Le riforme politiche e istituzionali che servono alla Bosnia-Erzegovina per procedere verso l’adesione rimangono in mano al Parlamento nazionale e finché esso sarà dominato dalle élites tradizionali sarà molto difficile realizzarle.

Le elezioni a Mostar sono sicuramente un primo passo, ma molto lavoro rimane ancora da fare per garantire un futuro europeo alla Bosnia-Erzegovina.

A cura di Lidia Bonifati, vice-direttrice de Lo Spiegone e autrice della redazione Europa

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