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OSSERVATORIO IAI/ISPI

Mediare per necessità: l’Italia e le insidie del Mediterraneo orientale

14 Dic 2020 - Dario Cristiani - Dario Cristiani

Nel Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2020, l’Unione europea ha sancito la mancanza di passi avanti rispetto alle relazioni europee con la Turchia alla luce delle “azioni unilaterali”, delle “provocazioni” e dell'”escalation retorica” di Ankara nei confronti dell’Ue, degli Stati membri e dei loro leader.

In risposta a ciò, il Consiglio adotterà ulteriori provvedimenti nei riguardi di privati e aziende turche e legati alle loro attività di ricerca degli idrocarburi sulla base delle decisioni già prese l’anno scorso. Rispetto alla durezza invocata da alcuni Stati membri come Francia, Grecia e Cipro, queste decisioni possono considerarsi lievi, ma non per questo meno significative.

Le tensioni che hanno recentemente tormentato le strutturalmente tribolate relazioni tra Bruxelles e Ankara non sono destinate a scemare presto, anche perché i motivi del contendere restano sul tavolo. La Turchia continua a temere l’isolamento e l’esclusione dalle dinamiche politiche, e relative opportunità energetiche, nel Mediterraneo orientale e l’Europa resta divisa rispetto alle relazioni con la Turchia. 

Divisioni europee, coesione turca
I fronti contrapposti intra-Ue sono al momento due. Il primo blocco, dominato dalla Germania, è meno radicale nella contrapposizione rispetto ad Ankara, con Berlino attore di primo piano nel tentativo di definire opzioni diplomatiche che proteggano l’Ue e gli interessi degli Stati membri senza necessariamente punire Ankara.

A questa visione più accomodante fa da contraltare la presenza di un blocco di Paesi più intransigenti, la cui retorica politica e azione diplomatica è fortemente improntata allo scontro con la Turchia. In questo blocco spiccano la Grecia, Cipro e la Francia. La retorica spesso incendiaria di Erdoğan alimenta, nell’immaginario europeo, la figura del leader turco come paradigma dell’Islam radicale, e l’assertività e la spregiudicatezza turche come funzione di tale radicalità ideologica. Ma questa è una visione parziale e fuorviante. 

La crescente aggressività della retorica e dell’azione di politica estera turca degli ultimi anni è un dato di fatto difficilmente controvertibile ma essa non è il risultato dell’islamismo erdoganiano, ma bensì di altri fattori: l’alleanza di Erdoğan con le forze del Milliyetçi Hareket Partisi (Mhl- Partito del Movimento Nazionalista) di Devlet Bahçeli; l’impatto politico-psicologico del fallito colpo di stato del 2016 e il crescente sospetto di Erdoğan verso gli europei; la marginalizzazione post-2016 di altre forze legate all’Islam politico; il ritorno in auge dei nazionalisti tra i militari. 

Da questo punto di vista, l’idea che tale aggressività turca sia congiunturale, legata cioè agli umori di un leader radicale, è sbagliata: essa è un approccio condiviso dalla larga parte del mondo politico, nonostante l’evidente polarizzazione tra “amici” e “nemici” del presidente turco. Corollario di tale dinamica è che tale aggressività turca è destinata a durare fino a quando vi saranno le condizioni geopolitiche che l’alimentano, a prescindere dalla leadership. 

La difficile posizione di Roma
Rispetto a questi due blocchi, l’Italia si trova in una situazione non facile. I problemi nel Mediterraneo orientale continuano a richiedere uno sforzo significativo da parte di Roma per bilanciare esigenze estremamente diversificate. Da un lato, vi è la necessità di preservare la coesione e la solidarietà europea dinanzi all’aggressività turca. Inoltre, l’Italia ha importanti interessi energetici in gioco: a Cipro, in Egitto, in Israele. 

Al tempo stesso, però, Roma ha la necessità di non alienare Ankara per tanti motivi. La Turchia rappresenta un partner commerciale molto significativo. Nel 2019, l’Italia si è confermata il quinto partner commerciale della Turchia, e il secondo tra i Paesi europei, nonostante il declino dell’interscambio del 9,1% rispetto al 2018. 

Inoltre, Ankara ha accresciuto significativamente la propria influenza in determinati contesti geopolitici particolarmente sensibili per Roma. In Libia, la Turchia è ora il principale alleato del Governo di accordo nazionale (Government of National Accord – Gna). Dinamica figlia non solo delle capacità turche di supportare militarmente la resistenza del governo onusiano contro l’aggressione di Khalifa Haftar, ma anche degli errori che l’Italia ha commesso dall’organizzazione della conferenza di Palermo in poi, e che hanno causato una significativa perdita d’influenza rispetto alle dinamiche libiche. 

In più, come dimostrato dalle recenti dinamiche nel Caucaso meridionale, la Turchia è stata centrale nel supportare l’azione militare azera nel Nagorno-Karabakh. Sebbene tale azione non si sia risolta in un significativo aumento dell’influenza politica turca nella regione, bloccata dalla capacità russa di essere il principale regista e beneficiario del cessate il fuoco, la Turchia ha dimostrato che la combinazione di supporto militare e utilizzo strumentale dei combattenti siriani legati ad Ankara rappresenta un formidabile strumento di influenza strategica, dinamica già evidente nel teatro libico, rafforzando così la presa turca su Baku. 

Perché tutto ciò è importante per l’Italia? L’Azerbaijan è diventato il fulcro dell’approccio italiano nel Caucaso: dopo anni di relazioni economiche in perenne crescita, tale partnership si è formalizzata anche da un punto di vista più strettamente politico, con una partnership strategica che ha fatto di Roma il principale interlocutore europeo di Baku. 

Mediare per necessità
Come dimostrato dalle recenti discussioni in seno al Consiglio, le tensioni tra Europa e Turchia sono destinate a durare, ed esulano dai leader o da considerazioni congiunturali: essendo strutturali, necessitano di soluzioni che risolvano i problemi alla radice.

In questo contesto, l’Italia deve necessariamente mantenere un approccio di flessibilità strategica: la solidarietà intra-europea e gli interessi italiani nel rafforzare le relazioni con Grecia, Cipro, Israele ed Egitto sono certamente fondamentali, e non possono essere minimizzati. Al tempo stesso, però, la Turchia – oltre a rappresentare un partner importante su molte questioni economiche – è un attore con un crescente peso geopolitico in teatri come la Libia e l’Azerbaijan, tasselli fondamentali dell’approccio di politica estera e di sicurezza energetica di Roma. 

Alienare Ankara con posizioni troppo vicine a quelle del blocco greco-cipriota-francese rischia di indebolire l’Italia e al contempo non è assolutamente garantito un ritorno immediato di influenza rispetto a tale blocco. Porsi come ponte tra questi due blocchi, anche per difendere direttamente i propri investimenti nello spazio del Mediterraneo orientale facendo un lavoro di dialogo politico che greci e ciprioti spesso non possono fare per ragioni interne, appare come l’opzione più sensata e diplomaticamente sostenibile. 

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.