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Rinnovo del Parlamento

In Romania (l’altro) Orban prova a consolidare la rimonta del centrodestra

1 Dic 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Domenica 6 dicembre i cittadini rumeni si recheranno ai seggi per rinnovare le due Camere del Parlamento. Dal 2003, la Romania è una repubblica semi-presidenziale: il potere esecutivo viene esercitato dal presidente, eletto con voto popolare, e dal primo ministro. È il primo che nomina il secondo, il quale è incaricato di formare un governo.

Come sancito dall’articolo 63 della Costituzione, i membri delle due Camere del Parlamento, la Camera Deputaților (412 membri) e il Senat (176 membri), vengono eletti ogni quattro anni dai cittadini.

Dal 2016 a oggi
Le elezioni parlamentari del 2016 videro il successo del Partito socialdemocratico (Psd) guidato da Liviu Dragnea, mentre il maggiore partito di centrodestra, il Partito nazionale-liberale (Pnl), andò all’opposizione.

Dragnea formò allora un governo d’intesa con l’Alleanza dei Liberali e Democratici (Alde), mentre il centrodestra creò un blocco di opposizione con l’Unione salvate la Romania (Usr), partito progressista che si batteva per contrastare la corruzione nel mondo della politica. Il periodo che seguì fu caratterizzato da forti contrasti tra governo e opposizione, sostenuta dal presidente della Repubblica Klaus Iohannis, membro del Pnl eletto per la prima volta nel 2014. Il Psd cominciò a mostrare di tenere a fatica insieme i propri membri: dal 2017 al 2019 si sono succeduti ben tre primi ministri provenienti dai suoi banchi, mentre l’anno scorso Dragnea, potente presidente del partito, è stato arrestato per malversazione.

Il conflitto tra governo e opposizione per le riforme della giustizia e il magro risultato del Psd alle elezioni europee dello stesso anno facevano intanto calare nei sondaggi nazionali il partito di maggioranza, mentre il Pnl continuava a raccogliere sempre più consensi. La crisi raggiunse il culmine il 10 ottobre 2019, quando la premier Viorica Dăncilă si dimise a seguito di una mozione di sfiducia presentata dell’opposizione. Il presidente Iohannis nominò allora Ludovic Orban (quasi omonimo del controverso leader ungherese Viktor, ndr), esponente di punta del Pnl e uno dei promotori della sfiducia a Dăncilă.

Appena un mese dopo, la rielezione di Iohannis suggellò la supremazia del centrodestra, per la prima volta nel corso della legislatura in corso.

Una stabilità durata però poco. Il tentativo del governo di far approvare una controversa riforma del sistema elettorale, che prevedeva l’introduzione di un sistema a doppio turno per l’elezione dei sindaci, infatti, innescò una nuova crisi politica che portò alla fine del primo governo Orban a soli quattro mesi dalla sua formazione. Il sistema a doppio turno, già previsto per le presidenziali, avrebbe favorito il centrodestra, il quale è solito coalizzarsi dopo il primo turno.

Lo scorso marzo, l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, che ha colpito duramente la Romania, ha fatto sì che il premier uscente ottenesse il mandato per formare di nuovo il governo, nonostante non godesse di una maggioranza stabile in Parlamento.

Banco di prova per il governo
La vera prova per entrambi i partiti è stata quella delle elezioni amministrative di settembre. Dopo mesi di tensione dovuta alla crisi sanitaria e ai contrasti in Parlamento, il 28 settembre circa 18 milioni di rumeni sono stati chiamati a eleggere i sindaci e a rinnovare i consigli comunali di tutte le città del Paese. Questo importante appuntamento elettorale era inizialmente previsto per giugno, ma era stato posticipato a causa dell’emergenza sanitaria.

Tra gli esiti più inaspettati di queste elezioni c’è senza dubbio la vittoria di Nicușor Dan a Bucarest, dove ha superato la sindaca uscente Gabriela Firea (Psd). Dan, candidato indipendente e sostenuto dal Pnl, aveva sfidato Firea già nel 2016. Matematico, era entrato in politica dopo aver fondato l’associazione Salviamo Bucarest per proteggere le case del centro storico della città da abusivismo edilizio e speculazione immobiliare. La sua vittoria è stata il segnale più lampante del declino del Psd a livello nazionale. Oltre ad aver perso cinque municipi su sei a Bucarest, il partito socialdemocratico è stato sconfitto nella città di Costanza, suo baluardo da oltre vent’anni.

Il vero colpo di scena è stato però il risultato ottenuto dalla coalizione formata da Usr e Partito della Libertà, dell’Unità e della Solidarietà (Plus), affermatasi come terza forza politica del Paese dietro a Psd e Pnl. Anche se non ne fa più parte, il fatto che Nicușor Dan sia uno dei fondatori di Usr ha indubbiamente influenzato gli elettori. Degna di nota è anche la vittoria della coalizione a Timișoara, dove il sindaco uscente Nicolae Robu (Pnl) è stato battuto da Dominic Fritz, tedesco arrivato in Romania nel 2003 e primo cittadino straniero eletto sindaco della città.

Se i risultati delle amministrative dovessero essere confermati, la coalizione Usr-Plus e il Pnl potrebbe facilmente ottenere la maggioranza alle prossime elezioni parlamentari di dicembre: l’ipotesi di un governo d’intesa si fa strada.

Ue e stato di diritto in Romania
Il 6 dicembre sarà un giorno importante non solo per i rumeni, ma anche per l’Unione europea. Il 30 settembre è stato infatti pubblicato il primo Rapporto sullo stato di diritto dell’Unione europea, fra le priorità della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. Nella sezione dedicata alla Romania, la Commissione riporta che sono in fase di revisione le controverse riforme introdotte nel biennio 2017-2019, già denunciate da istituzioni europee per l’impatto negativo sullo stato di diritto e l’indipendenza del potere giudiziario. Le prossime elezioni parlamentari saranno dunque un momento di cruciale importanza per il Paese.

Oltre a garantire le misure di sicurezza necessarie affinché tutti i cittadini possano esprimere il proprio voto, il governo dovrà dimostrare all’Unione di essere in grado di implementare riforme atte a garantire democrazia e stato di diritto. Solo così Bucarest potrà evitare che Bruxelles consideri di applicare i meccanismi sanzionatori come quello previsto dall’articolo 7 del Trattato sull’Ue, già attivato contro Polonia e Ungheria.

A cura di Fiorella Spizzuoco.

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