Il primo anno della Commissione von der Leyen
Si è concluso il primo anno di mandato della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. La presidente, in carica dal 1° dicembre 2019, ha concluso la prima tappa del suo percorso. Partita con propositi molto ambiziosi; la pandemia ha scompigliato le carte in tavola e anche i programmi di lavoro dell’esecutivo Ue.
Ripercorriamo la strada cominciata un anno fa per fare un primo bilancio. Sono almeno tre le fasi da analizzare. In primis, l’avvio, molto ambizioso, con la proposta del Green Deal europeo: questo progetto, che ha raccolto consensi in tutta Europa, è stato affiancato da spinte volte alla digitalizzazione e al rilancio di una strategia industriale europeo.
L’avvento del Covid-19 ha arrestato il volano economico europeo, e avuto un impatto anche sulle proposte simbolo del marchio von der Leyen (appunto, green e digitale). Dopo un primo momento di tentennamento, da Bruxelles è arrivata una robusta risposta al virus: Next Generation EU, il piano per la ripresa proposto dalla Commissione, validato dal Consiglio europeo e trasmesso per l’approvazione al Parlamento europeo e a tutti gli Stati membri, ha dell’eccezionale. Infatti, la Commissione ha sbloccato una potenza di fuoco pari a 1800 miliardi di euro.
I primi 100 giorni
Momenti decisivi, già capaci di caratterizzare il corso della nuova Commissione, sono arrivati nei primi 100 giorni. Si ricordano, a questo proposito, gli elementi costitutivi di una nuova strategia di crescita strutturata attorno a tre pilastri: il Green Deal europeo, una spinta verso la digitalizzazione e un’economia al servizio delle persone.
Ambiente, digitale e persone in primo piano: per ora rimane forte la volontà politica di continuare questo percorso. L’emergenza sanitaria ed economica ha spostato fortemente l’attenzione. Eppure, proprio il Recovery Fund può essere lo strumento utile per rilancia un’economia più verde, digitale e stabile: il 37% dei fondi di Next Generation EU è infatti destinato a finanziare gli obiettivi della transizione ecologica, mentre il 20% dovrebbe rispondere alle sfide poste dalla digitalizzazione, secondo le indicazioni di von der Leyen.
Dalla pandemia all’Europa del futuro
La pandemia ha scosso l’intero continente. Su questo fronte, l’Ue ha giocato un ruolo politico decisivo: e mentre un ritorno alla “normalità” è ancora lontano. La Commissione ha fatto tutto il possibile per combattere la pandemia e le sue ripercussioni economiche: da marzo sono state adottate 828 misure. L’occhio ovviamente cade sul Recovery Fund: il piano da 750 miliardi è stato frutto di una mediazione incessante sotto la regia di von der Leyen e del presidente del Consiglio europeo Charles Michel (anche lui, arrivato oggi al giro di boa del primo anno di mandato).
I ritardi nell’approvazione del piano di rilancio stanno, però, avendo un impatto non da poco sul trionfo iniziale. E le divisioni sul rispetto dello stato di diritto hanno creato un solco fra Ungheria e Polonia, da una parte, e il resto degli Stati membri. Ursula von der Leyen ha evitato lo scontro frontale con Budapest e Varsavia, e ha invitato chi ha dubbi sul meccanismo di condizionalità che subordina l’erogazione dei fondi al rispetto dei diritti e delle libertà negli Stati membri a rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Ue. La speranza della mediatrice è che il Recovery Fund parta il prima possibile, e con tutte le tutele necessarie, “anche per i cittadini di Ungheria e Polonia”, ha detto ancora qualche giorno fa durante la plenaria del Parlamento europeo.
Con il virus ancora libero nel continente, è difficile pensare positivamente al futuro. Ma in Europa bisogna ripartire. E la Commissione deve riprendere le idee avanzate e pensate esattamente un anno fa: la duplice transizione, verde e digitale, è diventata ancora più urgente di quanto non lo fosse prima della crisi.
Ora è giunto il momento dei bilanci. E quello di ripartire. La Commissione von der Leyen è chiamata, un’altra volta, a fare strada. “Verso un’Europa migliore”, parole con le quali la stessa Commissione conclude il suo report che fa il punto sul primo anno al Berlaymont.