Gli Accordi di Abramo e la diplomazia delle fragole
Tra i primi effetti degli Accordi di Abramo – firmati a Washington il 15 settembre scorso da Emirati Arabi Uniti (Eau), Bahrain e Israele – vi sarà certamente una maggiore cooperazione economica tra i Paesi aderenti.
Solo un mese dopo lo storico volo che trasportò la delegazione israelo-americana ad Abu Dhabi per negoziare l’accordo, l’agenzia governativa Abu Dhabi Investment Office ha annunciato l’apertura a Tel Aviv della sua prima (e unica) sede estera. L’obiettivo è costruire una solida collaborazione in alcuni settori strategici, a cominciare dal digital farming.
Petrolio e agricoltura digitale
La resilienza nel settore agroalimentare è un tema di rilevanza storica nella penisola arabica. Avverse condizioni climatiche, limitate risorse idriche e scarsa qualità del suolo, rendono da sempre i paesi della regione importatori netti di beni alimentari.
Negli Emirati l’agricoltura vale solo lo 0,73% del Pil. Le conseguenze negative di questa situazione sono state storicamente disinnescate dalla prosperità economica dovuta alle esportazioni di petrolio. Ma la sostenibilità di questo modello nel lungo periodo è messa a rischio da trend quali la crescente lotta al cambiamento climatico, la transizione da idrocarburi a energie rinnovabili, il calo della domanda di petrolio dovuto al rallentamento dell’economia mondiale. Tutti fattori che portano al progressivo declino degli introiti del greggio e suggeriscono la diversificazione dell’economia.
Per questi motivi gli Eau, ulteriormente stimolati dalla necessità di rilanciare la crescita nell’era post Covid-19, stanno puntando sull’agricoltura digitale. Un settore con enormi prospettive di crescita, grazie alle crescenti necessità alimentari a livello globale, che sostengono la domanda, e ai continui progressi della tecnologia digitale, che consente incrementi di produttività ed espansione dell’offerta.
Agritech negli Emirati
Già nel marzo 2019 il governo di Abu Dhabi ha aumentato di circa 1,5 miliardi di dollari la spesa in ricerca e sviluppo da indirizzare a food security e water scarcity, ponendosi due ambiziosi obiettivi per il 2051: incrementare la produzione agricola del 30% e conquistare il primo posto del Global Food Security Index.
Inoltre, gli Eau hanno lanciato un pacchetto d’incentivi pubblici di oltre 270 milioni di dollari a specifico sostegno dell’agritech. L’accordo con Israele potrebbe consentire un ulteriore salto di qualità per trasformare la regione in un hub internazionale del desert farming.
L’opportunità per gli Eau è economica, strategica, e diplomatica. Contrariamente al resto dell’economia del Golfo, colpita da recessione e crollo del prezzo del petrolio, l’agritech sta registrando livelli di crescita record. E la necessità di rafforzare le catene di distribuzione regionali, in reazione alla pandemia globale, attira investimenti da Paesi limitrofi, quali Kuwait e Arabia Saudita. Inoltre, acquisire una leadership internazionale nel settore garantirebbe agli Emirati un peso politico rilevante nei confronti dei tanti Paesi alle prese con simili sfide di produzione alimentare e un ruolo significativo nella sfida globale alla fame nel mondo.
Israele partner ideale
Israele è il partner ideale per perseguire questa visione strategica. Perché quanto a innovazione è un punto di riferimento a livello internazionale e perché ha accumulato una straordinaria esperienza nel settore agricolo.
All’alba della dichiarazione d’indipendenza del 1948, Israele si trovò ad affrontare una seria emergenza alimentare a causa delle limitate risorse naturali, del rapido aumento della popolazione dovuto alle ondate migratorie, e della forte incertezza geopolitica. Oggi il Paese, nonostante un territorio poco favorevole (per la World Bank solo il 13,6% è coltivabile), è vicino all’autosufficienza nella produzione agricola ed è leader mondiale dell’agricoltura tecnologica.
Esperienza accumulata, successi ottenuti e capacità di attrarre investimenti dell’agritech da parte di Israele, rappresentano una grande opportunità per gli Eau. Il 60% dell’export agricolo di Tel Aviv proviene infatti da una regione che geograficamente ricalca le caratteristiche del Golfo. Inoltre, gli israeliani hanno sviluppato tecnologie all’avanguardia per la desalinizzazione dell’acqua.
L’incontro tra know how e tecnologie israeliane da una parte e visione strategica e investimenti degli Eau dall’altra, potrebbe creare – letteralmente – il “terreno fertile” per la nascita di un centro d’eccellenza dell’agricoltura digitale applicata agli ambienti desertici.
Fragole, mirtilli e pomodori nel deserto
La normalizzazione delle relazioni politiche tra Israele e Eau sta stimolando un’ampia collaborazione in ambito agricolo. L’israeliana Nobel Green, specializzata nel marketing dell’agribusiness, e AgraMe, la più grande esposizione del settore ospitata annualmente a Dubai, hanno siglato un importante accordo di cooperazione e condivisione di best practice. OurCrowd, la principale piattaforma di venture capital israeliana, ha siglato una partnership con il gruppo emiratino Al Naboodah per favorire investimenti bilaterali nell’agritech.
Abu Dhabi ha annunciato la costruzione nel deserto arabico della più grande indoor farm del mondo, che produrrà 10mila tonnellate annue con il 95% di risorse idriche in meno rispetto a quanto richiesto dai metodi tradizionali. Per questo gli Eau stanno inviando osservatori nel deserto del Negev, nel sud di Israele, per acquisire tecniche di desalinizzazione dell’acqua e competenze agricole, soprattutto per la produzione in serra di fragole, mirtilli e pomodori.
Gli accordi sottoscritti da Isreale e Eau sono storici. La collaborazione nel digital farming potrebbe essere solo un punto di partenza. Per soddisfare i bisogni alimentari della penisola arabica, stabilire una più ampia cooperazione economica e tecnologica, mantenere buone relazioni diplomatiche nel lungo periodo. Tuttavia, solo il tempo dirà se la diplomazia delle fragole può portare stabilità e pace nella regione.