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Italia, Austria e le misure anti-Covid

Europa disunita sulle restrizioni agli sport invernali

15 Dic 2020 - Francesco Bascone - Francesco Bascone

Le dissonanze nelle norme anti-Covid adottate dai vari Paesi europei danno una immagine di incapacità dell’Ue a coordinare e razionalizzare le politiche proprio nel mezzo di una grave crisi. Va detto che in materia di sanità e scuola le competenze non sono state delegate all’Unione ma appartengono agli Stati, se non alle regioni.

Su una cosa si è voluto salvaguardare l’integrazione europea, per evitare le critiche scambiate nella primavera scorsa: non si chiudono (almeno per ora) le frontiere, con poche eccezioni. Con il paradossale risultato che durante le feste gli italiani non potranno muoversi da una regione all’altra, e in certi giorni da un comune a quello vicino, ma potranno andare in vacanza all’estero. Ne dovrebbero venire dissuasi dall’obbligo di quarantena al ritorno. Se in molti partiranno lo stesso, vorrà dire che non tutti credono nella capacità dello Stato di vigilare sull’osservanza dell’isolamento.

Divergenze tra Paesi
La disparità nelle misure prese ha una spiegazione: se in primavera veniva chiesto alla popolazione di sacrificarsi per un mese o due, e la risposta era generalmente positiva, alle soglie di questo lungo inverno senza prospettive di ritorno alla normalità i governi devono affrontare vaste aree di resistenza, sia per validi motivi economici e scolastici che per una diffusa insofferenza a restrizioni la cui necessità ed efficacia è controversa.

Le autorità devono quindi trovare compromessi fra le allarmate raccomandazioni di medici e scienziati e il pericolo di fallimenti a catena e di disobbedienza civile; e fra le istanze dei vari settori produttivi. Ma il peso relativo di questi settori varia da Paese a Paese, o anche da regione a regione. È così che l’Italia tiene aperti ristoranti e bar mentre l’Austria non vuole rinunciare allo sci alpino (non da subito, ma dal 24 dicembre).

Questo tema è ora balzato in primo piano, con Italia, Francia e Germania che ritengono inaccettabile sacrificare la salute sull’altare di un’attività ricreativa, e deplorano la concorrenza sleale di Austria, Slovenia e (fuori dall’Ue) Svizzera.

Le misure austriache
All’Austria, in particolare, si rimprovera di essere lassista sullo sci pur avendo un alto tasso di diffusione di Covid-19, a differenza della prima ondata. In effetti, i numeri sono analoghi a quelli italiani, e quindi all’incirca doppi rispetto a quelli della Germania, che pure è molto preoccupata (malgrado il numero dei letti in terapia intensiva che è oltre il triplo del nostro) e dal 16 dicembre sarà in lockdown totale, come annunciato dalla cancelliera Angela Merkel.

Ma l’Austria ha chiuso integralmente, oltre a teatri e cinema, anche alberghi, ristoranti e bar, e istituito il coprifuoco dalle ore 20 (queste misure rimangono in vigore per almeno un altro mese). Inoltre, fino al 6 dicembre erano chiusi i negozi non alimentari, i musei e le scuole (salvo la possibilità, per le famiglie che ne hanno la necessità, di lasciarvi i bambini).

Sullo sci durante le feste, Vienna è meno severa, ma con una forte limitazione: aperti gli impianti di risalita e le piste di pattinaggio ma chiusi gli alberghi. In questo modo non si penalizzano inutilmente gli abitanti delle valli, e anche delle città vicine: questi andranno in montagna in giornata, salvo se vi posseggono una seconda casa. E in entrambi i casi non ci sarà il pericolo dell’après-ski (tutti ricordano il maxi-focolaio del marzo scorso a Ischgl), tanto più che i locali rimangono chiusi.

Tenere gli alberghi chiusi mentre sono aperti gli impianti – esattamente il contrario di quanto fa l’Italia – significa consentire il turismo di prossimità, ma non quello estero: non è dunque concorrenza sleale.

Un via libera con polemiche
Ciò detto, il via libera agli impianti fa discutere anche in Austria, come in Italia i pranzi al ristorante consentiti a Natale e a Capodanno. Come già negli Stati Uniti con il Thanksgiving, si dà per scontato che ci sarà un prezzo da pagare, in termini di impennata dei contagi in gennaio; si spera solo che non si trasformi in terza ondata. E si elaborano protocolli per limitare il danno.

Il problema, evidentemente, non è lo sci in sé, che si pratica all’aria aperta e distanziati, ma sono gli impianti di risalita. Non le sciovie, e neanche le seggiovie purché usate a occupazione ridotta e senza capote. Vedremo se verranno imposte regole rigorose agli impianti al chiuso, più problematici: le cabinovie potrebbero essere riservate agli appartenenti a un solo nucleo familiare; le funivie utilizzate a un terzo o un quarto della capacità e con mascherine non sarebbero diverse dai vagoni della metropolitana che nessuno propone di mettere fuori servizio. I punti di ristoro solo all’aperto.

Resterebbe il nodo delle file, che vanno gestite in modo rigoroso, come in altre situazioni, e disposte all’aperto; il loro volume potrebbe essere ridotto, se necessario, mediante tetti alla occupazione degli alberghi (ma alcuni rimarranno comunque chiusi) e all’emissione di ski-pass, acquistabili solo online.

Naturalmente, è più semplice chiudere tutto un campo di attività, e magari riaprire a singhiozzo. Ma in previsione di un perdurare delle restrizioni Covid-19 per tutto il 2021, o dell’emergere di nuove pandemie, è bene studiare meccanismi più articolati, in modo da mantenere in vita un settore turistico che per certe regioni e per i Paesi alpini non è affatto marginale. Non più di quanto lo sia la pesca per il Regno Unito (0,1% del Pil), che pure ne fa una questione vitale nel negoziato sulla Brexit.