IAI
Il ventennale delle relazioni diplomatiche

Dall’Italia all’Europa: il dossier nordcoreano ieri e oggi

22 Dic 2020 - Carlo Trezza - Carlo Trezza

L’anno del coronavirus non è stato propizio alle celebrazioni. Grazie ad un’iniziativa dell’università Luiss, in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica di Corea, si è potuto tuttavia rievocare, attraverso un recente convegno, il ventesimo anniversario di un momento qualificante della diplomazia italiana, quello dello stabilimento dei rapporti diplomatici tra l’Italia e la Corea del Nord. Nel 2000, l’Italia fu il primo Paese membro dell’Unione europea ad effettuare tale gesto.

L’iniziativa può apparire singolare visto che la penisola coreana non è al centro delle nostre preoccupazioni. Ma la crisi economico-finanziaria che alla fine degli anni Novanta colpì le “tigri asiatiche”, risentita anche in Europa, confermò la crescente interdipendenza tra noi e il polo asiatico.

Affinché qualcosa si muova nel contesto coreano è necessario che vi sia una convergente volontà politica di almeno tre attori: le due Coree e gli Stati Uniti. Una siffatta congiuntura avviene assai di rado. Essa si verificò a partire dal 1994 sotto la presidenza Clinton, dopo una crisi che aveva portato sull’orlo di un conflitto. Seguì una schiarita che fu il punto di partenza per un’intesa (Agreed Framework) sulla base della rinuncia nordcoreana ai propri pericolosi progetti nucleari in cambio della fornitura da parte di un consorzio internazionale (Kedo) di due centrali nucleari a scopi esclusivamente non militari.

Il sostegno alla “Sunshine Policy”
Il gesto italiano si inserì in tale contesto dopo che a presiedere la Corea del Sud venne eletto nel 1997 Kim Dae-jung, un oppositore storico dei precedenti regimi autoritari, un  campione dei diritti dell’uomo e della democrazia. Al centro del suo programma egli pose una politica di apertura nei confronti della Corea del Nord (la “Sunshine Policy“) che nel 2000 gli fruttò il Premio Nobel per la Pace.

Il sostegno italiano alla “Sunshine Policy” venne lanciato dall’allora ministro degli Esteri Lamberto Dini, che fece propria una  raccomandazione della Conferenza degli Ambasciatori italiani del settembre 1999. Ciò condusse, in soli tre mesi, d’intesa con Washington e Seul, allo stabilimento rapporti diplomatici tra l’Italia e la Corea del Nord. Alcuni mesi dopo, in occasione del vertice euro-asiatico Asem di Seul dell’ottobre 2000, anche la Germania, Regno Unito, Spagna e Paesi Bassi seguirono l’esempio italiano; gli altri membri dell’Unione europea, con la sola eccezione della Francia, lo fecero successivamente.

Passi indietro e passi avanti
La “Sunshine Policy” si interruppe bruscamente con l’avvento dell’amministrazione di George W. Bush, che rigettò l’Agreed Framework ed inserì la Corea del nella categoria degli Stati canaglia. A sua volta quest’ultima, che aveva già avviato un programma clandestino di arricchimento dell’uranio, denunciò il Trattato di non proliferazione nucleare che le proibiva di possedere l’arma atomica. Ogni possibilità di dialogo venne meno dopo che nel 2006 Pyongyang fece esplodere il suo primo ordigno nucleare.

Una situazione analoga a quella del 2000 si è ripresentata a partire dal 2018 con l’arrivo alla Blue House (la Casa Bianca coreana) del progressista Moon Jae-in, il quale ha rilanciato un’offensiva del sorriso accolta positivamente dal nuovo erede della dinastia nordcoreana, Kim Jong-un. Essa ha condotto ad un insperato avvicinamento tra le due Coree. Ancora più insperato fu il riuscire a convincere il presidente Usa Donald Trump, che aveva minacciato “fuoco e furia” contro Pyongyang, ad associarsi al disgelo intercoreano indicando addirittura la sua disponibilità ad incontrarsi con il leader nord coreano. I tre vistosi incontri  di Singapore, Panmunjom e Hanoi, si rivelarono però essere poco  più di una photo opportunity, conducendo ad uno stallo e ad una retromarcia anche i sino ad allora fruttuosi progressi sul fronte intercoreano.

Le carte dell’Europa
Vi è da sperare che la nuova amministrazione americana riesca a riprendere in mano con maggiore professionalità una situazione assai compromessa ma forse ancora recuperabile.

L’Europa condivide l’interesse di tutta la comunità internazionale di evitare un conflitto che comporterebbe un alto rischio nucleare. Dal 2000 ad oggi essa si è dotata di una politica estera e di sicurezza comune, di un Servizio europeo di azione esterna e di un Alto rappresentante che lo dirige.

Essa rimane il principale partner degli Usa, ha posto la Corea del Sud nella ristretta cerchia dei suoi alleati strategici e mantiene un dialogo – ancorché critico – con la Corea del Nord. Non è più questa la stagione delle azioni individuali come quelle dell’anno 2000, ma l’Unione europea dispone ora degli strumenti istituzionali e politici per giocare le sue carte in questa partita.