Dalla Csce di ieri all’Osce di oggi
Trent’anni fa, il 21 novembre 1990, il grande vertice Csce di Parigi, a quindici anni da quello di Helsinki e meno di due mesi dopo la riunificazione della Germania, suggellava solennemente la fine della divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti. Fra i protagonisti: Mikhail Gorbaciov, Helmut Kohl, George W. H. Bush, François Mitterrand, Giulio Andreotti, e una Margaret Thatcher letteralmente alla vigilia della sua caduta.
L’Atto finale di Helsinki aveva consacrato il principio del rispetto dei diritti umani (punto VII del decalogo) e l’impegno a facilitare i contatti fra le persone, i viaggi e gli scambi culturali, e a garantire una maggiore libertà di informazione e di circolazione dei libri. Semi gettati nelle crepe dei muri fra Est e Ovest, destinati a germogliare lentamente e allargare quelle crepe.
Dopo il 1975, il processo Csce era continuato con una serie di “conferenze sui seguiti” che si trascinavano per parecchi mesi (Belgrado 1977-78) o per anni (Madrid 1980-83, Vienna 1986-89) con risultati modesti, inframmezzate da una dozzina di riunioni tematiche in altre città. E non aveva impedito alla distensione di subire brusche battute di arresto, come nel 1980 e nel 1981.
La svolta della Csce
Ma senza la paziente attività diplomatica dei “seguiti di Helsinki”, sempre alla ricerca di minimi comuni denominatori nei vari campi, forse non sarebbe maturata nella mente di Gorbaciov la convinzione che i valori democratici occidentali andavano riconosciuti come valori comuni all’insieme della “casa comune europea“.
Il nuovo pensiero di Gorbaciov archiviava la dicotomia fra democrazia socialista e democrazia borghese e la teoria della lotta ideologica sino ad allora utilizzata da Mosca per giustificare le barriere al flusso di idee, opere letterarie e persone.
Questa svolta imprimeva una forte accelerazione ai lavori della Csce. Fra il 1989 e il 1990 varie conferenze – a Londra, Parigi, Copenaghen – approfondirono i delicati temi della dimensione umana (o “terzo cesto”), mentre a Vienna si svolgevano i lunghi negoziati sulle confidence-building measures (Cbm) e quelli sulla riduzione e il controllo delle armi convenzionali (Cfe).
La Carta di Parigi
Nella capitale francese, i capi di Stato e di governo dei 35 Paesi Csce (l’Urss e la Jugoslavia non si erano ancora frammentate) adottarono la “Carta di Parigi per una Nuova Europa“, con cui veniva proclamata la riunificazione dell’Europa e la convergenza nell’interpretare i principi della democrazia.
L’apporto più significativo della Carta di Parigi, accanto agli impegni riguardanti le libertà fondamentali e le istituzioni democratiche, fu l’istituzionalizzazione della Csce, poi perfezionata dal Vertice di Helsinki nel 1992. Il funzionamento dei nuovi organi permanenti entrò a pieno regime nel 1994, anno della prima presidenza italiana (l’Italia ha assunto la guida dell’organizzazione una seconda volta nel 2018).
La nuova Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’Osce, era nata con il duplice compito di accompagnare la transizione democratica dei Paesi ex-comunisti e di risolvere, raffreddare o prevenire i conflitti locali, per lo più di natura etnica.
Nella visione dei russi, e non solo loro, doveva prefigurare la nuova architettura di sicurezza a seguito del prevedibile scioglimento delle due alleanze, protagoniste della guerra fredda. Caduta questa illusione, Mosca ha cominciato a osteggiare le attività dell’Osce nei settori dei diritti umani, la democratizzazione, la libertà di stampa, il rafforzamento delle ong, il monitoraggio elettorale, vedendovi strumenti di ingerenza negli affari interni degli Stati.
Osce indebolito
Quest’anno Mosca ha ingaggiato un braccio di ferro bloccando per diversi mesi il rinnovo di tutte le cariche apicali per mercanteggiare la nomina di personaggi innocui come rappresentante per la libertà dei media e direttore dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr), che ha sede a Varsavia.
Il 4 dicembre, a conclusione della riunione ministeriale annuale, il presidente di turno, l’albanese Edi Rama, ha finalmente annunciato il superamento dell’impasse, con le quattro nomine, fra cui quella dell’ex deputato italiano Matteo Mecacci a direttore dell’Odihr. Formalizzata anche l’indicazione del direttore generale uscente del Servizio di azione esterna dell’Unione europea, la tedesca, Helga Schmid, come nuovo segretario generale dell’Osce.
Questa logorante guerra di trincea, e d’altro canto le aspre polemiche di molti membri occidentali – soprattutto anglosassoni e nordici – dapprima a causa del mantenimento di modesti contingenti militari russi in due province ribelli di Georgia e Moldova, e poi per la spedizione punitiva del 2008 contro la stessa Georgia e quella del 2014 contro l’Ucraina, hanno indebolito l’organizzazione e appannato la sua immagine.
La Special Monitoring Mission che opera dal 2014 in Ucraina, contribuendo a mantenere entro limiti contenuti le violazioni dell’armistizio, ha ridato una certa visibilità all’Osce. Così come alcune delle numerose missioni di osservazione elettorale (non solo in Paesi ex-comunisti), un campo in cui l’organizzazione ha un riconosciuto primato.