Conciliare valori europei e scelte politiche degli Stati
Dal Guardian è arrivata nei giorni scorsi una riflessione sull’Europa che non muove dalle considerazioni più scontate, ma prende a pretesto l’anniversario dei 75 anni dal processo di Norimberga per sottolineare come proprio a Norimberga sia nato un nuovo approccio di giustizia internazionale, un nuovo vocabolario dei diritti comuni dell’umanità.
L’Europa di oggi sarebbe quindi anche il frutto della scelta di superare nazionalismo e militarismo. Sostituiti, con il cammino intrapreso 75 anni fa, da obiettivi di stabilità e prosperità da raggiungere attraverso cooperazione e integrazione.
L’analogia si ferma qui, ma l’articolo mette in risalto il divario tra le fondamenta etiche del progetto europeo e la realtà politica che vede la democrazia liberale svuotata da partiti ultra-nazionalisti in Polonia e Ungheria.
Valori europei
Un richiamo che assume tutta la sua valenza nel momento in cui Varsavia e Budapest, dopo avere adottato misure in materia di libertà di espressione e di indipendenza della magistratura che confliggono con i valori fondamentali dell’Ue, sono entrate in rotta di collisione con i partner europei sulla questione del rispetto dello stato di diritto. I governi di Polonia e Ungheria sono arrivati a bloccare il bilancio pluriennale 2021-2027 dopo l’approvazione, su pressione del Parlamento europeo, di un meccanismo che può portare alla sospensione dei pagamenti dal bilancio a uno Stato membro in caso di una violazione dello stato di diritto, con una decisione del Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.
Questa vicenda ci ricorda che l’Unione europea non può essere vissuta solo nella sua dimensione economica, ma anche come spazio di valori e diritti. Del resto, è proprio in questo modo che è stata vista in passato da Paesi che sono usciti da regimi dittatoriali: Grecia, Spagna e Portogallo, negli anni Settanta, hanno motivato la loro pronta adesione alla comunità proprio come una scelta di ancoraggio alla democrazia, per il rafforzamento di una tela istituzionale di garanzie e di valori democratici negati per lunghi anni. E nello stesso modo, dopo la fine della Guerra fredda e l’uscita dalle costrizioni del regime di stampo sovietico, i Paesi dell’Europa centrale e orientale hanno guardato all’Europa comunitaria nel corso degli anni novanta come l’approdo naturale del loro ritorno alla democrazia.
Il patto europeo non può che basarsi su valori condivisi, e lo Stato di diritto non è un concetto astratto, ma un principio cardine dell’ordinamento europeo inserito nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione e sottoscritto dai Paesi membri.
Verso un compromesso
Budapest e Varsavia contestano il regolamento che vincola l’erogazione dei fondi Ue al rispetto dello Stato di diritto perché temono possa aprire a valutazioni arbitrarie e politicamentemotivate. L’elemento che più preoccupa i due Paesi è l’adozione con voto a maggioranza qualificata della decisione relativa a una violazione dello stato di diritto, rispetto alla procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Ue, già avviata in passato, che si è scontrata col limite del voto all’unanimità per deliberare l’esistenza “di una violazione grave e persistente” da parte di uno Stato membro.
Il veto polacco e ungherese si è abbattuto anche sul provvedimento sull’aumento del tetto delle risorse proprie, senza il quale la Commissione europea non può lanciare sul mercato l’emissione obbligazionaria comune per 750 miliardi per finanziare il Recovery Fund Next Generation EU.
La presidenza tedesca ha avviato una mediazione in vista del prossimo Consiglio europeo del 10-11 dicembre, che ruota intorno alla proposta di introdurre un verdetto della Corte di Giustizia dell’Ue come passaggio necessario perché ogni decisione sul congelamento dei fondi possa entrare in vigore. È presto per dire se possa rappresentare quelle “modifiche significative” richieste da Polonia e Ungheria.
Un compromesso andrà trovato tra gli interessi di tutti: di Budapest e Varsavia, principali beneficiarie dei fondi europei, della Germania la cui industria automobilistica ha delocalizzato molte produzioni in Polonia e Ungheria e non vuole alienarsi i due partner, di tutti i Paesi duramente colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia che attendono di avviare l’uscita dalla crisi con i piani di ripresa finanziati dall’Europa. Senza dimenticare che molti governi, compreso quello tedesco, hanno già inserito le risorse del Recovery nei bilanci 2021.
Il problema dell’unanimità
L’impasse, oltre a rallentare l’entrata in vigore di Next Generation EU fornendo tra l’altro a Stati membri come i Paesi Bassi – che a luglio più si erano opposti al piano per la ripresa – il pretesto per rimettere in discussione cifre e obiettivi dell’accordo raggiunto, mette in luce quanto sia disfunzionale per l’efficacia dell’azione dell’Ue un processo decisionale basato sul voto all’unanimità. Un tema quindi che riguarda in generale la credibilità dell’Unione europea, anche come attore diplomatico, e non potrà non essere al centro della Conferenza sul futuro dell’Europa quando finalmente avvierà i suoi lavori.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato di fronte al Parlamento europeo che il vincolo tra l’erogazione di risorse di bilancio e la tutela dello stato di diritto è “appropriato, proporzionale e anche necessario”. La sfida di conciliare la difesa dei principi democratici e dei valori fondamentali dell’Ue con l’autonomia delle scelte politiche degli Stati membri è impegnativa, ma non può essere persa se si vuole che l’idea d’Europa sia rispettata e compresa da tutti.