Compromesso con Polonia e Ungheria: una vittoria di Pirro
Si è appena concluso il Consiglio europeo del 10-11 dicembre, l’ultimo della presidenza tedesca dell’Unione, sullo sfondo del mancato accordo con il Regno Unito sulla Brexit. In questa occasione, il traguardo più importante dell’incontro dei leader europei è stato sicuramente il raggiungimento dello storico accordo sul budget dell’Unione e sui fondi speciali europei del valore complessivo di 1800 miliardi di euro.
Tale accordo dovrà guidare l’Ue e l’Italia fuori dalla recessione economica generata dalla pandemia anche attraverso una transizione energetica e un nuovo accordo sul clima che ha innalzato gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra dal 40% al 55 % entro il 2030.
L’accordo, legato all’adozione del quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027 e al fondo speciale Next Generation EU, è stato raggiunto grazie al superamento del veto di Polonia e Ungheria. Il compromesso tra i 27 Stati membri ha disinnescato uno scontro sullo stato di diritto che rischiava di inficiare irrimediabilmente i risultati ottenuti della presidenza tedesca dell’Ue. Tuttavia, la necessità stessa di uno compromesso su valori fondanti dell’Ue, come lo stato di diritto, ha evidenziato il persistere di profonde divisioni all’interno dell’Unione rispetto ad un comune progetto politico per il futuro.
La controversia e l’accordo
La controversia innescata dai governi di Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki riguardava una bozza di regolamento che avrebbe legato l’erogazione dei fondi Ue a un nuovo meccanismo di tutela dello stato di diritto, preliminarmente approvato dal Parlamento europeo e da 25 Stati membri a maggioranza qualificata. Trovatesi in minoranza, Ungheria e Polonia hanno di fatto ricattato i partner europei, minacciando di esercitare il proprio veto sull’approvazione dell’intero quadro finanziario pluriennale dell’Unione 2021-2027, sul Next Generation EU e sull’approvazione di nuove risorse per finanziare quest’ultimo.
Il superamento del veto e l’accordo tra i 27 sono arrivati dopo intense trattative e l’ultimatum della presidenza tedesca dell’Unione e della Commissione che sembrava aprire a forme inedite di cooperazione a 25 in caso di mancata revoca del veto dei due Paesi del gruppo di Visegrád.
Sarebbe stato comunque difficile che la Germania, titolare della presidenza di turno dell’Ue, fosse disposta a mettere da parte la Polonia, data la responsabilità storica di Berlino verso il proprio vicino orientale e la profondità dell’integrazione economica tra i due Paesi. Allo stesso modo, era improbabile che i governi di Ungheria e Polonia arrivassero al blocco dell’erogazione dei fondi ai propri Paesi per oltre 180 miliardi di euro. La posizione della Polonia e dell’Ungheria sembrava piuttosto una strategia per aumentare il proprio peso negoziale, tenendo in ostaggio i Paesi colpiti più duramente della pandemia.
Il compromesso è quindi sembrato essere un buon affare per tutti. Le conclusioni del Consiglio europeo hanno messo il sigillo sull’accordo delineando i vincoli di contenuto e temporali circa l’applicazione del regolamento del meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto.
Il regolamento approvato dal Parlamento sullo stato di diritto non viene cambiato di una virgola e il meccanismo è ancora presente nel testo completamente inalterato. Ciò permette ai governi più esposti politicamente dall’introduzione del nuovo meccanismo, quali quello dell’olandese Mark Rutte, di mostrare fermezza. La nota interpretativa del Consiglio permette a sua volta ai governi ungherese e polacco di celebrare una grande vittoria e di dichiarare ai propri cittadini di non essersi piegati alle ingerenze di Bruxelles. Gli Stati membri più colpiti dalla pandemia possono tirare un sospiro di sollievo, potendo presto ricevere i fondi per la ripresa. Infine, la Cancelliera tedesca Angela Merkel risulta ancora una volta vincitrice grazie alla sua ricerca paziente e ostinata di compromessi.
Problemi irrisolti
Eppure, l’accordo non è privo di ombre. La prima cosa da notare è che, dopo anni di discussione su un meccanismo di condizionalità per legare l’elargizione di fondi europei al rispetto dello stato di diritto, limatura dopo limatura, il campo di applicazione del regolamento appare oggi estremamente ristretto.
Sebbene i suoi sostenitori lo abbiano invocato come un modo per permettere a Bruxelles di fronteggiare e sanzionare comportamenti impropri da parte di governi illiberali, in realtà si tratta di un meccanismo che mira a prevenire soprattutto l’uso improprio dei finanziamenti dell’Ue. Per di più, la dichiarazione interpretativa fornisce ulteriori garanzie su come lo strumento dovrà essere implementato alla luce della tutela dell’interesse finanziario dell’Unione e sul fatto che esso non si riferisce a carenze generalizzate dello stato di diritto.
Il secondo elemento da segnalare è che l’accordo non solo presenta dei limiti nella portata del meccanismo, ma sembra anche fornire garanzie ad Orbán e Morawiecki riguardo a un possibile differimento temporale dello stesso. La dichiarazione afferma, infatti, che il meccanismo si applica solo al nuovo bilancio pluriennale Ue 2021-2017. Inoltre, essa prevede anche la possibilità di tardare le misure previste dal regolamento in caso di ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea e menziona l’eventualità di un freno di emergenza per l’intero processo. Il contenzioso alla Corte di giustizia europea richiede anni generalmente.
Pertanto, il regime di Orbán sarebbe ancora in grado di utilizzare i fondi dell’Ue fino alla campagna per le elezioni parlamentari del 2022. E lo stesso vale per Morawiecki in Polonia nel 2023. I due governi hanno quindi ottenuto ciò che volevano, ossia un meccanismo che probabilmente non verrà mai utilizzato almeno fino alla data delle elezioni nei rispettivi Paesi.
L’eredità della Merkel
I negoziati appena conclusi non hanno messo in gioco solo l’autorità morale dell’Unione, ma soprattutto il suo stesso futuro economico e politico, legato alla strada che l’Europa sarà in grado di intraprende nell’era post-Merkel.
La mediazione e il compromesso sono stati il leitmotiv di tutta la carriera politica di Angela Merkel, che ha saputo coniugare l’approfondimento dell’Unione con l’integrazione in essa dei Paesi dell’Europa centro-orientale.
Nonostante il compromesso raggiunto con Ungheria e Polonia, gli eventi recenti hanno dimostrato come l’approccio della Cancelliera tedesca sia sempre meno adeguato a garantire il futuro politico dell’Unione. Se l’accordo di bilancio permetterà certamente di dotare l’Ue di uno strumento speciale di stampo federalista, l’eredità della Cancelliera rimarrà profondamente segnata dalla sua incapacità di far seguire a questi strumenti una riforma adeguata della governance dell’Unione – limiti confermati anche dai ritardi della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI, dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.