Usa2020 ha confermato il “problema americano” del cattolicesimo globale
Le elezioni di Usa2020 hanno immortalato il sommovimento tettonico che sotto la placca americana scombina e rompe l’unità della comunità cattolica. Secondo AP VoteCast, il sondaggio elaborato dalla Associated Press, il presidente uscente Donald Trump avrebbe conquistato il 50% dell’elettorato cattolico statunitense, mentre il 49% si sarebbe schierato per lo sfidante Joe Biden. Nella sua proiezione nazionale, però, questa spaccatura non riesce ad entrare in profondità del “problema americano” per il cattolicesimo globale.
I dati disaggregati inquadrano più da vicino la faglia che taglia l’America e la ridisegna. Un carotaggio utile, in questo senso, può essere fatto in Pennsylvania, Stato decisivo nella corsa elettorale e casa di uno dei due contendenti, Joe Biden, nativo di Scranton. Politico conosciutissimo e cattolico praticante, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti non è riuscito a conquistare la maggioranza del voto dei proprio compagni di fede. A esser precisi, non ci è andato neppure vicino: il suo 43% è stato schiacciato dal 55% ottenuto da Trump. Non si tratta, allora, di una sola questione teologica, anche se ve ne sono senza dubbio le tracce.
Il cattolicesimo americano è talmente americano da scindersi in due su base partitica, sociale e, soprattutto, etnica. Il voto dei cattolici bianchi, per esempio, è andato al 57% a Trump e solo al 42% a Biden; al contrario, tra i cattolici ispanici, è il candidato democratico a stravincere (67%), mentre il tycoon newyorchese si accontenta delle briciole (32%). Questa interazione tra bianchi e ispanici spiega bene cosa sia successo anche in Pennsylvania, dove la composizione razziale – termine utilizzato così come da codice demografico a stelle e strisce – è ampiamente dominata dai bianchi (80,9%), seguiti da (molto) lontano da afroamericani (11,1%) e ispanici (8%). Insomma: il problema americano del cattolicesimo è – anche – un problema di demografia.
Uno scisma etno-religioso
Il cattolicesimo americano è parte della religione civile statunitense, che irrora le arterie nazionali sin dalla Dichiarazione d’indipendenza. Una costruzione sociologica e sentimentale che ha coinvolto quasi esclusivamente bianchi di estrazione europea e, in particolare, anglosassone e germanica. Componente demografica che, ad oggi, continua ad essere quella prevalente.
Nel futuro, però, la piramide sociale verrà riorganizzata: secondo lo United States Census Bureau, i bianchi non ispanici nel 2060 rappresenteranno poco più del 44% della popolazione, mentre nel 2016 erano il 62%; di contro, gli ispanici quattro anni fa contavano per il 18%, mentre tra quarant’anni arriveranno al 28%. In più, nel 2060, i giovani con meno di 18 anni saranno 36,4% bianchi non ispanici – oggi 49,8% – mentre il 31,9% saranno ispanici – oggi 25,5% -. Una ricomposizione dalle fondamenta della struttura nazionale.
Donald Trump, con la campagna elettorale che nel 2016 lo ha portato alla Casa Bianca, è riuscito ad intercettare la scontentezza dell’etnia dominante, derivante dal suo rapido declino, e a farla sua. Un malessere che ha, appunto, una forte dimensione religiosa: il cattolicesimo contaminato dal calvinismo americano è strumento di governo che assicura la conservazione di usi e costumi e preserva l’ethos nazionale. Baluardo dello status quo. Per questo, Trump, che ha raccolto le paure della maggioranza bianca – invecchiata, impoverita e colpita duramente dagli effetti collaterali della globalizzazione – è campione dei white Catholics, perché da loro è visto come garante dell’egemonia anglosassone e germanica. Più che uno scisma teologico, allora, è uno scisma etno-religioso.
Da qui nasce l’incomprensione di fondo tra il pontificato di Francesco e la presidenza Trump. I sostenitori cattolici del presidente in carica non perdonano lo sguardo rivolto al di là dell’Occidente dal Papa, che rigetta e condanna la commistione tra politica e religione, mezzo utile per il mantenimento del potere. L’incomprensione, però, non si risolverà semplicemente cambiando presidente: il malcontento resta e continua a dividere Vaticano e Stati Uniti più di quanto non faccia l’oceano Atlantico.
Biden e il cattolicesimo americano
A fare i conti con questa spaccatura sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Al di là di tutte le questioni legali che da qui a dicembre accompagneranno questa anomala transizione, Biden sarà il secondo presidente cattolico d’America. Le similitudini con l’altro presidente cattolico, John Fitzgerald Kennedy, finiscono però qui.
Biden dovrà fare i conti con una comunità frammentata e che, a maggioranza, gli ha preferito il candidato repubblicano. E che, molto probabilmente, continuerà a non appoggiarlo. In particolare, l’orientamento pro-choice di Biden sul tema dell’aborto – che ha portato i cattolici più conservatori a definirlo “falso cattolico” – e la sua apertura alle unioni omosessuali durante la presidenza Obama gli hanno inviso da tempo questa fetta di elettorato.
Difficile immaginare come la sua permanenza alla Casa Bianca possa sanare questa ferita, soprattutto dopo le affermazioni sulla necessità di rivedere il funzionamento – e la composizione – della Corte Suprema, oggi bastione inespugnabile del conservatorismo a stelle e strisce, ma che sono rese speranze vane dall’altamente probabile assenza di una maggioranza democratica al Senato.
La recente nomina di Amy Coney Barrett, ultracattolica giudice della Louisiana scelta da Trump per sostituire la deceduta icona liberal Ruth Bader Ginsburg, ha mobilitato buona parte dell’elettorato cattolico per il presidente. Metter mano alla Corte Suprema, per i cattolici che hanno scelto Trump, sarebbe una ferita mortale per l’anima del proprio Paese e una vittoria del liberalismo secolarizzante. Niente di peggio, per la nazione che si pensa divina.