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Non solo Nagorno-Karabakh

Se i destini del Caucaso sono un affare tra Russia e Turchia

16 Nov 2020 - Laura Mirachian - Laura Mirachian

L’intesa promossa dalla Russia fra Armenia Azerabigian il 9 novembre non è un “accordo di pace”, come spesso riportato. È un accordo di cessate-il-fuoco, come del resto segnala la sua validità temporanea, prevista in cinque anni tacitamente rinnovabili. Una pace avrebbe presupposto che lo status conteso del Nagorno-Karabakh venisse definitivamente sancito e, soprattutto, che qualcosa fosse previsto sui diritti rivendicati dagli armeni che, al di là dell’improvvida istanza di indipendenza, sono all’origine del conflitto.

Nulla viene detto al riguardo. Ed è per questo che il premier ameno Nikol Pashinyan viene contestato in patria come “traditore” per aver firmato la cessazione delle ostilità e il ritiro dai sette distretti azeri occupati nella guerra del 1991-94 (tre dei quali persi in battaglia), nel totale silenzio sui diritti.

Il ritiro militare annulla quella che gli armeni consideravano una garanzia dell’identità culturale del Nagorno-Karabakh. Chi contesta Pashinyan? Certamente la vecchia guardia politica, il cosiddetto “clan del Karabakh” che il suo predecessore Serzh Sargsyan ben interpretava, e tutti coloro che sono ostili alla società civile più avanzata (inclusa la marea di giovani) che lo ha eletto nel 2018.

Le mosse di Mosca
Questa è stata l’abilità dei negoziatori russi: l’aver previsto che Mosca rimetta piede in area con duemila peacekeeper senza trattare la sostanza del problema, limitandosi a sostituirsi come “garante” dei diritti armeni. In linea di continuità, peraltro, con la politica dei tempi sovietici, che da Stalin a Gorbaciov si è sempre ispirata a due principi: integrità territoriale dell’Azerbaigian e tutela della specificità culturale armena.

Il secondo risultato della diplomazia russa è l’aver sgomberato il campo dall’inconcludente triade del Gruppo di Minsk (Francia, Stati Uniti e Russia), il formato dell’Osce dimostratosi peraltro intrinsecamente inadatto a risolvere il contenzioso.

Il terzo e decisamente più importante risultato è l‘aver bloccato il contendente storico nella regione caucasica, la Turchia, impegnatasi a fondo al fianco dell’Azerbaigian, senza imbarcarsi in uno scontro militare diretto, pur possibile considerati gli arsenali custoditi nelle basi militari di Gyumri e Erebun in Armenia.

Mosca non solo non li ha utilizzati, ma ha atteso per giorni che le forze armene venissero indebolite, limitandosi al gesto formale di un tentativo di tregua. Perché? Al di là delle ragioni giuridiche sui termini dell’alleanza vigente con Yerevan (che non a caso non copre il Nagorno-Karabakh), o delle speculazioni sulle scarse simpatie di Mosca per Pashinyan e le sue finora presunte aperture all’Occidente, da sempre l’obiettivo strategico russo non si esaurisce con l’Armenia ma investe il recupero di influenza nell’intero spazio ex-sovietico regionale. Valgano le forniture di armamenti accordate all’Azerbaigian in questi anni, intese appunto a bilanciare la propria presenza e soprattutto sottrarre Baku all’influenza esclusiva di Ankara.

Gli accordi con la Turchia
Ha funzionato. È questa la terza volta che Mosca si accorda con Ankara, dopo l’intesa di Sochi sulla Siria e quella, di fatto, sulla Libia. Ankara non compare tra i firmatari né è menzionata nella tregua fra Armenia e Azerbaigian, ma è ben presente.

Con lo stesso metodo pragmatico, anche qui l’equilibrio delineato da Mosca è assicurato quel tanto che basta: i termini dell’intesa prevedono per Yerevan la vigilanza russa nel Nagorno-Karabakh (parziale, rimangono nel vago le linee di demarcazione) e nel corridoio di Lachin che collega Stepanakert con l’Armenia; e per Baku lo scorrimento di rifugiati (e non) tra l’Azerbaigian e l’enclave azera di Nakhtchivan, a un passo dalla Turchia. Questo è il tacito compromesso raggiunto con Ankara.

Tutto ciò è accaduto nel silenzio degli altri attori internazionali, intervenuti marginalmente con appelli e raccomandazioni, ivi inclusa l’Europa che pure include il Caucaso nella sua politica di Vicinato: un silenzio che assomiglia a un sollievo e suona come riconoscimento che i destini della regione sono un affare tra Russia e Turchia.

Per i due protagonisti, si tratta quantomeno di mettere a punto i dettagli, che dettagli non sono: la linea di demarcazione entro il Nagorno-Karabakh, il rientro dei rifugiati nelle rispettive zone di provenienza (masse di persone si sono spostate negli anni e potrebbero voler rientrare), la sicurezza dei rifugiati che intendano rimanere nelle zone di nuovo insediamento, e soprattutto la ricostruzione e la creazione di condizioni di sviluppo. Diversamente, sacche di resistenza e ulteriori episodi di scontro non sono da escludere.