Riequilibrio, vicinanza e pragmatismo: Biden e i Balcani
Seppur nel loro piccolo rispetto a temi di maggior rilevanza globale, i Balcani occidentali hanno giocato la loro parte nell’appena conclusasi campagna elettorale statunitense. La pregressa “esperienza balcanica” accumulata nei suoi anni da senatore e da vicepresidente può dare un’indicazione su come l’amministrazione guidata da Joe Biden si approccerà verso le criticità ancora presenti in quella regione e il suo non facile cammino euro-atlantico.
In campagna elettorale, era stato Donald Trump a giocare per primo la carta balcanica, spingendo sull’acceleratore dell’accordo firmato a Washington tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il premier kosovaro Avdullah Hoti, una versione molto annacquata dell’intesa sullo scambio di territori tra Serbia e Kosovo poi tramontata con l’uscita di scena per motivi giudiziari dell’ormai ex presidente kosovaro Hashim Thaçi.
La propaganda di Trump
L’accordo puntava in principio alla normalizzazione economica, ma è presto sfociato nella farsa, con poco chiari riferimenti alle relazioni dei due Paesi con Israele e il premier kosovaro che plaudiva all’iniziativa di Richard Grenell, rappresentante presidenziale per i rapporti tra Belgrado e Pristina, di rinominare il lago conteso al confine tra i due paesi (Ujman per i kosovari, Gazivoda per i serbi) Lago Trump, così da suggellare un presunto piano per condividerne lo sfruttamento.
Sia Trump sia Grenell hanno usato in vari comizi elettorali lo “storico accordo” tra Kosovo e Serbia per magnificare le doti di peace-maker del presidente. Trump ha più volte dichiarato ai suoi fan come, grazie a lui, Kosovo e Serbia abbiano smesso di “uccidersi a vicenda” come fatto negli ultimi “400 anni”, con i leader dei due Paesi che si sarebbero “abbracciati e baciati” nello Studio Ovale dopo la firma degli accordi.
Più prosaicamente, Grenell ha cercato di raccogliere il voto della comunità serba negli Stati Uniti con vari appuntamenti elettorali organizzati dai comitati Serbs for Trump 2020 in città dove è più forte la diaspora (tra cui Chicago, Milwaukee e Pittsburgh), accusando Biden di non avere alcuna considerazione per la Serbia e di voler riportare la situazione nei Balcani allo status quo precedente. Grenell ha anche fatto campagna elettorale nelle comunità albanesi, soprattutto a Detroit, ma con meno enfasi e pubblicità rispetto a quanto fatto per i serbi d’America, nonostante gli albanesi siano storicamente tra le nazioni più filo-Usa al mondo.
L’esperienza del democratico
Dal canto suo, Biden ha fatto tesoro della sua esperienza da combattivo senatore democratico durante il culmine dell’impegno statunitense nei Balcani tra Anni Novanta e primi Duemila, pubblicando veri e propri piccoli manifesti sulla visione dei rapporti che la sua amministrazione avrà con Albania, Kosovo e Bosnia-Erzegovina, facendo così appello ad un voto – quello delle rispettive diaspore di quei Paesi – già ampiamente di fede democratica.
In essi, Biden ha giocato sui suoi legami personali, ricordando come da senatore si sia battuto per promuovere l’intervento statunitense e della Nato in Bosnia e in Kosovo e la sua costante vicinanza nel loro difficile percorso post-bellico, auspicando progressi nel cammino verso l’adesione alla Nato e all’Ue.
Nel caso della Bosnia-Erzegovina, Biden ha ricordato di avervi condotto una delle sue prime visite da vicepresidente nel 2009, sottolineando come l’amministrazione Obama abbia introdotto le sanzioni contro l’attuale membro serbo della presidenza bosniaca Milorad Dodik per i suoi attacchi all’integrità territoriale del Paese, e affermando di voler lavorare per la “integrità e multietnicità bosniaca”.
Sul Kosovo, Biden più esplicitamente mira a rovesciare “l’approccio sbilanciato” di Trump verso il dialogo Belgrado-Pristina, e a lavorare in stretta partnership con l’Unione europea per arrivare ad un accordo complessivo che “rispetti l’integrità territoriale” kosovara.
I differenti approcci tra Trump e Biden hanno, naturalmente, dato vita a “tifoserie” balcaniche, con il già citato Dodik che ha invitato a votare per il primo, definendo il secondo un “odiatore dei serbi“, mentre gli altri due componenti della presidenza bosniaca, Zeljko Komsić e Šefik Dzaferović, sono stati tra i primi a congratularsi con Biden.
Vučić, pur se meno esplicito, dopo le elezioni ha fatto ampiamente capire che avrebbe preferito una vittoria di Trump, soprattutto per il suo approccio alla questione kosovara. Va da sé che l’attuale opposizione kosovara guidata dall’ex premier Albin Kurti, che proprio Grenell aveva implicitamente contribuito a defenestrare in quanto principale ostacolo allo scambio di territori, abbia invitato caldamente la diaspora albanese a votare per Biden.
Il nuovo presidente nei Balcani
In concreto, dunque, cosa farà l’amministrazione Biden nei Balcani? Sicuramente si allontanerà dai toni esasperati e dozzinali del governo uscente, ma è altrettanto difficile immaginare un attivismo marcato sulla scia dell’interventismo liberale degli anni ’90 e 2000 dell’allora senatore democratico.
Biden lascerà che l’Unione europea (ri)prenda l’iniziativa sui colloqui tra Kosovo e Serbia, non rinnovando la carica che Grenell lascerà vuota ma confermando probabilmente la figura dell’inviato speciale per il Balcani Richard Palmer, e fornendo il necessario appoggio morale a una normalizzazione che sicuramente sarà meno sbilanciata a favore dei serbi. Per i leader di Belgrado e Banja Luka sarà forse più difficile giocare la carta dell’influenza russa (e cinese), dato che Washington si mostrerà meno indulgente verso le aperture di Mosca alla regione, così come verso ogni eccesso di retorica nazionalista, revisionista e separatista.
Alla fine, sarà il pragmatismo – alla Casa Bianca come nei Balcani occidentali – a farla da padrone: ogni progresso verso la normalizzazione delle relazioni nella regione verso l’Unione europea e la Nato resterà, fondamentalmente, nelle mani non troppo intrepide dei governi locali.
Le opinioni espresse appartengono unicamente all’autore e non riflettono necessariamente l’opinione della Commissione europea o del Servizio europeo di azione esterna.