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L'ACCORDO A GUIDA ASEAN

Rcep: un segnale forte dall’Asia

17 Nov 2020 - Ferdinando Nelli Feroci - Ferdinando Nelli Feroci

Nella generale distrazione dei media e della politica in Italia, la stampa estera più autorevole ha riferito nei giorni scorsi dell’intesa, raggiunta da quindici Paesi asiatici dopo circa otto anni di negoziati, sulla creazione di una grande area di libero scambio in Asia e Oceania.

L’accordo, sottoscritto nel corso di una complessa cerimonia online, e denominato con la impronunciabile sigla Rcep (Regional Comprehensive Economic Partnership), segna di fatto l’avvio di un processo che dovrebbe portare alla creazione di una area ad elevata integrazione economica e commerciale nella regione del mondo ad oggi caratterizzata dai più alti tassi di crescita, dalle migliori prestazioni nel contrasto e nella prevenzione del Covid-19, e dal maggior dinamismo economico del pianeta.

Della partnership faranno parte quindici Paesi della regione che da soli rappresentano circa un terzo del Pil mondiale, e più di due miliardi di consumatori: Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda i e i dieci Paesi membri dell’Asean, l’organizzazione regionale del sud-est asiatico. Non ne farà parte invece l’India, che pure aveva partecipato alle prima fase dei negoziati, ma che aveva deciso di ritirarsi dall’accordo già lo scorso anno.

Dei contenuti dell’accordo sappiamo ancora poco. Sicuramente l’intesa si propone di ridurre le barriere agli scambi commerciali (in primis quelle tariffarie, ma forse anche una parte quelle non tariffarie) e promuovere una maggiore integrazione economica fra i suoi membri. Sappiamo anche che questo nuovo accordo dovrebbe in parte riprendere ed espandere intese già in vigore fra i suoi membri, e in parte definire sviluppi più ambiziosi al livello della macro-regione interessata.

Non è ancora chiaro invece se si limiterà alle misure di facilitazione del commercio. O se conterrà – secondo il modello degli accordi di libero scambio di ultima generazione – anche disposizioni sulla protezione degli investimenti, sulla tutela della proprietà intellettuale, su principi ispiratori in materia di convergenza regolamentare, o su meccanismi per la soluzione delle dispute.

Da un primo esame della composizione della membership di questa intesa, appare evidente che la Rcep, promossa con determinazione e fortemente voluta da Pechino, si propone come alternativa alla Trans Pacific Partnership (Tpp), quell’ambizioso progetto di accordo di partenariato economico e commerciale di largo respiro fra Paesi del Pacifico, che era stato avanzato dall’amministrazione Obama, anche in funzione di contenimento della Cina (e che non a caso escludeva il Dragone).

Il destino della Tpp, che aveva già incontrato resistenze e difficoltà in Congresso prima dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, era stato poi segnato dalla decisione dell’amministrazione Usa di ritirarsi dal progetto, all’inizio del mandato, con una decisione che a molti era apparsa scarsamente coerente con gli interessi americani (ivi compreso quello del contenimento della Cina), ma che era sicuramente in linea con la sua dichiarata allergia per le intese multilaterali.

Sappiamo dall’esperienza che queste intese sono relativamente facili da annunciare, ma molto più complesse da definire nei dettagli e ancor più da attuare. Vedremo quindi nei prossimi mesi e anni come si concretizzerà l’annuncio dei giorni scorsi.

Ma già l’annuncio contiene alcuni messaggi politicamente significativi che vale la pena registrare. In primo luogo, l’intesa costituisce un successo per la Cina, che è riuscita a riunire in un progetto di integrazione Paesi con sistemi economici molto diversi, portatori di principi e valori ugualmente differenziati.

L’accordo conferma quindi la determinazione di Pechino di proporsi, anche in questa congiuntura, come protagonista nella regione (e nel mondo), superando anche antiche rivalità con alcuni dei partner dell’intesa. E conferma anche quel pragmatismo che caratterizza la condotta e le scelte dei Paesi della regione, in nome di un interesse condiviso per la crescita da realizzare grazie all’interdipendenza delle economie.

L’accordo è poi da parte dei Paesi della regione un segnale inequivocabile di fiducia nella cooperazione internazionale e nel metodo delle intese multilaterali. E poco conta sotto questo profilo il fatto che sia limitato alla regione dell’Asia-Pacifico, e che i suoi contenuti siano ancora vaghi, solo se si pensa al valore simbolico di una intesa di questa portata in una congiuntura di crisi del multilateralismo.

L’annuncio dell’accordo poi interviene in una fase di passaggio delle consegne a Washington e in un contesto in cui la nuova amministrazione Usa dovrà definire la sua strategia rispetto al tema del commercio internazionale. Nella tempistica dell’annuncio traspare evidente la volontà dei Paesi della regione (in primis della Cina) di mandare un messaggio forte a Washington di fiducia negli accordi multilaterali e di sostegno al rilancio di un regime del commercio internazionale ispirato ai principi del libero scambio.

Gli Usa dovranno ora confrontarsi con una ripresa di iniziativa di Pechino e della regione su questa componente dell’agenda internazionale. E dovranno fare i conti con un nuovo blocco commerciale in Asia, sicuramente meno integrato dell’Ue o del Nafta, ma comunque in grado svolgere un ruolo di protagonista negli scambi internazionali.

L’accordo è poi un segnale positivo e di implicito sostegno per l’Europa, che non ha mai abbandonato la sua agenda di liberalizzazione del commercio, anche nella difficile congiuntura caratterizzata dall’ostilità di Trump per gli accordi commerciali e dalle conseguenze del Covid-19.

Ci sarà, però, da verificare in concreto come la creazione di questa vasta area di libero scambio in Asia potrà impattare sulla attuazione degli accordi già conclusi dall’Ue con vari membri della Rcep (Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Singapore) e con quelli che sono in fase di negoziato o solo allo stadio iniziale (Australia, Nuova Zelanda, Asean in quanto organizzazione regionale e forse in futuro Cina).

In conclusione, anche se è oggettivamente difficile quantificarne gli effetti allo stato attuale, questa intesa appare destinata a produrre un impatto positivo sul Pil della regione, almeno nel medio termine.

L’Asia, che già stava dimostrando un’eccellente resilienza al Covid-19 e ai suoi effetti, che ha già recuperato brillantemente rispetto al periodo pre-Covid in termini di crescita economica, che già non ha praticamente concorrenti nel mondo in termini di competitività e produttività, segna quindi un altro punto a suo favore, e vede aumentare i suoi vantaggi comparativi nella competizione globale con Usa ed Europa.

Un segnale da non trascurare per chi in Europa cerca faticosamente di progettare la fase della ripresa post-Covid.