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Ombre sul partito di Aung San Suu Kyi

Myanmar in bilico tra pandemia, conflitti e frammentazione politica

6 Nov 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Le elezioni generali di domenica 8 novembre saranno decisive per l’assegnazione di 1171 seggi, distribuiti tra gli organi legislativi regionali, statali e del Parlamento bicamerale della Repubblica dell’Unione del Myanmar. Chiamato Pyidaungsu Hluttaw, questo è formato dalla Camera dei Rappresentanti (Pyuthu Hluttaw) e dalla Camera delle Nazionalità (Amyotha Hluttaw). Il Paese si avvia così verso la terza elezione generale condotta seguendo la Costituzione del 2008.

La Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) è il partito in carica dalle precedenti elezioni, tenutesi nel 2015. La Nld si scontrerà con il Partito per l’Unione, la Solidarietà e lo Sviluppo (Usdp), con decine di partiti minori e diversi candidati indipendenti. In totale si contano 6969 candidati e 93 partiti, un riflesso dell’estrema frammentazione politica del Paese.

Le elezioni si svolgeranno nonostante i conflitti armati in corso e la crescente diffusione della pandemia di Covid-19 all’interno dei confini nazionali. La situazione ha portato diversi partiti di opposizione a richiedere che le consultazioni fossero posticipate, richiesta che ha incontrato una forte resistenza da parte della Nld. La Commissione per le Elezioni dell’Unione, l’organo in carica di supervisionare il processo elettorale – ma vicino all’esercito e alla Nld – ha infine respinto questa istanza, giudicandola anticostituzionale. La Costituzione del 2008 prevede infatti elezioni generali ogni cinque anni: solo in caso di stato di emergenza – che può essere dichiarato unicamente dal governo in carica, attualmente la Nld – il testo ammette il posticipo delle elezioni.

Nazione e società
L’organizzazione amministrativa, economica e politica del Myanmar riflette e rinforza la profonda frammentazione del Paese, basata su nette distinzioni etniche, religiose e linguistiche.

Tra i 135 gruppi etnici riconosciuti dal governo, la maggioranza etnica Bamar, che parla burmese ed è di religione buddista, gode di maggiore possibilità d’azione e rappresentanza politica ed economica. Per i cittadini non-Bamar e per coloro che non professano la religione buddista, discriminazione e violenza da parte del governo centrale e dell’esercito tendono a essere la norma. Alcune minoranze – in particolare quella cinese, indiana e Rohingya – sono bollate come “straniere” e sistematicamente private di diritti fondamentali, tra cui il diritto al voto e alla rappresentanza politica.

La divisione amministrativa del Paese riflette questo etno-nazionalismo pro-Bamar. Il Myanmar è infatti diviso in sette Stati e sette regioni, che si distinguono tra loro in quanto le “regioni” sono a maggioranza Bamar, mentre la popolazione degli “Stati” è composta principalmente da minoranze.

Una democrazia giovane, instabile e poco attrezzata
Sulla carta, la Costituzione del 2008 ha avviato il processo di democratizzazione del Paese, sancendo la fine del regime militare e l’inizio del trasferimento del potere politico nelle mani di istituzioni elette dal popolo. Tuttavia, è importante sottolineare che la Costituzione è stata redatta dallo stesso esercito e approvata tramite un referendum popolare la cui attendibilità resta dubbia. Non stupisce dunque che, ad oggi, l’esercito abbia mantenuto un forte potere politico: non è infatti sottoposto al comando né del presidente né di alcun organo eletto democraticamente, e occupa il 25% dei seggi all’interno del Pyidaungsu Hluttaw.

La trasparenza del processo elettorale è un ulteriore punto saliente nel determinare se i risultati di questa tornata rispecchieranno effettivamente la volontà popolare. Le elezioni generali del 2010 che portarono alla vittoria dell’Usdp, il partito sostenuto dall’esercito, furono giudicate irregolari dai diversi gruppi pro-democrazia del Paese, nonché dagli osservatori internazionali. Le prime elezioni generali considerate sufficientemente democratiche sono state quelle del 2015, grazie ai risultati ottenuti tramite una serie di riforme, avviate nel 2011, volte a garantire maggiore libertà politica e trasparenza nel processo elettorale. Le consultazioni del 2015 hanno infatti portato alla sconfitta dell’Usdp da parte dell’allora partito di opposizione, la Nld. Per quanto riguarda le elezioni di questo novembre, la loro affidabilità è particolarmente compromessa dalle limitazioni al libero movimento, necessarie data l’attuale pandemia, che impediscono agli osservatori internazionali di recarsi nel Paese. Le elezioni saranno dunque supervisionate da osservatori locali, un fattore che potrebbe minare la credibilità dell’intero processo – specialmente in una democrazia così giovane e instabile, prone al conflitto e alla repressione politica.

La Nld: da difensore a oppressore?
Nonostante le alte aspettative riposte dalla popolazione locale e dalla comunità internazionale nel governo in carica, la Nld non si è rivelata all’altezza di gestire le conflittualità interne al Paese. La sua figura di punta, la Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ha dovuto rispondere al Tribunale Internazionale dell’Aia per sospetti crimini contro l’umanità durante la repressione della minoranza Rohingya, condotta dall’esercito e di fatto supportata dal partito.

Alla vigilia delle nuove elezioni, dunque, la Nld ha perso credibilità come guida nella transizione verso un processo governativo inclusivo e democratico, in grado di dar voce e rappresentanza alle minoranze non-Bamar. Piuttosto, il partito ha calibrato la sua attuale campagna elettorale in modo da raccogliere i voti del gruppo etnico dominante, emarginando ulteriormente le minoranze dal processo politico. Contrariamente agli obiettivi posti quando era ancora partito di opposizione, la Nld non ha modificato la legge sulla cittadinanza del 1982, la quale continua a impedire ai Rohingya di presentarsi come candidati; inoltre, non ha portato a termine l’aggiornamento delle liste dei votanti, che rimangono inaffidabili e incomplete. Di fatto, la compresenza di questi fattori continua a precludere a diverse minoranze la possibilità di partecipare alla vita politica del Paese e di essere adeguatamente rappresentate.

Le elezioni generali di novembre si svolgeranno dunque tra un numero crescente di contagi da Covid-19 e il perdurare di conflitti in diversi Stati del Myanmar. Sebbene, inizialmente, queste elezioni siano state viste come un’opportunità per continuare il processo di democratizzazione del Paese, si teme in realtà che la Nld abbia spinto per andare al voto nonostante la situazione di crisi – in quanto questa le concede maggiori possibilità di riconfermarsi al potere. Vista in questi termini, la via verso una piena democrazia sembra dunque ancora lunga per il Myanmar.

A cura di Sara Bertucci, autrice Asia de Lo Spiegone

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