IAI
Difesa europea

L’autonomia strategica dell’Ue è ancora lontana

26 Nov 2020 - Ester Sabatino - Ester Sabatino

Dalla pubblicazione della Strategia Globale dell’Ue del 2016 si riflette su cosa si voglia intendere con “livello appropriato di autonomia strategica“, inteso come necessario a assicurare una buona capacità di gestione delle crisi; a supportare lo sviluppo capacitivo dei partner; a proteggere i cittadini europei.

In altre parole, si discute quale possa essere il livello di autonomia strategica – e cosa questo comporti – necessario a soddisfare l’ambizione dell’Unione. Quattro anni dopo la pubblicazione della Strategia, è diventato pressante fare dei passi in avanti in tal senso, soprattutto visto l’attuale quadro politico internazionale, il carattere sempre più ibrido delle minacce e in considerazione dei possibili effetti negativi del Covid-19 sulla difesa.

Segnali di movimento
Sebbene molto resti ancora da fare ed essere definito, nel mese di novembre ci sono state delle novità che lasciano sperare in un avanzamento.

Dopo la decisione di inizio mese sulla partecipazione di Stati ed entità terzi ai progetti Pesco – la cooperazione strutturata in materia di difesa -, più volte auspicata soprattutto da Francia, Germania, Italia e Spagna, lo scorso 20 novembre è stata approvata la revisione strategica del meccanismo di cooperazione. Questa mette in evidenza come soltanto il 55% dei 47 progetti in corso riusciranno a produrre risultati concreti entro il 2025 e come, durante la seconda fase della Pesco (2021-2025), sarà necessario soddisfare anche i commitment più stringenti tra i 20 alla base della cooperazione.

In questo, i Paesi membri dovranno essere maggiormente attenti e lavorare per il raggiungimento di importanti traguardi, come la disponibilità di un pacchetto di forze coerente che copra tutto lo spettro – si pensi al rafforzamento dell’efficienza operativa e dell’azione militare dell’Ue.

Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante se si considera il quadro internazionale. Come evidenziato da un recente studio IAI, non vi è motivo di credere a un’inversione di rotta da parte dell’amministrazione di Joe Biden sull’interesse americano verso il pacifico, con conseguente allontanamento, nei limiti del possibile, dell’alleato strategico dalla regione euro-mediterranea.

In conseguenza di ciò, all’interno della Nato si potrebbe concretizzare la necessità di una diversa divisione del lavoro, in cui gli Stati europei dovranno, per forza di cose, disporre di alcune capacità militari chiave e, in caso di necessità, essere pronti ad impiegarle con un certo livello di autonomia dal proprio alleato.

La revisione della Card
Lo scorso 20 novembre ha segnato anche la conclusione del primo ciclo completo della revisione coordinata annuale sulla difesa (Card). Il monitoraggio della pianificazione e sviluppo capacitivo risultante da questo sforzo evidenza come vi siano molte aree di cooperazione che possono essere sfruttate dagli stati membri in ambito di difesa.

A livello capacitivo, la Card individua 55 opportunità di collaborazione nello sviluppo della nuova generazione di capacità militari – tra cui i carri armati, le capacità di contrasto dei droni e protezione aerea (anti-access/anti-denial), i sistemi per il soldato, la mobilità militare, motovedette costiere e d’altura e la difesa nello spazio tra i principali – nonché ulteriori 56 possibilità di cooperazione in ambito di ricerca e innovazione per la difesa, come sull’intelligenza artificiale, la difesa cibernetica, la robotica, la nuova tecnologia collegata ai sensori, o l’efficienza energetica.

Senza cultura strategica e pochi fondi
Il primo ciclo della Card mette tuttavia in risalto la persistenza di frammentazione e volatilità del settore, evidenziando come bisognerebbe coordinare meglio la spesa, la pianificazione e la cooperazione tra gli Stati membri.

Quel che il primo ciclo della Card dice è che gli interessi nazionali prevalgono. E potrebbe difficilmente essere altrimenti data la mancanza di una cultura strategica condivisa tra i Ventisette. In questo, lo Strategic Compass potrebbe essere il tassello mancante nella definizione di un approccio strategico condiviso da seguire. Alla base di questo sforzo, vi è l’analisi condivisa delle minacce presentata durante il meeting dello scorso 20 novembre, per arrivare, entro il semestre di presidenza francese del Consiglio, a un approccio condiviso e funzionale al raggiungimento del livello di ambizione dell’Ue.

Se da un lato la volontà politica e il coordinamento degli sforzi da attuare costituiscono una parte rilevante per il raggiungimento dell’autonomia strategica, la capacità di spesa nel settore della difesa completa il set degli strumenti necessari. La crisi economica generata dal Covid-19 potrebbe inficiare negativamente la difesa europea, soprattutto se si guarda alle conseguenze della crisi economica del 2008, più limitata rispetto a quella attuale. Problema che potrebbe essere circoscritto con una forte convinzione politica sulla necessità di dover mantenere un determinato livello di spesa.

I Paesi dell’Ue si trovano quindi a dover fare i conti, nuovamente, con quelle che sono le priorità e in questo l’Italia potrebbe farsi promotrice di un approccio più inclusivo, partendo da una più stretta collaborazione con Francia e Germania.