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"L'oro della Turchia"

La rivoluzione urbana di Erdoğan

16 Nov 2020 - Giovanna Loccatelli - Giovanna Loccatelli

Recep Tayyip Erdoğan è l’architetto della yeni Türkiye, la nuova Turchia. Istanbul, negli ultimi vent’anni, è diventata un cantiere a cielo aperto fatto di ponti, moschee, nuovi quartieri e progetti megalomani.

In alcune zone, i grattacieli si sono moltiplicati. I centri commerciali sono diventati il segno distintivo di un nuovo modo di vivere. Le gated communities, ossia le comunità residenziali chiuse, hanno accentuato drammaticamente il fenomeno della segregazione spaziale. Il processo di gentrificazione e l’urbanizzazione selvaggia hanno scardinato il tessuto sociale di interi quartieri.

Un’epocale rivoluzione ha investito il settore dei trasporti e delle costruzioni. Tutto questo è  l’oro della Turchia voluto fortemente dal presidente e che ora, complice una forte crisi economica, potrebbe smettere di luccicare tra le mani.

Non è cambiato solo il volto del Paese ma anche i suoi abitanti. La classe media si è allargata e il divario tra ricchi e poveri è aumentato drammaticamente. Scontri tra siriani e turchi sono sempre più frequenti a Istanbul, sintomo di un malessere diffuso e profondo. La borghesia musulmana conservatrice, che alla fine degli anni Ottanta ha iniziato la sua corsa con la presidenza di Turgut Özal, ha occupato luoghi e posizioni che prima erano ad appannaggio unicamente dei beyaz Türkler, i turchi bianchi. Una categoria sociale, quest’ultima, estremamente importante per le sorti del Paese, anche se numericamente molto esigua. Sono chiamati “bianchi” per la loro appartenenza ad una certa classe sociale, più che politica.

Finanzieri, cosmopoliti, amanti del benessere e della bella vita: così vengono riconosciuti dalla maggior parte dei cittadini. Lo stesso Erdoğan più di una volta nei suoi comizi la nomina per prenderne le distanze. Ma è proprio lui ad averla alimentata negli ultimi anni. Ed è proprio il presidente turco che continua a servirsene, quando ne ha più bisogno.

La strategia del Sultano
La strategia politica di Recep Tayyip Erdoğan si muove contemporaneamente su più binari: da una parte accentua il più possibile nei suoi comizi le differenze tra i cosiddetti turchi bianchi ed il resto della popolazione. Con l’unico scopo di prendersi l’appoggio della stragrande maggioranza dei cittadini che certamente non vive all’europea, ma viceversa è conservatrice e attenta alle tradizioni.

Dall’altra parte, si è accalappiato progressivamente nelle grandi città il favore di una parte dei benestanti turchi, facendo perno proprio sul settore economico, oggi la sua spina nel fianco e scoglio maggiore al raggiungimento dei suoi obiettivi politici.

La rivoluzione urbana di Erdoğan rappresenta una strategia politica ben chiara tesa a sradicare l’identità originaria del luogo, controllare gli spazi di aggregazione urbana e rendere il più possibile Istanbul appetibile agli occhi degli investitori.

Così come Atatürk, anche Recep Tayyip Erdoğan ha capito fin da subito che il suo potere e l’eredità del suo impero sarebbero passate innanzitutto attraverso le trasformazioni fisiche concentrate nella capitale economica del Paese. Cambiare l’assetto urbano di una città comporta il cambiamento delle abitudini dei suoi cittadini. Non a caso i grandi uomini della Turchia hanno sempre parlato di modernizzazione della nazione partendo dalla modernizzazione della città. In questo quadro, il presidente turco può essere considerato, a tutti gli effetti, il vero erede di Atatürk nella misura in cui entrambi intendono il cambiamento costante come l’essenza vitale del fare politica.

Islam e urbanizzazione
Oggi, attraversando piazza Taksim e Gezi Park, si possono scorgere giovani che si incontrano, leggono un libro o semplicemente passeggiano ma è più difficile individuare qualcuno che consumi alcolici in pubblico rispetto a qualche anno fa. Moderni e mastodontici alberghi si affacciano sulla piazza e allo stesso tempo si possono attraversare mercatini o incontrare venditori ambulanti di prodotti tipici turchi.

E poi la presenza di una nuova moschea che simboleggia il reinserimento della religione nella sfera pubblica della società turca. L’Islam, “materialmente” eliminato da questa piazza per lungo tempo, ora si ritaglia uno spazio al suo interno, come all’interno della nazione. L’idea di Recep Tayyip Erdoğan di demolire l’Akm, il Centro culturale Atatürk, non è una scelta architettonica e urbanistica astratta, ma vuole essere un chiaro messaggio che illustri quale storia si debba rievocare e quale dimenticare. Su questa scia si è inserita perfettamente- e non a caso- la riconversione a moschea della basilica di Santa Sofia.

Una rivoluzione del nuovo islamismo – così definita da diversi studiosi – che ha modificato le dinamiche politiche e sociali; rimodellato le forze di opposizione al governo islamista; innescato nuove forme di protesta attraverso la nascita di movimenti urbani in difesa dello spazio pubblico e soprattutto ha portato il paese sull’orlo del baratro, in balia di una tempesta finanziaria, vero banco di prova del presidente turco. Perché tutto questo impero, nasce, cresce e si nutre su queste fondamenta.

Spiegare la nuova Turchia
L’oro della Turchia descrive i grandi progetti che sono stati realizzati e quelli ancora in cantiere; spiega come funziona la propaganda governativa e perché il leader turco ha ancora molto consenso, nonostante il suo autoritarismo dilagante.

Racconta una società, soprattutto nelle grandi città, molto eterogenea, in cui alte barriere sociali e architettoniche sono all’ordine del giorno. Mette l’accento sulle fragilità di un’intera categoria sociale: i beyaz TürklerAnalizza le ultime elezioni amministrative e spiega come abbiano gettato ombre sul destino dorato dell’Akp, un partito popolare diventato nel tempo élite corrotta. Spiega come la vittoria schiacciante di Ekrem İmamoğlu a Istanbul sia – tra le altre cose – la vittoria dell’ambientalismo contro l’iper-urbanizzazione voluta dall’Akp.

Mette, infine, a nudo l’intento del presidente turco di dare un nuovo significato e attribuire nuovi valori ai monumenti e agli spazi pubblici più importanti della “nuova Turchia”.