La Nato e il bivio delle elezioni americane
L’incognita sui risultati delle elezioni americane lascia diversi scenari aperti, anche per quel che riguarda il futuro della Nato. Negli ultimi anni l’Alleanza atlantica ha dato prova di riuscire a esercitare un’efficace azione nella protezione della sicurezza dei suoi alleati. Dai quattro battaglioni multinazionali stanziati sul fianco Est della Nato (oltre 4000 unità) in chiave di deterrenza dal vicino russo, all’attivazione del Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre per contribuire alla lotta alla pandemia, fino al ruolo giocato nella mediazione tra Grecia e Turchia con la creazione di un meccanismo di de-confliction militare.
Ciò nonostante, turbolenze interne dovute a divergenze negli interessi degli alleati, e allo scostamento di alcuni di essi dalla visione comune alla base dell’azione dell’Alleanza, ne mettono a dura prova la credibilità. Tensioni nel Mediterraneo orientale, divisioni tra priorità sul fianco sud e sul fianco est ne sono alcuni esempi.
Altri quattro difficili anni con Trump?
Le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti avranno un impatto politico strategico decisivo per l’Alleanza, come evidenziato anche nel recente paper presentato al webinar organizzato congiuntamente da Aspen Istitute Italia e IAI.
Due gli scenari possibili, nell’incertezza sui risultati elettorali. Il primo, nel caso di una vittoria di Donald Trump, tutt’altro che impossibile, rappresenta lo scenario più difficile per l’Alleanza. L’astio del presidente repubblicano verso i formati multilaterali e per il modus operandi basato sul consensus-building, o escalation verbali e diplomatiche con Paesi chiave come Germania o Francia, non solo saranno all’ordine del giorno, ma con tutta probabilità arriveranno a nuove vette, colpendo direttamente o indirettamente la coesione politica dell’Alleanza.
In questo scenario, il Consiglio Nord Atlantico, l’organo politico e decisionale più importante nella Nato, rischia di essere sminuito dalla marcata preferenza dell’amministrazione Trump per accordi bilaterali negoziati in base a un rapporto costi-benefici inteso in senso stretto e di breve periodo.
Biden e il rilancio del dialogo transatlantico
Nel secondo scenario, l’elezione del democratico Joe Biden a presidente degli Stati Uniti potrebbe verosimilmente rilanciare un’Alleanza che al momento regge, ma è reduce da duri colpi. Biden rappresenta infatti le tradizionali posizioni dell’establishment statunitense in politica estera. Ricucirebbe probabilmente i rapporti con alleati vecchi e nuovi, rassicurando così gli europei, e adotterebbe un approccio più duro verso la Russia e la Turchia ma senza provocare strappi.
Cercherebbe inoltre di recuperare il terreno perso dagli Stati Uniti in consessi multilaterali come le Nazioni Unite, e in teatri geopolitici in cui l’assenza di Washington ha lasciato spazio e contribuito a rafforzare potenze regionali e non, come nel caso di Cina, Turchia e Russia nella regione del Medio Oriente e Nord Africa. Per la Nato un esito simile sarebbe un salto di qualità rispetto agli ultimi quattro anni. In questo contesto, il rinnovato dialogo transatlantico spianerebbe la strada per il processo di elaborazione di un nuovo Concetto strategico, che sostituisca quello del 2010 ormai superato dall’evoluzione del quadro internazionale.
Alcuni punti fermi
A prescindere da chi andrà alla Casa Bianca, diversi elementi di continuità dell’ultimo decennio rimarranno validi per la Nato.
Un’amministrazione Biden rassicurerebbe e ricucirebbe relazioni con gli alleati in Europa, ma questo non si tradurrebbe in un cambiamento sostanziale del solido contributo alla sicurezza e difesa del Vecchio Continente rispetto a quanto già succede ora nonostante lo spauracchio della retorica trumpiana. Così come rimarrà forte la pressione statunitense, sostanzialmente bipartisan, affinché i Paesi europei aumentino i proprio bilanci per la difesa verso il 2% del Pil – obiettivo sempre più difficile da raggiungere anche a causa del Covid-19. In questo contesto, tra gli alleati chi come la Polonia ha saputo giocare eccellentemente le sue carte in un rapporto bilaterale con Trump, beneficiandone, potrebbe veder diminuire la propria influenza.
Un’amministrazione democratica giocherebbe sì un ruolo più rilevante nello scenario mediorientale, ma lo farebbe in maniera prevalentemente diplomatica e simbolica. Per la Nato dunque, chiunque sarà il prossimo presidente, non ci sarà un secondo Afghanistan, ma eventualmente più missioni di addestramento e costruzione di capacità locali limitate nello scopo, nell’impiego delle risorse, in particolare per quel che riguarda il personale, e, possibilmente, nella durata. Ciò vuol dire che in l’Italia e l’Europa dovranno comunque farsi più carico da sole, volenti o nolenti, della sicurezza del vicinato meridionale.
Infine, a prescindere dal nuovo presidente, per gli Stati Uniti rimarrà come priorità bipartisan una questione cruciale su cui gli alleati verranno chiamati a prendere una posizione più netta: la Cina. Washington chiederà agli europei di schierarsi nel campo occidentale in quello che è percepito come uno scontro a tutto campo – da quello militare a quello economico, industriale e tecnologico – con Pechino.
Chiunque andrà alla Casa Bianca, gli europei dovranno dunque mettere in ordine le proprie priorità quanto a sicurezza nazionale, e attrezzarsi per un dialogo e cooperazione in ambito Nato tanto impegnativi quanto necessari visto il quadro strategico con cui confrontarsi.