Joe Biden alla Casa Bianca
Joseph Robinette Biden jr. è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Quattro giorni dopo l’Election Day del 3 novembre, i principali media – dall’Associated Press alla Cnn – hanno assegnato la vittoria al candidato democratico, al termine di un lungo conteggio negli Stati contesi e dopo un nuovo vantaggio nella cruciale Pennsylvania che ha proiettato in avanti Biden.
Si è avverato molto di quanto i sondaggisti avevano previsto alla vigilia: la marea rossa, subito dopo l’apertura delle urne per il conteggio dei voti, con un iniziale balzo in avanti di Donald Trump negli Stati chiave, è stata spazzata via da una piccola ma costante onda blu che si è consolidata nelle ultime ore, con la rimonta nei battleground States dove lo scrutinio del voto postale ha premiato il democratico, dalla Pennsylvania alla Georgia, dall’Arizona al Nevada.
Tante le prime volte che questa vittoria porta con sé. Joe Biden, 78 anni il prossimo 20 novembre, è il più anziano candidato mai eletto alla Casa Bianca, ma anche quello con la maggiore esperienza alle spalle: lunga carriera da senatore del Delaware per 36 anni (fu eletto proprio il 7 novembre di 42 anni fa), aveva già tentato la corsa presidenziale partecipando due volte alle primarie democratiche nel 1988 e nel 2008; dal 2009 al 2017 è stato numero due di Barack Obama. Nelle elezioni che hanno fatto registrare un record di partecipazione, il presidente-eletto si conferma anche il più votato di sempre con il 50,5% delle preferenze espresse: un totale di oltre 73 milioni di voti (e ancora ne mancherebbero all’appello). Con Biden arriva alla Casa Bianca Kamala Harris: una prima volta alla terza. È la prima donna, la prima afroamericana e la prima asiatico-americana eletta alla vicepresidenza.
Il candidato democratico è riuscito in un’impresa non da poco, verificatasi soltanto due volte prima d’ora nella storia recente degli Stati Uniti: quella di sconfiggere un presidente uscente. Era capitato a Ronald Reagan nel 1980 – sconfiggendo Jimmy Carter – e a Bill Clinton nel 1992 – contro George W. H. Bush -.
Queste le prime analisi dell’Istituto Affari Internazionali:
NATHALIE TOCCI (Direttore)
“Sono stati giorni di agonia, non solamente per gli Usa, ma anche per noi europei. Queste elezioni sono state di un’importanza quasi esistenziale, per gli Usa come per l’Europa e tutto il mondo democratico. Questo va al di là dei due candidati e delle loro politiche, proprio perché in gioco c’è stata la democrazia stessa negli Stati Uniti. Visto che gli Stati Uniti sono il leader del mondo democratico, chiaramente quello che accade negli Usa ha poi ripercussioni altrove nel mondo.
Con l’amministrazione Biden, cambia molto. Gli europei hanno avuto negli ultimi quattro anni, per la prima volta nella loro storia, un nemico alla Casa Bianca. Con Biden ritrovano un reale alleato, un vero partner, che ha a cuore le alleanze, le partnership, che ha un approccio aperto al multilateralismo, e con cui condivide una serie di obiettivi e politiche.
L’Europa condivide con la futura amministrazione Biden una serie di obiettivi di policy: dal far fronte in maniera cooperativa alla pandemia, al rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano e nell’accordo di Parigi sul clima. Vanno però anche da sottolineare una serie di criticità. Biden ha vinto le elezioni, ma il trumpismo non ha perso. Sappiamo che 70 milioni di voti sono andati verso un certo tipo di approccio, un certo tipo di ideologia, un certo modo di intendere la democrazia, o meglio di non intendere la democrazia. Con tutto questo gli europei devono fare i conti; l’amministrazione Biden stessa deve farne i conti.
Questo vuol dire, a mio avviso, che quella che è l’agenda per l’autonomia europea, per una maggiore assunzione di responsabilità e di rischio degli europei, deve continuare. L’amministrazione Biden non deve diventare per noi europei la scusa per ricacciare la testa sotto la sabbia. Deve invece essere l’opportunità di dire che non abbiamo più un nemico dall’altra parte dell’atlantico, che cerca di punirci con guerre commerciali e sanzioni secondarie, ma sono comunque degli Stati Uniti che hanno una serie di problemi interni: dal funzionamento del sistema democratico a una pandemia, a una polarizzazione politica all’interno di entrambi i partiti.
Quindi, quella di Biden, sarà un amministrazione molto concentrata sull’interno, avrà un Senato a maggioranza repubblicana, che rischia di rendere questa un amministrazione azzoppata. Tutti questi rischi devono far sì che noi europei manteniamo in qualche modo la barra dritta, facendoci dire: “Abbiamo di nuovo un partner, ma questo non ci deve distogliere dal continuare a perseguire quella che è la nostra agenda economica, digitale, estera, sicurezza, di difesa, verso una maggiore autonomia europea“.
FERDINANDO NELLI FEROCI (Presidente)
“Biden ha vinto, ha vinto di stretta misura. Trump ha tenuto. Ha tenuto molto meglio di quanto ci si potesse aspettare dando retta ai sondaggi della vigilia. La vittoria di Biden è un evento molto importante e significativa. Segna una soluzione di continuità decisamente importante. Ma Biden dovrà governare un Paese spaccato e diviso. Dovrà soprattutto confrontarsi quotidianamente con un Senato nel quale verosimilmente prevarrà una maggioranza repubblicana. Il compito che aspetta il nuovo inquilino della Casa Bianca è complesso e difficile: agire in maniera molto più efficace di quanto sia stato in grado di fare il predecessore per contenere i contagi e ridurre l’impatto della pandemia, ma soprattutto rilanciare un’economia che ha sofferto molto delle conseguenze del Covid-19. Inoltre, va ricostruito un clima di armonia e riconciliazione nazionale in un Paese – è emerso chiaramente in questa tornata elettorale – pesantemente diviso dall’esperienza di Trump alla Casa Bianca. Un compito non facile.
Per noi europei la vittoria di Biden è molto probabilmente un segnale positivo. Dovremmo avere alla Casa Bianca un inquilino più disponibile al dialogo e alla collaborazione con noi e certamente non avremo quelle difficoltà che abbiamo dovuto registrare nel rapporto con un presidente instabile, poco prevedibile, e sostanzialmente non orientato amichevolmente nei confronti dell’Europa.
È possibile ed augurabile che con Biden riusciamo a realizzare molte più convergenze su temi di interesse comuni, a partire per esempio da un impegno condiviso per ristabilire delle regole comuni sulla scena internazionale, per rilanciare il multilateralismo, per ricostruire un clima di fiducia nei confronti delle istituzioni internazionali. Ma non sarà tutto in discesa come potrebbe apparire a prima vista, perché su alcuni temi dovremmo verosimilmente registrare una certa continuità nella politica estera di Biden, rispetto a quella di Trump. Penso al rapporto con la Cina, che rimarrà sicuramente ispirato a una competizione strategica, nella quale l’Europa dovrà trovare una sua collocazione; penso alla difficoltà per l’amministrazione entrante di riposizionarsi in maniera significativamente diversa sugli scenari mediorientali e mediterranei; e penso agli interessi commerciali americani che purtroppo in alcuni casi potrebbero entrare in conflitto con quelli europei. Prepariamoci quindi a un dialogo, che sarà più costruttivo che nel passato recente, ma anche un confronto nel quale dovremo, probabilmente come europei, assumerci maggiori responsabilità”.
RICCARDO ALCARO (Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali”)
“La storia dell’elezione del presidente americano è stata senz’altro quella del mancato ripudio di Trump. Al contrario, il presidente uscente si è dimostrato un candidato formidabile. La sua performance è andata ben oltre le attese: oltre 7 milioni di voti in più presi rispetto al 2016, il maggior numero di voti mai presi da un candidato repubblicano, che è stato competitivo in tutti gli Stati che erano ritenuti in bilico, e in alcuni dei quali, come Ohio, Iowa e lo stesso Texas, ha vinto in realtà a mani basse. Ora però che l’esito delle elezioni è ufficiale, è il caso di raccontare l’altra storia straordinaria dell’elezione: la forza del candidato Biden.
Joe Biden, da sempre ritenuto una specie di seconda scelta, ha preso oltre 4 milioni di voti in più rispetto a Trump. Pari a circa il 51% dei voti. Quindi la maggioranza assoluta, un risultato che in una corsa a due è ritenuto sempre eccezionale. Ha ripreso dai repubblicani i tre Stati del Midwest che Trump aveva vinto nel 2016, Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, e probabilmente porterà a casa due Stati storicamente repubblicani, come l’Arizona, che aveva votato per il candidato democratico solo una volta negli ultimi 70 anni, e la Georgia, che è tradizionalmente un bastione del conservatorismo. La performance di Biden nella minoranza latina di Texas, ma soprattutto Florida, è stata deludente, ma questo è stato ampiamente compensato dal recupero dall’elettorato bianco senza laurea, soprattutto quello femminile, e in quello over 65, in particolare proprio negli Stati chiave del Midwest. Biden è anche il candidato che ha preso più voti in assoluto nella storia degli Stati Uniti.
In conclusione, se quella di Trump è stata un performance formidabile, quella di Biden è straordinaria. Biden non è la ragione per cui il trumpismo non è stato ripudiato, è la ragione per cui il trumpismo non ha trionfato. Trump è stato sconfitto. La prima volta che un presidente americano perde la rielezione dal 1992.
Fortissimo come candidato, Biden come presidente potrebbe però essere meno efficace. Moltissimo dipenderà dall’eventualità, remota ma non impossibile, che i democratici possano conquistare i due seggi senatoriali della Georgia, che potrebbero essere entrambi in ballo a gennaio, così, se li dovessero vincere, potrebbero pareggiare i conti con i repubblicani (50 senatori a testa). Se ciò avvenisse Biden potrebbe contare sulla maggioranza, perché la costituzione darebbe alla vice-presidente Kamala Harris, il potere di rompere lo stallo. Se invece i repubblicani mantenessero la maggioranza in Senato, la presidenza di Biden partirebbe azzoppata. La sfida per Biden comincia ancora prima di insediarsi, e non è detto che si dimostri all’altezza.
Oggi però è il caso di riconoscere che l’anziano Joe Biden è il vero vincitore di questa campagna elettorale”.
NICOLETTA PIROZZI (Responsabile delle relazioni istituzionali e del programma “Ue, politica e istituzioni”)
“Un grande giorno per gli Stati Uniti, per l’Europa e per la comunità internazionale. Con la vittoria di Joe Biden e Kamala Harris, gli Usa tornano ad essere un partner strategico affidabile per l’Ue e non più l’alleato riluttante che abbiamo conosciuto sotto l’amministrazione Trump. Biden sicuramente promuoverà un generale ritorno degli Usa al multilateralismo e alla collaborazione con gli alleati europei. A partire dal pacchetto clima e il rientro degli Usa negli accordi di Parigi, Biden si adopererà anche per ristabilire una leadership americana nella Nato, e in generale, ricostruire una fiducia con gli alleati transatlantici. Sarà inoltre un partner importante nel periodo che seguirà, alla fine del periodo transitorio, e agli accordi post Brexit.
L’Europa in questi anni ha imparato che il partenariato transatlantico non va più col pilota automatico, e che sarà necessario negoziare un convergenza di interessi a livello regionale e settoriale con gli Stati Uniti. A partire in particolare dalle aeree del Mediterraneo e del Medio Oriente. Non cambierà l’atteggiamento degli Usa nei confronti della Cina, che continuerà a essere messa sotto pressione, ma molto probabilmente Biden sceglierà una strategia transatlantica e sicuramente eviterà conflitti commerciali con l’Europa, così come abbiamo conosciuto durante il periodo Trump.
In generale, quindi con l’amministrazione Biden, Stati Uniti e Unione europea tornano ad essere alleati in un quadro condiviso di valori e istituzioni internazionali. Questo può dare nuovo slancio al partenariato transatlantico sebbene in un contesto di forte crisi delle democrazie liberarli”.
ETTORE GRECO (Vicepresidente vicario e responsabile del programma di ricerca “Multilateralismo e governance globale”)
“Ora che abbiamo finalmente la conferma della vittoria di Biden, è rassicurante che il nuovo presidente abbia invitato ad avere pazienza e a mantenere la calma. E’ questo lo stile di governo che l’America ritrova passato un periodo di turbolenza che Trump, irresponsabilmente, ha alimentato. Se Biden continuerà su questa strada, avrà buone chance per provare a sanare le fratture profonde che attraversano l’America, e di cui queste elezioni sono una manifestazione eclatante. Uno stile di governo più responsabile, attento agli equilibri e alle regole istituzionali e anche, credo il presupposto per un rilancio del dialogo e della cooperazione a livello atlantico. Usa e Europa possono ora riprendere insieme un impegno per difendere e consolidare gli strumenti della governance globale, dopo un quadriennio durante il quale il presidente americano si è adoperato in vari modi e in varie occasione per smantellarli. Non sarà facile, perché molti danno sono stati fatti, e porvi rimedio richiederà uno sforzo prolungato e molta determinazione e pazienza. Gli europei potranno ora contare su un presidente disposto ad ascoltare le loro ragioni e a cercare la via del compromesso, su questioni su cui continueranno a rimanere certamente dei contrasti fra le due sponde dell’Atlantico. Trump invece ha fatto di tutto per dividere gli Europei, mettendo in discussione anche fondamentali strumenti di azione comune. La speranza è che una stagione si sia chiusa e che si possa presto tornare a lavorare insieme per garantire stabilità a livello globale e rilanciare i principi cardine del multilateralismo e della cooperazione internazionale“.