In Burkina Faso un voto scosso dalla minaccia terroristica nel Sahel
Domenica 22 novembre, in Burkina Faso, si andrà al voto per il rinnovo sia del presidente che dell’Assemblea nazionale. Queste elezioni avvengono in una congiuntura particolarmente delicata della storia burkinabé, in cui le dinamiche politiche sono influenzate dall’instabilità del nord del Paese.
Già dal 2015, infatti, le regioni settentrionali sono teatro di attacchi di alcuni gruppi islamisti affiliati ad al-Qaeda e ad Ansar Dine, attivi nell’area del Sahel. Negli ultimi anni, la situazione si è aggravata al punto da mettere in fuga circa un milione di persone e minacciare seriamente la sovranità dello Stato in quei territori. L’area settentrionale del Paese è marginalizzata dal punto di vista economico e ci sono alti livelli di diseguaglianza tra la popolazione, quindi gli insorti non faticano a reclutare nuovi miliziani.
Il sistema elettorale
Il Burkina Faso è una repubblica semi-presidenziale, in cui il capo dello Stato è eletto direttamente. Il presidente è più influente del primo ministro – che guida il governo -, motivo per cui la sua elezione è osservata con particolare attenzione.
Come in Francia (da cui ottenne l’indipendenza 60 anni fa), presidente è eletto con un sistema maggioritario a doppio turno: qualora nessun candidato ottenesse la maggioranza assoluta il 22 novembre, si dovrà organizzare un ballottaggio tra i due più votati.
L’Assemblea nazionale è l’organo legislativo monocamerale burkinabé, composto da 127 membri. Questi sono eletti all’interno di 45 collegi di varia dimensione, con voto proporzionale: ogni distretto assegna fino a 9 seggi, per un totale di 111 deputati, mentre i rimanenti 16 sono assegnati proporzionalmente in un unico collegio nazionale. Sia il presidente che i deputati sono eletti per un mandato di 5 anni.
Il presidente Kaboré
Le prossime consultazioni avverranno in una fase politica delicata della storia del Burkina Faso, iniziata con le elezioni del 2015. La tornata elettorale del 2015 è stata la prima dopo la cacciata di Blaise Compaoré, che era al potere dal 1987 quando aveva guidato un colpo di Stato terminato con la deposizione e l’uccisione di Thomas Sankara.
Da allora era riuscito a rimanere in carica ben oltre il limite di mandati, apportando modifiche alla Costituzione in modo da essere rieletto per ben quattro volte. Un ulteriore tentativo di metter mano al testo costituzionale per rimanere in carica, nell’autunno 2014, scatenò violente proteste nel Paese, sostenute dai militari e culminate con la sua uscita di scena.
Il periodo immediatamente successivo è stato molto teso, con il governo ad interim del comandante della guardia presidenziale Yacouba Isaac Zida e il tentativo di colpo di stato militare del generale Gilbert Diendéré, ma grazie alla supervisione della comunità internazionale si è arrivati alle elezioni generali del 2015.
Il travagliato periodo successivo alla transizione politica è culminato con l‘elezione di Roch Marc Christian Kaboré con il 53,49% dei voti delle elezioni presidenziali e la conquista da parte del suo Mouvement du Peuple pour le Progrès (Mpp) di 55 seggi all’Assemblea Nazionale, cioè di un’ampia maggioranza relativa.
Kaboré era parte del vecchio regime, ma è riuscito a presentarsi come uomo del cambiamento, promettendo un ampio programma di riforme basato sulla lotta alla corruzione e la riduzione della povertà.
Appena pochi mesi dopo l’insediamento del nuovo presidente si è però inasprita la crisi nel Sahel, che ancora oggi influenza radicalmente le sorti del Burkina Faso, comprese le possibilità di Kaboré di essere rieletto. La fatica con cui il suo governo sta contenendo la violenza nel nord del Paese sta intaccando il consenso che riscuote tra la popolazione, ma nonostante questo il suo partito lo ha confermato come candidato alla presidenza anche per questa tornata elettorale
L’opposizione
Zéphirin Diabré è il leader di Union pour le Progrès et le Changement (UPC), il secondo partito del Burkina Faso con il 21% dei consensi alle elezioni 2015 e 33 seggi all’Assemblea Nazionale. Diabré è arrivato dietro a Kaboré alle scorse presidenziali, ed è anche questa volta il principale sfidante del capo dello Stato uscente.
Il Congrès pour la Démocratie et le Progrès (Cdp) è invece il partito dell’ex leader burkinabé Blaise Compaoré, al momento detiene 18 seggi in Parlamento con il 13,2% dei voti. Il suo leader è Eddie Komboïgo, che ne ha preso le redini dopo la caduta del dittatore e partecipa alle elezioni dopo che nel 2015 gli era stato impedito in quanto figura di spicco del regime.
Tra gli sfidanti ci sono anche altri volti noti della politica burkinabé come Kadré Désiré Ouédraogo, primo ministro dell’era Compaoré ed ex presidente dell’Ecowas, l’Unione degli Stati dell’Africa occidentale. A sostenere la sua candidatura c’è un nutrito gruppo di partiti e movimenti minori.
Gilbert Noël Ouédraogo è alla guida di un partito storico come l’Alliance pour la démocratie et la fédération – Rassemblement démocratique africain (Afd-Rda), uno dei grandi sostenitori di Compaoré durante la sua presidenza. Questo gruppo al momento conta solo 3 deputati, ma sembra che stia guadagnando sostenitori.
I leader dell’opposizione rilanciano le accuse rivolta a Kaboré e al suo governo di non essere riusciti a fronteggiare efficacemente il conflitto nelle sue fasi iniziali e quindi di essere inadeguato a gestirlo ora che le tensioni sono aumentate. Negli scorsi mesi, tra l’altro, hanno annunciato che in caso di ballottaggio coopereranno per assicurarsi che Kaboré non sia rieletto.
Conflitti e controversie
Un problema che affligge da tempo le elezioni in Burkina Faso è la disaffezione degli elettori. Già alla tornata del 2015 degli 11 milioni di aventi diritto al voto solo 5 milioni si erano registrati e di questi le autorità ritengono che solo il 60% abbia effettivamente votato.
Quest’anno la crisi degli sfollati interni potrebbe aggravare la situazione: lo scorso agosto è stato deciso che non saranno prese misure straordinarie per garantire il voto nelle regioni più instabili e, nonostante sia stata data agli sfollati la possibilità di votare nel luogo in cui attualmente si trovano, solo pochi potranno usufruire di tale diritto, dato che molti hanno perso i documenti mentre altri non sono stati inseriti nei registri elettorali in tempo.
Il risultato è che nelle regioni del nord molti membri dell’Assemblea saranno eletti con solo una manciata di voti, anche perché è probabile che saranno numerosi i cittadini che non parteciperanno al voto per via del clima di intimidazione.
Kaboré potrebbe quindi paradossalmente beneficiare proprio del conflitto che fatica a gestire. Nelle aree interessate i sentimenti avversi al governo uscente sono molto forti, ma solo pochi degli abitanti potranno effettivamente esprimere questo malcontento alle urne, facendo perdere voti preziosi alle opposizioni. Risulta difficile immaginare che Kaboré perda le elezioni, ma vista la situazione e l’accordo dei suoi avversari in caso di ballottaggio il suo margine potrebbe essere inferiore a quello del 2015.
I prossimi presidente e Assemblea Nazionale rischiano quindi di godere di una scarsa legittimità agli occhi degli abitanti delle zone interessate dal conflitto e del Paese intero, e addirittura di dover gestire un passaggio di potere in questa situazione tesissima. In uno scenario come questo la conseguenza più nociva sarebbe l’aumento della capacità dei jihadisti di affermarsi come autorità nei territori settentrionali, aggravando ulteriormente il conflitto interno in corso.
A cura di Matteo Savi, autore della redazione Africa de Lo Spiegone.
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