I bond Sure fanno impazzire il mercato, ma la posta in gioco è più alta
“There’s a new gorilla in the bond market“. C’è un nuovo gorilla nel mercato obbligazionario: così commentava il New York Times il giorno dopo le prime due emissioni di titoli europei da 17 miliardi per finanziare Sure, il nuovo fondo Ue che attraverso prestiti agli Stati sosterrà le “casse integrazioni” nazionali fino a 100 miliardi di euro.
È una osservazione che può destare sorpresa: 100 miliardi di euro sono bruscolini a fronte del grande mercato dei Treasury Bond americani, che costituiscono lo standard per il debito pubblico a basso rischio con un valore di mercato di 27 mila miliardi di dollari. In confronto l’Unione europea resta un “piccolo giocatore”. Il grosso della domanda di sottoscrizione dei nuovi titoli comunitari a 10 e 20 anni è arrivata per oltre il 60% dall’Europa, solo per il 5% dagli Usa.
Tuttavia, anche al di là dell’Atlantico si è ben compresa la portata della strategia europea per contrastare la crisi economica da pandemia, nelle sue implicazioni finanziarie come in quelle politiche. L’operazione ha avuto pieno successo: 17 miliardi in palio, 233 miliardi puntati sul nuovo gioco con un eccesso di puntata di oltre 13 volte superiore alla posta.
L’operazione della Commissione
Non stupisce data la fame di investimenti di massima qualità (i bond Ue hanno la tripla A di due agenzie di rating) in un contesto di rendimenti che possono essere anche negativi. Ma non stupisce anche per un altro motivo: i 100 miliardi di Sure sono solo un antipasto. Nei prossimi sei anni la Commissione emetterà obbligazioni per 750 miliardi (800 miliardi a prezzi correnti) per finanziare con prestiti e sovvenzioni agli Stati la ripresa e la resilienza delle economie. È il programma-faro di risposta alla crisi, Next Generation EU, per interventi fiscali nei Paesi in un quadro di sorveglianza comune. Pietra miliare per la gestione delle crisi per la prima volta sorretta da uno sforzo collettivo condiviso tra gli Stati e anche per l’evoluzione dei mercati finanziari oltreché dello stesso ruolo dell’euro.
La punta massima di emissioni di bond per conto degli Stati si verificò nel 2011 per poco meno di 30 miliardi: era il periodo della grande crisi finanziaria. Nel 2019, tra alti e bassi, si era scesi a 420 milioni. Nel 2021 la Commissione si porterà alla pari degli altri emittenti sovrani europei, al livello della Spagna, superata solo da Germania, Francia e Italia (al primo posto dato l’elevato debito pubblico). Sul piano globale, con i bond di Sure e Next Generation EU supererà di quasi il doppio le emissioni della Bei, quelle del fondo salva-Stati, della Banca interamericana di sviluppo, dell’Ifc/Banca Mondiale, della Bers. Il Wall Street Journal ha parlato di “una nuova era per l’Europa“, di scelte che gli investitori considerano “un passo verso il tipo di integrazione economica necessaria per garantire la sopravvivenza a lungo termine della zona euro”.
Safe asset, AA+, euro e strategia
Il primo fattore da rilevare è l’apparizione sul mercato di una opportunità di investimento che, almeno all’avvio, è più attraente di altri titoli sovrani a rendimenti negativi (come quelli tedeschi o francesi). Di fatto i bond Ue anti-crisi si configurano come un safe asset, un titolo di debito sicuro che permette di diversificare gli investimenti centrati sulle obbligazioni sovrane nazionali di cui i bilanci delle banche sono fin troppo pieni.
Il secondo fattore è che l’aumento delle emissioni di titoli pubblici nazionali o sovranazionali in euro valutati AA+ e oltre da almeno una delle tre grandi agenzie di rating, in un mercato globale dominato dalle emissioni in dollari (nel 2020 superiori al 60% del totale contro meno del 20% denominato in euro), renderà più spesso e più liquido, cioè in grado di garantire la negoziabilità dei titoli, il mercato finanziario continentale aumentandone il grado di integrazione.
Ciò, ecco il terzo fattore, comporterà un rafforzamento del ruolo globale dell’euro se un titolo Ue diventasse un nuovo riferimento per i mercati finanziari.
Quarto fattore, l’aspetto strategico: l’emissione di debito comune, seppure limitato nel tempo, serve a finanziarie prestiti e trasferimenti di bilancio per stabilizzare le economie, obiettivo fino a ieri negato. Di fatto può essere l’embrione di una capacità di bilancio dell’Eurozona.
Prima i bond poi il resto?
Solo il primo fattore e parzialmente il secondo certamente si concretizzeranno. Perché si realizzi il resto occorrono decisioni politiche non scontate sulle quali non c’è consenso. Farà la differenza se la versione di coronabond sarà solo uno strumento temporaneo, cosi come è stato deciso, oppure una leva da replicare. Nel secondo caso, richiederebbe un coordinamento molto stretto delle politiche fiscali nazionali sottoposte così a maggiori vincoli. Di fatto, uno spostamento verso un’impronta istituzionale più federale che confederale.
Ipotesi che sembrano campate per aria, vista l’immensa difficoltà a mettere in piedi l’intera operazione anti-crisi, tuttavia a crisi finita potremmo scoprire che aver sperimentato uno strumento finanziario del genere potrebbe aver reso non conveniente archiviarlo dati i vantaggi in termini di stabilità finanziaria generale e di credibilità politica dell’Eurozona. Difficile immaginare che politica monetaria e politica fiscale non restino allineate anche in futuro e che l’Eurozona non abbia uno strumento comune permanente per la stabilizzazione economica.
Con Next Generation EU i governi hanno creato uno strumento che potrebbe costringerli in futuro ad assumere delle decisioni tuttora negate dai più. In fondo, uno scenario già visto con la creazione dell’euro: prima la moneta, poi il resto. Per cui dovremmo chiederci non se si può procedere nella direzione di una maggiore condivisione delle risorse (e quindi dei rischi relativi), ma fino a quando la Ue può resistere senza farlo.