Giordania al voto tra le proteste e l’ombra dell’astensionismo
Martedì 10 novembre la Giordania tornerà alle urne per eleggere la nuova Camera bassa del Parlamento (Majlis an-Nuwab), sciolta lo scorso 27 settembre tramite decreto reale da re Abdallah II, al termine di un mandato quadriennale. A seguito dello scioglimento del Parlamento, secondo quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 74 della Costituzione, l’esecutivo di Amman è stato costretto a dimettersi. Il sovrano hashemita ha poi nominato nuovo premier Bisher al-Khasawneh, suo stretto consigliere ed ex ministro degli Esteri, incaricato di dirigere il Paese verso le imminenti elezioni legislative.
Gli aventi diritto di voto in Giordania – circa 4,7 milioni – saranno chiamati a scegliere fra 294 liste parlamentari e 1693 candidati. Il Parlamento è composto da due Camere: il Senato, i cui membri sono nominati dal re, e una Camera bassa, quella dei deputati, eletta con suffragio universale. Quest’ultima, a seguito della riforma elettorale del 2016, è passata da 150 a 130 seggi, 15 dei quali destinati a donne, 9 ai candidati cristiani e 3 ai giordani di discendenza cecena o circassa.
Il sistema elettorale
La maggior parte dei candidati in corsa non è affiliata ad alcun partito politico. La debolezza della rappresentanza partitica in Giordania è il risultato dell’affiliazione clanico-tribale nel regno e del lungo periodo in cui i partiti furono messi al bando. Inoltre, sebbene la Giordania si definisca una monarchia costituzionale, di fatto l’autorità rimane concentrata nella figura del re.
Nel 1989 si tennero le prime elezioni generali nel Paese dal 1967. Il bando dei partiti politici introdotto nel 1957 rimase, ma in risposta a una serie di proteste popolari e al deterioramento della situazione economica, la monarchia avviò un processo di parziale liberalizzazione politica. Accanto ai candidati indipendenti, solamente il Fronte di Azione Islamico (Fai), braccio locale della Fratellanza Musulmana in Giordania, poté presentarsi alle elezioni perché riconosciuto non come partito, ma come organizzazione di carattere assistenziale.
Il nodo Fratellanza Musulmana
Il Fai vinse 22 seggi su 80, a cui si aggiunsero quelli racimolati da altri gruppi di opposizione tra candidati islamisti indipendenti, nazionalisti e simpatizzanti della sinistra. Il risultato delle urne motivò il re a riformare la legge elettorale con l’obiettivo di ridimensionare la presenza delle opposizioni, e in particolare degli islamisti, in Parlamento. Nel 1993 fu varata una nuova legge elettorale che sostituì il sistema proporzionale puro sino ad allora in vigore con l’uninominale, introducendo il voto singolo non trasferibile.
Anche a seguito della ridefinizione delle circoscrizioni elettorali, le aree rurali, roccaforti delle tribù beduine transgiordane che costituiscono lo zoccolo duro del consenso alla monarchia, vennero a godere di una rappresentanza parlamentare che eccedeva la loro reale dimensione demografica. Al contrario, le aree urbane, popolate per la maggior parte dalla comunità giordana di origine palestinese, finirono per essere sotto-rappresentate al fine di garantire una maggioranza parlamentare composta da transgiordani.
Per questo, sin dalla sua emanazione, la legge elettorale del 1993 è stata aspramente contestata dall’opposizione. Solamente nel 2016, il governo ha reintrodotto il sistema proporzionale e le liste distrettuali. È stato dunque consentito agli elettori di votare più di un candidato all’interno di un sistema aperto di liste proporzionali. Tuttavia, la questione della sovrarappresentazione dei distretti rurali su quelli urbani permane ancora oggi e la normativa del 2016 continua a penalizzare l’opposizione. L’obbligo di comporre liste elettorali distrettuali spinge i partiti a favorire candidati in grado di garantire pacchetti di voto certi, dunque personalità ancorate alla realtà clanico-tribale dei distretti, piuttosto che aprire il campo a personalità nuove.
Dubbi sul cambiamento
Nel Parlamento uscente, il blocco più numeroso era costituito dalla coalizione tra il National Alliance for Reform e i candidati del Fai. Il partito islamista aveva vinto 16 seggi su 130 nelle scorse elezioni. Dopo una lunga fase di incertezza dovuta alle tensioni mai sopite tra il governo e il movimento, il Fai lo scorso 21 settembre ha dichiarato la propria volontà di correre alle elezioni. Anche quest’anno le due formazioni costituiranno un unico blocco, insieme a 40 personalità politiche estranee al movimento islamista, per un totale di 100 candidati. Tuttavia, molte delle liste ammesse in Parlamento non sembrano in grado di offrire un valido programma politico ed economico.
Da tempo, il Paese vive una dura crisi economica e politica. Le fragilità economiche e sociali che da sempre caratterizzano la struttura dello Stato giordano, anche nel 2020 sono tornate a far sentire i propri effetti destabilizzanti sulla tenuta del regno. A oggi, la Giordania è teatro di ricorrenti e dure proteste. Da un lato, contro le politiche di austerità imposte dal governo per far fronte alla difficile situazione delle finanze pubbliche, dall’altro per la mancanza di prospettive occupazionali che hanno portato la popolazione e i sindacati a mobilitarsi (un esempio su tutti il Sindacato giordano degli insegnanti, Jts). Le proteste, che scuotono il Paese dallo scorso anno hanno richiesto ad Amman delle risposte concrete per far fronte all’involuzione economica.
La crisi economica, esacerbata dalla pandemia, e l’inadeguatezza delle risposte della classe politica ai bisogni della popolazione sono fattori che potrebbero influenzare negativamente i risultati elettorali. Secondo i dati di uno studio pubblicato dal Center for Strategic Studies dell’Università di Giordania, a inizio ottobre il 59% degli intervistati ha detto che non si sarebbe recato alle urne, mentre il 61% ha dichiarato di non fidarsi dei candidati dei propri distretti.
Questi dati confermano che il basso tasso di affluenza è rimasto negli anni grossomodo lo stesso, rispettivamente 37% nel 2016 e 40% nel 2013. Non è da escludere, dunque, che il nuovo Parlamento possa ricalcare nella sua composizione politica il precedente.
A cura di Anthea Favoriti, autrice Medio Oriente e Nord Africa de Lo Spiegone
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