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PROTESTE E SCENARI FUTURI

Georgia verso l’instabilità politica: che ruolo per l’Ue?

10 Nov 2020 - Nona Mikhelidze - Nona Mikhelidze

Il 31 ottobre, in Georgia, si sono tenute le elezioni parlamentari. La Commissione elettorale centrale (Cec) ha fatto sapere che il partito di governo, “Georgian Dream” (Sogno georgiano, Gd), ha vinto con il 48% dei voti. Al secondo turno – previsto per il 21 novembre -, il Gd non dovrebbe avere difficoltà a ottenere la maggioranza assoluta e quindi il numero di seggi necessari per governare il Paese nei prossimi quattro anni, senza dar vita a un governo di coalizione.

L’opposizione, però, non ha riconosciuto i risultati delle urne, e anzi parla di falsificazioni di massa: si è rifiutata di sedere in Parlamento e ha indetto proteste di massa per chiedere nuove elezioni.

Le Ong locali hanno denunciato gravi mancanze in tutte le fasi del voto: violenze contro gli elettori, voto di scambio, attacchi contro i giornalisti, presenza di persone non autorizzate in prossimità dei seggi e, in alcuni casi, violazione del segreto elettorale. L’Associazione georgiana dei giovani avvocati ha detto che si tratta della consultazione peggio organizzata da quando governa il Georgian Dream.

Svolta mancata
Il sospetto di brogli è iniziato con la pubblicazione da parte della Cec dei risultati preliminari quasi otto ore dopo la chiusura dei seggi. Il dubbio delle opposizioni si è consolidato quando l’International Society for Fair Elections and Democracy ha pubblicato i risultati del suo conteggio, parallelo a quello della Cec. Secondo l’Isfed, il partito di governo avrebbe ottenuto il 45,8% e non il 48,16% annunciato dal Cec.

L’Isfed ha fatto sapere che l’8% dei registri di sintesi hanno evidenziato discrepanze tra il numero di schede e il numero di firme nelle liste elettorali. Questo tipo di violazione potrebbe aver alterato il 4% dei risultati. L’Isfed ha chiesto alla Commissione elettorale centrale di ricontrollare i voti nei seggi là dove sono state riscontrare irregolarità.

Queste elezioni avrebbero dovuto segnare un punto di svolta per la politica georgiana. Per la prima volta, l’elettorato ha avuto la possibilità di interrompere la tradizionale formazione di governi monocolore, favorendo la creazione di un esecutivo di coalizione. Alte le aspettative in questo senso non solo da parte delle forze d’opposizione, ma anche da parte delle organizzazioni della società civile. Tbilisi sembra però aver perso questo treno.

È possibile che i brogli influiscano sulla formazione del prossimo governo, ma l’esito del voto ha comunque evidenziato la scelta del popolo georgiano per un sistema bipolare, visto il 48% del Georgian Dream e il 27% dello United National Movement dell’ex presidente tornato alla politica attiva – Mikhail Saakashvili. Se la soglia di sbarramento in Georgia non fosse dell’1%, solo due partiti sarebbero entrati in Parlamento. Un sistema politico a due facce, in un Paese povero come la Georgia, non deve però stupire.

Le carte in mano all’opposizione
I partiti d’opposizione, ad oggi, si stanno rifiutando di entrare in Parlamento e di partecipare al secondo turno. Alcuni leader politici si sono poi lasciati ispirare dalle manifestazioni in Bielorussia e sembrano adesso puntare sulle proteste di massa– Lunedì 9 novembre migliaia di persone si sono riunite davanti il Parlamento di Tbilisi, chiedendo un nuovo voto e le dimissioni della commissione elettorale centrale. I manifestanti sono stati dispersi dalla polizia antisommossa con gli idranti.

Per gli oppositori al potere del Gd si aprono adesso solo due strade: nuove elezioni (eventualmente sulla scia di una rivoluzione) oppure un proseguimento del dominio del miliardario Bidzina Ivanishvili, fondatore del Gd. La seconda ipotesi lascerebbe la Georgia per altri quattro anni nella mani di un governo oligarchico, con sistemi di equilibrio istituzionale evanescenti, con una magistratura influenzata da diversi gruppi di interesse, e con le istanze delle organizzazioni della società civile ignorate.

La tela di Bruxelles
Negli anni, l’Unione europea si è dimostrata piuttosto prudente nella condanna delle tendenze semi-autoritarie in Georgia, poco propensa a insistere sulla necessità di proseguire nella strada della democratizzazione, ed evitando un diretto coinvolgimento nelle tensioni politiche locali. Nel 2019, però, Bruxelles è sembrata più decisa ad azioni per la promozione della democrazia nel Paese caucasico.

Quell’anno, per mano di Carl Hartzell, ambasciatore dell’Unione europea in Georgia, l’Ue, insieme ad altri partner internazionali, ha negoziato un accordo tra il governo e l’opposizione per modificare il sistema elettorale allo scopo di favorire proprio la formazione di un governo di coalizione, che avrebbe traghettato la Georgia verso un sistema politico più trasparente e democratico di cui si diceva in precedenza. L’intesa aveva generato la speranza che il Paese potesse finalmente essere governato da un’alleanza ampia, anziché dal solito sistema di un uomo solo/un partito solo al comando. Il risultato delle urne di dieci giorni fa ha fatto tramontare queste aspettative, e apre a una nuova stagione di instabilità politica a Tbilisi.

Ma cosa può fare concretamente Bruxelles? Nella situazione attuale, l’Unione non ha ampi spazi di manovra.

La Georgia è ancora ufficialmente impegnata in un percorso di integrazione europea. Ciò fornisce all’Europa la – seppur blanda – possibilità di valutare criticamente le azioni e i fallimenti del prossimo governo georgiano nel processo di transizione democratica e di fare pressione per invertire la rotta. In pratica, però – e tenuto conto del fatto che è adesso in corso una rivolta politica -, Bruxelles dovrebbe essere pronta a ritagliarsi un ruolo di mediazione tra il nuovo esecutivo georgiano e le forze dell’opposizione e i loro sostenitori scesi in piazza.