Con Biden e Kerry il ritorno di una superpotenza climatica
Il nodo clima-energia è sicuramente uno dei più cruciali e, al contempo, spinosi, che Joe Biden avrà sul tavolo. Il nuovo presidente non dovrà solo affrontare il pesante lascito di Donald Trump sul piano interno e internazionale; dovrà anche portare avanti azioni cruciali per favorire la transizione energetica, priorità della sua agenda.
Si spazia dalla necessità di adattare i sistemi energetici per integrare una generazione principalmente rinnovabile al dover rendere più efficiente il settore oil&gas, evitando di danneggiare la posizione statunitense sul piano globale e al contempo proteggendo i cittadini più vulnerabili.
There’s so little time and so much to do, canterebbe Louis Armstrong: Joe Biden intanto ha scelto John Kerry come inviato speciale per il clima, un nome forte che evidenzia l’attenzione al tema. Ex senatore e candidato democratico alle presidenziali nel 2004, Kerry fu segretario di Stato durante il secondo mandato di Barack Obama: sua la firma per gli Stati Uniti negli Accordi di Parigi sul clima. Biden aveva comunque già inserito il clima tra le quattro aree programmatiche prioritarie e proposto di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (in linea con l’Unione europea, poco prima della Cina). Fondamentale sarà però capire la realizzabilità di questi obiettivi, di fronte a un Senato dal colore ancora incerto – a decidere la maggioranza saranno i ballottaggi del 5 gennaio per i due seggi della Georgia – e in un Paese in cui i combustibili fossili giocano ancora un ruolo centrale tanto per la politica, quanto per l’economia.
Il futuro della transizione energetica
Nell’agosto 2020, il centrista Biden sorprendeva i dem più radicali svelando un piano per il clima da 2 mila miliardi di dollari, allineandosi alla visione di Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders. Due degli obiettivi principali sono infatti la completa decarbonizzazione della generazione elettrica entro il 2035 e l’efficientamento di quattro milioni di edifici. Per finanziare il tutto, è stato proposto l’aumento dal 21% al 28% della corporate tax – un altro rimando alle proposte di Sanders.
Si tratta di obiettivi potenzialmente raggiungibili, secondo il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia Birol, che ritiene che il contributo statunitense alle rinnovabili potrebbe contribuire a farle divenire dominanti nella generazione di energia elettrica a livello globale già nel 2022 o 2023 (rispetto alla previsione attuale al 2025). Nonostante Trump, il carbone è infatti ormai poco appetibile, vista la competitività delle rinnovabili.
Confermato il livello di ambizione delle proposte, il punto centrale al piano di Biden sarà il disegno degli strumenti, legislativi e non, per raggiungerle – l’Infrastructure Bill forse sarà tra questi il più importante. Sarà poi fondamentale definire un piano inclusivo, che riesca a mettere d’accordo le ali progressiste e ambientaliste oltre che a soddisfare le coal communities di numerosi Stati, dove molto si gioca dal punto di vista economico e sociale, ma in alcuni casi anche politico (Pennsylvania) e quindi chiave in vista del 2024.
Il nodo industria fossile
Il settore oil&gas è per esempio caro a molti, a partire proprio dalla Pennsylvania o dall’Ohio (dove tanto si discute di fracking, tecnica estrattiva del petrolio) o per Stati grandi come il Texas. Se da una parte è indubbia la volontà di rendere più efficiente e regolamentare meglio il settore, probabilmente Biden non vorrà e non potrà mettere fine al fracking, ma nemmeno agire da subito in maniera eccessivamente aggressiva nei confronti dell’industria fossile.
Nei primi cento giorni, soprattutto tramite ordini esecutivi, potrà mettere mano alle disposizioni del 2017 sull’esplorazione e la produzione di energia offshore o potrà istruire le agenzie federali sullo sviluppo di nuovi limiti alle emissioni di metano, o ancora, potrà bloccare le revisioni su gasdotti e altri progetti previste dal suo predecessore.
Un efficace cambio di rotta a arriverà però solo con una profonda discussione interna al Paese e un piano di decarbonizzazione graduale e ordinato. Le tempistiche della transizione sono perciò difficili da definire, anche per i rapidi cambiamenti che hanno toccato sul piano mondiale gli Usa che, da importatori di ingenti quantità di idrocarburi, ne sono diventati esportatori netti grazie al boom di produzione non convenzionale.
Building back better?
Un elemento incoraggiante sta per adesso nell’organicità della visione di Biden, che segue una prospettiva ispirata all’ampio raggio del Green Deal europeo: guarda alla decarbonizzazione del sistema energetico nel suo complesso e a temi come l’inquinamento e l’impatto sulle comunità più vulnerabili.
Un team di esperti ha peraltro consegnato al Transition Team di Biden un progetto che propone un approccio “olistico” al clima, proprio per evitare alcune delle insidie che avevano ostacolato Obama.
Il 2021 ci aiuterà a capire con quale velocità e in quale direzione si muoveranno gli Stati Uniti. Sul piano interno, l’aggressività delle politiche climatiche dipenderà soprattutto dal Senato. Se repubblicano, Biden procederebbe per ordini esecutivi, direttive alle agenzie federali e una continua negoziazione in Congresso. Se democratico, larga parte dei suoi piani e della spesa pensata per sostenerli poterebbero essere approvati. Un Senato a maggioranza blu potrebbe anche aiutare davanti a eventuali contestazioni dei regolamenti ambientali nei tribunali, considerato il nuovo assetto della Corte Suprema.
Sul piano internazionale, se nel breve termine è scontato il rientro negli Accordi di Parigi, altre questioni sono meno prevedibili, a partire dalla forza del ritrovato legame transatlantico sia come guida sui tavoli internazionali, sia rispetto al tipo di collaborazione strategica che Usa e Ue vorranno portare avanti.
Il contesto attuale è sì quello di una recessione economica globale, ma il momento offre anche opportunità senza precedenti: molti governi, incluso quello americano, dedicheranno ingenti somme di denaro per i piani di ripresa. Auspicabilmente saranno piani di ripresa verdi, coerenti e lungimiranti.