Algeria: una nuova Costituzione per il vecchio “pouvoir”
Il 1° novembre, in occasione dell’anniversario dell’inizio della Guerra di indipendenza algerina, si è tenuto il referendum confermativo della riforma costituzionale, avviata dal presidente Abdelmadjid Tebboune come apparente segno di apertura nei confronti delle rivendicazioni del movimento Hirak, che da più di un anno scende in piazza per chiedere un totale rinnovamento del sistema politico, controllato da una ristretta élite imprenditoriale e militare, e l’avvio di una reale ed inclusiva transizione democratica.
Dopo le proteste del 2011, che poco avevano scalfito il pouvoir algerino, una nuova ondata di dissenso era esplosa lo scorso anno, dopo l’annuncio della ricandidatura dell’ottantenne presidente Abdelaziz Bouteflika al suo quinto mandato, con proteste di piazza per chiedere una reale svolta democratica ed egualitaria e la fine di un regime fortemente corrotto e cleptocratico.
Economia in crisi
Da allora, vaste dimostrazioni settimanali si sono diffuse in tutto il Paese. La crisi della domanda mondiale di idrocarburi e la pandemia di Covid-19 hanno ulteriormente aggravato la condizione economica nazionale, le cui risorse continuano ad andare a beneficio di pochi, mentre gran parte della popolazione si trova ad affrontare la crescita di povertà e disoccupazione (quella giovanile è oltre il 30%, in un Paese in cui il 70% della popolazione si stima abbia meno di 30 anni).
Il regime algerino, fermamente ancorato all’establishment militare che è al potere dall’indipendenza, ha risposto con una campagna di rinnovamento interna: dopo le dimissioni forzate di Bouteflika, molti dei suoi collaboratori sono stati condannati per corruzione, mentre sono state indette nuove elezioni. Il nuovo presidente Tebboune, storico membro dell’entourage di Bouteflika, si è subito dimostrato critico nei confronti delle corrotte pratiche politiche, ribadendo la legittimità delle rivendicazioni del Movimento del 22 febbraio, da lui definito “un genuino e benedetto movimento popolare”.
Il suo dichiarato impegno per un reale cambiamento si è concretizzato nell’annuncio di un nuovo progetto di revisione del testo costituzionale, con il quale si promette di “costruire le fondamenta di una nuova Algeria“.
Il progetto di riforma costituzionale
La bozza del testo, elaborato da un Comitato di esperti, è stata presentata alla stampa e alla società civile il 7 maggio. Nonostante l’Hirak non abbia una struttura di rappresentanza unitaria, gran parte degli attivisti hanno aderito al boicottaggio della riforma, sottolineando la forte continuità con la precedente Costituzione. Dopo l’approvazione dell’Assemblea nazionale il 10 settembre, il progetto è stato confermato dal referendum dello scorso 1° novembre, con il più del 66,8% dei voti, ma con la più bassa affluenza nella storia del Paese (23,7%), battendo il record negativo della precedente tornata per l’elezione di Tebboune nel dicembre 2019 (meno del 40% di affluenza).
Ciò dimostra la disillusione di molti algerini nei confronti del sistema democratico esistente e l’efficacia della campagna di boicottaggio messa in atto da opposizioni, attivisti ed esperti legali. Le critiche, provenienti da opposizioni e società civile, sono rivolte alla mancata rottura con l’attuale sistema politico e contro l’assenza di un reale approccio consultivo nella stesura del testo.
La riforma si articola attorno a sei assi fondamentali: “diritti fondamentali e libertà pubbliche”, “separazione ed equilibrio dei poteri”, “indipendenza della magistratura”, “Corte costituzionale”, “lotta alla corruzione” e “Autorità elettorale indipendente”.
Nel preambolo, il testo viene introdotto come la “traduzione delle aspirazioni del popolo per una nuova Algeria espresse pacificamente attraverso le proteste popolari del 22 febbraio 2019”. Viene, inoltre, sancita la possibilità di partecipazione dell’esercito alle operazioni di peacekeeping fuori dai confini nazionali, superando il principio di non-interventismo sancito dalla Costituzione del 1976.
Gli emendamenti presentati conservano in gran parte i “principi generali” sanciti dal precedente Testo, in particolare il forte carattere “iper-presidenziale” della repubblica. Molti hanno sottolineato come i miglioramenti nel campo dei diritti e delle libertà civili risultino puramente formali, senza alcuna previsione per la loro sostanziale implementazione.
A livello politico, le principali “innovazioni” sono la reintroduzione del limite di due mandati per le cariche presidenziali e parlamentari (Bouteflika lo aveva eliminato nel 2008, per poi reinserirlo con la clausola dei mandati consecutivi nel 2016) e misure in favore di un maggiore bilanciamento dei poteri. Nonostante ciò, il presidente risulta ancora coinvolto in tutti gli ambiti di competenza: legislativo, esecutivo e giudiziario. Vengono anche rafforzati i poteri del primo ministro, che dovrà necessariamente essere selezionato all’interno della maggioranza parlamentare solo nel caso in cui questa risulti diversa da quella presidenziale.
Una nuova Algeria?
Il processo di rinnovamento intrapreso dal regime algerino non ha sortito gli effetti sperati e la natura scarsamente incisiva degli emendamenti proposti ha accentuato lo scetticismo popolare nei confronti dell’intero sistema politico. Ciò è testimoniato, in particolar modo, dai record negativi di affluenza stabiliti dalle ultime due tornate elettorali, boicottate dalla maggioranza dei cittadini. L’hashtag “La Nostra Costituzione è la vostra dipartita” è diventato virale sui social network.
Quella promossa da Tebboune è infatti soltanto l’ennesima modifica del testo fondamentale dall’indipendenza: dal 1962, si sono succedute quattro Costituzioni e numerose operazioni di riforma, ognuna promossa da un diverso Presidente allo scopo di consolidare il suo particolare sistema di potere.
Molti vedono, dunque, il nuovo progetto come un ennesimo “cambiamento di facciata”, che si rifiuta di affrontare le principali istanze di giustizia sociale e partecipazione democratica espresse dalle piazze. Le labili aperture democratiche sono state accolte dalla popolazione come meri palliativi e difficilmente riusciranno ad arginare il diffuso dissenso. Resta da vedere come il Paese affronterà la corrente emergenza sanitaria e la grave crisi economica, che potrebbero esacerbare la portata delle proteste.
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